mercoledì 27 ottobre 2010

L’AUTODISCIPLINA E IL CORRETTO ESERCIZIO DEI DIRITTI POLITICI DA PARTE DEI MILITARI


INFORMAZIONI DELLA DIFESA N. 4/2010 (PERIODICO DELLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA)

La Costituzione sancisce (art.1) che “la sovranità appartiene al popolo”; ciò implica che i cittadini, sovrani e sudditi di se stessi, devono rispettare le leggi approvate dai parlamentari eletti. Questo principio, formalizzato in un precetto normativo, è il risultato di una lunga riflessione filosofica sulla funzione etica, politica e sociale della legge, intesa come garanzia di libertà. In particolare, recepisce e concretizza il pensiero Kantiano, che già alla fine del XVIII secolo aveva definito la libertà come autonomia e come potere di dare leggi a se stessi. Secondo Kant “quelli che obbediscono alle leggi debbono anche, riuniti, legiferare”1.

Coerentemente l’art. 3 Cost. sancisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”; l’art. 52, comma 3, Cost. statuisce che l’ordinamento delle Forze Armate “si informa allo spirito democratico della Repubblica”.

Quest’ ultima norma determina una rivoluzione copernicana per la configurazione della compagine militare come struttura istituzionale incardinata nell’Amministrazione pubblica e formata da cittadini alle armi.

Nell’ordinamento costituzionale precedente l’art. 5 dello Statuto Albertino prevedeva che il Re, capo supremo dello Stato, “comanda tutte le forze di terra e di mare”. Questa norma riflette la concezione dell’epoca, secondo cui nello stato assoluto le F.A. sono asservite alla potestà dispositiva del sovrano, unico soggetto legittimato all’impiego della forza per tutelare l’inviolabilità del territorio e l’integrità dei sudditi. In tale logica, il fondamento della disciplina - che costituisce lo strumento essenziale dell’efficienza e dell’efficacia dell’operatività - era radicato nell’obbedienza tempestiva, assoluta ed acritica. Gli ordini, anche quelli meramente esecutivi, in quanto risalenti ad una strategia definita dalle autorità di vertice in attuazionedell’indirizzo dispositivo del sovrano, dovevano essere eseguiti con rigorosa puntualità e senza alcun sindacato di legittimità o di merito da parte dei singoli militari ai rispettivi livelli di responsabilità.

I sudditi militari, quindi, come gli altri sudditi subivano le limitazioni dei diritti civili e politici tipiche dello stato assoluto, che sopravvivevano anche in regime di costituzione ottriata (concessa dal sovrano). Rispetto agli altri sudditi erano gravati dagli ulteriori doveri connessi alla disciplina (militare) che escludeva i militari dall’esercizio dei diritti civili e politici previsti dalle leggi man mano che si affermava, con progressione lenta e strisciante, lo stato di diritto. Nello stato assoluto, in sostanza, l’obbedienza era la connotazione specifica che caratterizzava la condizione del militare come suddito sostanzialmente privo di diritti nonché gravato da tipici doveri professionali.


Il militare cittadino alle armi

L’entrata in vigore della Costituzione democratica, che recepisce i principi dello stato di diritto secondo cui sia i privati che le autorità istituzionali sono assoggettati alla legge, le F.A. non sono più una organizzazione separata dalla comunità nazionale ed i militari assumono il ruolo di “cittadini alle armi”, ossia di cittadini qualificati per la specificità della professione nel contesto del pubblico impiego.

La specificità del personale militare è sancita dalla Costituzione unitamente alla specificità dei magistrati, dei funzionari ed agenti di polizia e dei rappresentanti diplomatici e consolari. Infatti, l’art. 98 Cost. sancisce che per tali pubblici impiegati “si possono con legge stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici”. La logica di questa norma si riconnette alla singolare natura delle attività esercitate, riguardanti l’assolvimento di funzioni sovrane. In particolare, la giustizia, la difesa e la sicurezza interna ed internazionale si distinguono dalle altre funzioni istituzionali perché garantiscono il corretto svolgimento dei rapporti tra i consociati, l’integrità del territorio e la libertà dei cittadini.

Riguardano l’amministrazione di beni che non appartengono esclusivamente ad un sovrano assoluto ma sono di pertinenza di tutti i cittadini poiché la loro integrità è essenzialenon soltanto per la mera sopravvivenza bensì anche, e principalmente, per salvaguardare le condizioni di progresso e sviluppo dell’intera comunità nazionale.

