mercoledì 27 ottobre 2010

L’AUTODISCIPLINA E IL CORRETTO ESERCIZIO DEI DIRITTI POLITICI DA PARTE DEI MILITARI


INFORMAZIONI DELLA DIFESA N. 4/2010 (PERIODICO DELLO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA)

La Costituzione sancisce (art.1) che “la sovranità appartiene al popolo”; ciò implica che i cittadini, sovrani e sudditi di se stessi, devono rispettare le leggi approvate dai parlamentari eletti. Questo principio, formalizzato in un precetto normativo, è il risultato di una lunga riflessione filosofica sulla funzione etica, politica e sociale della legge, intesa come garanzia di libertà. In particolare, recepisce e concretizza il pensiero Kantiano, che già alla fine del XVIII secolo aveva definito la libertà come autonomia e come potere di dare leggi a se stessi. Secondo Kant “quelli che obbediscono alle leggi debbono anche, riuniti, legiferare”1.

Coerentemente l’art. 3 Cost. sancisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”; l’art. 52, comma 3, Cost. statuisce che l’ordinamento delle Forze Armate “si informa allo spirito democratico della Repubblica”.

Quest’ ultima norma determina una rivoluzione copernicana per la configurazione della compagine militare come struttura istituzionale incardinata nell’Amministrazione pubblica e formata da cittadini alle armi.

Nell’ordinamento costituzionale precedente l’art. 5 dello Statuto Albertino prevedeva che il Re, capo supremo dello Stato, “comanda tutte le forze di terra e di mare”. Questa norma riflette la concezione dell’epoca, secondo cui nello stato assoluto le F.A. sono asservite alla potestà dispositiva del sovrano, unico soggetto legittimato all’impiego della forza per tutelare l’inviolabilità del territorio e l’integrità dei sudditi. In tale logica, il fondamento della disciplina - che costituisce lo strumento essenziale dell’efficienza e dell’efficacia dell’operatività - era radicato nell’obbedienza tempestiva, assoluta ed acritica. Gli ordini, anche quelli meramente esecutivi, in quanto risalenti ad una strategia definita dalle autorità di vertice in attuazionedell’indirizzo dispositivo del sovrano, dovevano essere eseguiti con rigorosa puntualità e senza alcun sindacato di legittimità o di merito da parte dei singoli militari ai rispettivi livelli di responsabilità.

I sudditi militari, quindi, come gli altri sudditi subivano le limitazioni dei diritti civili e politici tipiche dello stato assoluto, che sopravvivevano anche in regime di costituzione ottriata (concessa dal sovrano). Rispetto agli altri sudditi erano gravati dagli ulteriori doveri connessi alla disciplina (militare) che escludeva i militari dall’esercizio dei diritti civili e politici previsti dalle leggi man mano che si affermava, con progressione lenta e strisciante, lo stato di diritto. Nello stato assoluto, in sostanza, l’obbedienza era la connotazione specifica che caratterizzava la condizione del militare come suddito sostanzialmente privo di diritti nonché gravato da tipici doveri professionali.


Il militare cittadino alle armi

L’entrata in vigore della Costituzione democratica, che recepisce i principi dello stato di diritto secondo cui sia i privati che le autorità istituzionali sono assoggettati alla legge, le F.A. non sono più una organizzazione separata dalla comunità nazionale ed i militari assumono il ruolo di “cittadini alle armi”, ossia di cittadini qualificati per la specificità della professione nel contesto del pubblico impiego.

La specificità del personale militare è sancita dalla Costituzione unitamente alla specificità dei magistrati, dei funzionari ed agenti di polizia e dei rappresentanti diplomatici e consolari. Infatti, l’art. 98 Cost. sancisce che per tali pubblici impiegati “si possono con legge stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici”. La logica di questa norma si riconnette alla singolare natura delle attività esercitate, riguardanti l’assolvimento di funzioni sovrane. In particolare, la giustizia, la difesa e la sicurezza interna ed internazionale si distinguono dalle altre funzioni istituzionali perché garantiscono il corretto svolgimento dei rapporti tra i consociati, l’integrità del territorio e la libertà dei cittadini.