L’assolvimento di tali funzioni, per la destinazione istituzionale definite sovrane, richiede da parte dei pubblici impiegati - militari e civili – una sicura imparzialità, ossia una condotta obiettiva nel perseguimento dei fini istituzionali nonché libera dai condizionamenti derivanti dall’adesione ai partiti politici. L’art. 98 Cost., in sostanza, a fronte di quanto sancito dall’art. 49 Cost. secondo cui tutti i cittadini hanno diritto di associarsi in partiti politici, assicura un equo bilanciamento con l’interesse, parimente rilevante, di garantire l’esercizio imparziale delle funzioni sovrane e attribuisce al legislatore la facoltà di apprezzare se sussista la necessità di una legge per vietare l’iscrizione ai partiti politici ovvero se la capacità e la coscienza deontologica di tali pubblici dipendenti – militari e civili - diano garanzia di imparzialità sufficiente, tale cioè da non richiedere un espresso e formale divieto.


I militari e l’esercizio dei diritti

L’allineamento dell’ordinamento delle F.A. Allo spirito democratico è avvenuto progressivamente ed ha determinato anche la rielaborazione delle norme sullo status dei militari. In tale ambito, è stata elevata al rango di legge ordinaria la normativa sulla disciplina militare, originariamente rimessa all’autorità militare. Il dibattito politico che ha animato il processo di allineamento dell’ordinamento militare allo spirito democratico ha approfondito anche la riconoscibilità e la attribuibilità dei diritti civili e politici ai militari sulla base del principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge (art. 3 Cost.). Mentre appariva inconfutabile che i militari, in quanto cittadini alle armi, dovessero essere titolari degli stessi diritti riconosciuti a tutti i cittadini, il retaggio atavico che il militare, per assolvere i propri compiti, dovesse essere privo di diritti impediva una serena ed obiettiva rivisitazione delle norme disciplinari alla luce dei principi costituzionali. Il regolamento di disciplina del 1964, approvato mentre si perfezionava l’iter della riforma dell’ordinamento militare, non regola l’esercizio dei diritti dei militari; regolamenta, invece, l’assolvimento dei doveri esplicitandone l’elevato significato deontologico. Attribuisce forma di precetto normativo ai valori etici che caratterizzano le consuetudini e le prassi della compagine militare.

Il testo di questo regolamento ha evidenziato l’inadeguatezza di un regime disciplinare ancorato ad una concezione ordinativa delle F.A. ormai superata, come tale percepita dal personale militare sia in ambito nazionale man mano che si intensificava la permeabilità tra la compagine militare e la società civile, sia in ambito internazionale con l’intensificazione della cooperazione in ambito NATO che consentiva di verificare come nei paesi con un regime democratico più avanzato (U.S.A.; U.K.) il riconoscimento dei diritti civili e politici ai militari costituiva un fatto consolidato che, per altro, non turbava, anzi migliorava, il rendimento e la produttività delle F.A.


La legge di principi sulla disciplina militare e l’esercizio dei diritti politici

Alla fine degli anni ’70 una apposita legge ha determinato i principi fondamentali sulla disciplina militare (L. 382/78). Nell’ambito di tale legge l’art. 3, sancito che ai militari spettano i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini, statuisce che per garantire l’assolvimento dei compiti delle F.A. possono essere imposti (con legge) ai militari “limitazioni nell’esercizio di tali diritti”. Coerentemente, la stessa L. 382/78 con specifiche norme sancisce particolari divieti (per es.: art. 8, divieto del diritto di sciopero) ovvero definisce le modalità per l’esercizio di alcuni diritti compatibilmente con le prioritarie esigenze istituzionali. Riguardo all’esercizio dei diritti politici l’art. 6 (L. 382/78) fissa alcuni criteri essenziali per garantire l’assoluta salvaguardia della imparzialità dell’attività istituzionale delle F.A.

In particolare, il comma 1, fissa il principio generale, per altro irrinunciabile in uno stato democratico ordinato secondo i principi dello stato di diritto, secondo cui “le Forze Armate debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche”. Questa disposizione eleva al rango di norma primaria un’analoga formulazione che nella Premessa del R.D.M. del 1964 era una mera enunciazione di principio.

In linea con l’art. 52, comma 3, Cost. Secondo cui l’ordinamento militare deve essere regolato da norme conformate allo spirito democratico della Repubblica, questa disposizione chiarisce che il limite invalicabile dell’esercizio dei diritti politici dei militari è costituito dalla necessità di assicurare l’imparzialità delle F.A., progettate come organizzazione destinata a tutelare la sovranità nazionale attraverso la difesa della Patria.

Il comma 2 (dello stesso art. 6) indica, in modo tassativo, le condizioni essenziali che i militari debbono osservare per esercitare i diritti politici. In particolare, statuisce che i militari possono partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni ed organizzazioni politiche quando: non sono in attività di servizio; non sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio; non indossano l’uniforme o si rivolgano ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali. Questa norma, coerente con il richiamato art. 98 Cost., senza sancire il divieto per i militari di iscriversi ai partiti politici, indica i criteri oggettivi che devono guidare i singoli militari nella scelta delle modalità per assicurare che la propria condotta nell’esercizio dei diritti politici risulti consona al giuramento di fedeltà alla Repubblica prestato all’inizio del servizio, attraverso la corretta osservanza del principio di mantenere le F.A. fuori dalla competizione politica. Trattasi di criteri generali poiché non risulta configurabile una regolamentazione che in modo dettagliato ed esauriente, con una elencazione tassativa di prescrizioni e divieti, indichi al singolo militare come esercitare i diritti politici.

In questo campo è essenziale il modus agendi del singolo, in particolare la sensibilità per i principi di correttezza, trasparenza, discrezione e prudenza che caratterizzano la condotta motivata dalla volontà non di perseguire l’osservanza formale delle regole bensì di cercare nelle regole i riferimenti essenziali per governare le proprie azioni ed omissioni in modo conforme all’indirizzo delle autorità politiche, e coerentemente delle autorità di vertice delle F.A., per il raggiungimento degli obiettivi istituzionali. E’ essenziale, in sostanza, la sensibilità professionale che consente al singolo militare di autodisciplinare la propria condotta trovando il giusto equilibrio tra l’esercizio dei diritti politici e l’assolvimento dei doveri di servizio.

I commi 3 e 4 (dello stesso art. 6) prevedono l’attuazione dell’art. 51 Cost. che riconosce a tutti i cittadini l’accesso alle cariche elettive. Prevedono, infatti, che i militari candidati alle elezioni politiche o amministrative possono svolgere liberamente attività politica e di propaganda “fuori dall’ambiente militare ed in abito civile”. Puntualizzano, inoltre, che per la durata della campagna elettorale i militari sono posti in licenza speciale. Adeguate garanzie sono previste per i militari di leva, eletti ad una funzione pubblica provinciale o comunale.

La legge 382/78 nulla dispone riguardo all’art. 50 Cost. che riconosce a tutti i cittadini il diritto di rivolgere petizioni alle Camere “per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità”. Mancando indicazioni di specifiche modalità da osservare nell’esercizio di tale diritto, il militare è libero di proporre o di aderire a qualunque petizione indirizzata al legislatore.

Trattasi, tuttavia, di libertà non assoluta, in quanto sussistono limitazioni naturali discendenti dalla tipicità dello status e dalla specificità della professione che caratterizzano la deontologia militare come insieme di principi non scritti, destinati a costituire criteri guida per l’autodisciplina del singolo.

In concreto, la sottoscrizione di una petizione indirizzata al legislatore costituisce sostanzialmente una manifestazione di pensiero che (art. 9 L. 382/78) il militare può realizzare liberamente, con la sola limitazione della necessità di specifica autorizzazione per la trattazione di argomenti “a carattere riservato d’interesse militare o di servizio”. Rientra, quindi, nell’autonomia del singolo militare valutare il contenuto della petizione e verificare se essa riguardi argomenti di interesse militare da trattare - previa autorizzazione - con cautela e discrezione, conformemente al soprarichiamato art. 6, comma 1, (L. 382/78).

Il dovere di imparzialità a carico del militare riguarda sia l’attività inerente all’assolvimento dei compiti istituzionali, sia la condotta realizzata al di fuori del servizio ma che, connessa - anche indirettamente - con il ruolo professionale, coinvolge l’Istituzione di appartenenza incidendo sulla imparzialità. Questa incidenza, che non può essere esattamente misurata né pesata, pregiudica la credibilità delle F.A. in modo comunque rilevante, perché lascia trasparire sommerse carenze di sensibilità istituzionale del personale che possono costituire un rischio per l’efficienza operativa e penalizzare l’assolvimento della funzione sovrana di garantire la difesa nazionale.


L’autodisciplina, garanzia per l’esercizio dei diritti politici e della democraticità dell’ordinamento militare

Oggi, nella fase di consolidamento della conformazione dell’ordinamento militare ai principi democratici, emerge con plastica evidenza che per la realizzazione dello stato di diritto, presupposto ordinativo dello stato democratico, è necessario emanare le regole ma è indispensabile assicurarne l’esatto rispetto. A tale scopo anche l’esplicitazione più dettagliata dei precetti normativi, attraverso l’indicazione tassativa di comandi e divieti, risulta sterile se proiettata in un contesto privo di fiducia sulla validità della regola scritta come strumento destinato a fornire al singolo riferimenti certi e concreti per governare la propria condotta in funzione dei compiti istituzionali da assolvere.

Oggi, dopo sessanta anni di vita democratica risulta chiaro che in democrazia sono necessarie le regole ma è essenziale la loro corretta interpretazione. Per la compagine militare, tenuto conto che la disciplina secondo l’art. 2 del R.D.M. costituisce “per i cittadini alle armi….il principale fattore di coesione e di efficienza”, la corretta interpretazione delle regole disciplinari può essere realizzata soltanto attraverso una condotta animata da sensibilità istituzionale sufficiente a rendere il singolo consapevole del proprio ruolo e capace di governare i propri comportamenti in modo da garantire pieno equilibrio tra esercizio dei diritti ed assolvimento dei doveri di servizio.

L’emergente rilevanza dell’autodisciplina è stata evidenziata dallo Stato Maggiore della Difesa che in diverse occasioni ha sottolineato l’essenzialità della correttezza del personale militare quale garanzia di esattezza sostanziale nel rispetto delle regole disciplinari. In particolare, in una specifica direttiva concernente l’adesione dei militari alla raccolta di firme per una petizione ai sensi dell’art. 50 Cost., lo Stato Maggiore della Difesa ha confermato la necessità della correttezza per assicurare che le F.A. rimangano “al di fuori delle competizioni politiche” ed ha puntualizzato che per garantire l’assoluta irreprensibilità dell’adesione alla petizione è necessario tener presente l’ineludibilità di quanto prescritto dalla L. 382/78 al fine di evitare, anche per mero riflesso, alcun coinvolgimento dell’Istituzione di appartenenza. La direttiva precisa in fine che rimane suscettibile di valutazione disciplinare, qualora accertato, qualunque comportamento non in linea con i criteri di correttezza richiamati.

Il consolidamento dell’ordinamento democratico lascia emergere come la creazione delle regole costituisca il primo passo verso la realizzazione della democrazia, che richiede il rispetto non formale bensì sostanziale delle regole. Affinché la correttezza divenga il veicolo appropriato dell’esatta osservanza delle regole è necessaria un’altra rivoluzione copernicana, capace di dare concreta realizzazione a quella che appare ancora un’utopia: l’essenzialità dell’autodisciplina.

Invero, fuori da ogni retorico auspicio di impegno personale ispirato da buonismo ideologico, occorre rimarcare come la mera dimostrazione di aver applicato le regole in modo formalmente esatto non costituisce garanzia di efficienza produttiva né assolve da responsabilità per il mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati e per infrazioni eventualmente commesse. Correttezza ed esattezza, oggi, sono complementari per realizzare i due elementi essenziali della produttività militare: coesione ed efficienza che, come ricordato, sono gli obiettivi funzionali della disciplina militare. Poiché questi elementi possono essere realizzati soltanto se percepiti dai singoli ed adottati come modus agendi, ecco come l’autodisciplina si identifica con la corretta applicazione di regole e procedure e garantisce il pieno esercizio dei diritti civili e politici.

In concreto, l’autodisciplina esce dall’utopia nel momento in cui si prende coscienza del fatto che autoregolarsi non implica negare il valore delle regole; al contrario esalta la funzione delle disposizioni “generali ed astratte” costituenti riferimento certo per quanti, al rispettivo livello di responsabilità, devono fornire il proprio contributo per garantire l’efficienza e l’efficacia di una struttura produttiva ancorata sulla organizzazione gerarchica del lavoro, funzionale all’operatività del sistema sicurezza.

L’autodisciplina, intesa come capacità di autoregolarsi, costituisce la migliore garanzia di efficacia dell’ordinamento militare anche quando le norme risultino non aggiornate o non adeguate rispetto alla peculiarità delle situazioni concrete.

Soltanto una collaudata capacità di autoregolarsi consente di trovare, attraverso una prudente interpretazione evolutiva, anche in norme non aggiornate il riferimento congruo e razionale per individuare il modo più corretto, nel rispetto delle regole generali, per affrontare situazioni incerte.

In tal guisa, l’autodisciplina costituisce anche lo strumento indispensabile per l’esercizio dei diritti politici da parte dei militari senza limitazioni, ma con la correttezza necessaria che consente di misurarne la compatibilità con l’assolvimento dei doveri professionali.

Col. Antonino Lo Torto

capo Ufficio affari giuridici Stato Maggiore della Difesa

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