Riguardano l’amministrazione di beni che non appartengono esclusivamente ad un sovrano assoluto ma sono di pertinenza di tutti i cittadini poiché la loro integrità è essenzialenon soltanto per la mera sopravvivenza bensì anche, e principalmente, per salvaguardare le condizioni di progresso e sviluppo dell’intera comunità nazionale.

L’assolvimento di tali funzioni, per la destinazione istituzionale definite sovrane, richiede da parte dei pubblici impiegati - militari e civili – una sicura imparzialità, ossia una condotta obiettiva nel perseguimento dei fini istituzionali nonché libera dai condizionamenti derivanti dall’adesione ai partiti politici. L’art. 98 Cost., in sostanza, a fronte di quanto sancito dall’art. 49 Cost. secondo cui tutti i cittadini hanno diritto di associarsi in partiti politici, assicura un equo bilanciamento con l’interesse, parimente rilevante, di garantire l’esercizio imparziale delle funzioni sovrane e attribuisce al legislatore la facoltà di apprezzare se sussista la necessità di una legge per vietare l’iscrizione ai partiti politici ovvero se la capacità e la coscienza deontologica di tali pubblici dipendenti – militari e civili - diano garanzia di imparzialità sufficiente, tale cioè da non richiedere un espresso e formale divieto.


I militari e l’esercizio dei diritti

L’allineamento dell’ordinamento delle F.A. Allo spirito democratico è avvenuto progressivamente ed ha determinato anche la rielaborazione delle norme sullo status dei militari. In tale ambito, è stata elevata al rango di legge ordinaria la normativa sulla disciplina militare, originariamente rimessa all’autorità militare. Il dibattito politico che ha animato il processo di allineamento dell’ordinamento militare allo spirito democratico ha approfondito anche la riconoscibilità e la attribuibilità dei diritti civili e politici ai militari sulla base del principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge (art. 3 Cost.). Mentre appariva inconfutabile che i militari, in quanto cittadini alle armi, dovessero essere titolari degli stessi diritti riconosciuti a tutti i cittadini, il retaggio atavico che il militare, per assolvere i propri compiti, dovesse essere privo di diritti impediva una serena ed obiettiva rivisitazione delle norme disciplinari alla luce dei principi costituzionali. Il regolamento di disciplina del 1964, approvato mentre si perfezionava l’iter della riforma dell’ordinamento militare, non regola l’esercizio dei diritti dei militari; regolamenta, invece, l’assolvimento dei doveri esplicitandone l’elevato significato deontologico. Attribuisce forma di precetto normativo ai valori etici che caratterizzano le consuetudini e le prassi della compagine militare.

Il testo di questo regolamento ha evidenziato l’inadeguatezza di un regime disciplinare ancorato ad una concezione ordinativa delle F.A. ormai superata, come tale percepita dal personale militare sia in ambito nazionale man mano che si intensificava la permeabilità tra la compagine militare e la società civile, sia in ambito internazionale con l’intensificazione della cooperazione in ambito NATO che consentiva di verificare come nei paesi con un regime democratico più avanzato (U.S.A.; U.K.) il riconoscimento dei diritti civili e politici ai militari costituiva un fatto consolidato che, per altro, non turbava, anzi migliorava, il rendimento e la produttività delle F.A.


La legge di principi sulla disciplina militare e l’esercizio dei diritti politici

Alla fine degli anni ’70 una apposita legge ha determinato i principi fondamentali sulla disciplina militare (L. 382/78). Nell’ambito di tale legge l’art. 3, sancito che ai militari spettano i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini, statuisce che per garantire l’assolvimento dei compiti delle F.A. possono essere imposti (con legge) ai militari “limitazioni nell’esercizio di tali diritti”. Coerentemente, la stessa L. 382/78 con specifiche norme sancisce particolari divieti (per es.: art. 8, divieto del diritto di sciopero) ovvero definisce le modalità per l’esercizio di alcuni diritti compatibilmente con le prioritarie esigenze istituzionali. Riguardo all’esercizio dei diritti politici l’art. 6 (L. 382/78) fissa alcuni criteri essenziali per garantire l’assoluta salvaguardia della imparzialità dell’attività istituzionale delle F.A.

In particolare, il comma 1, fissa il principio generale, per altro irrinunciabile in uno stato democratico ordinato secondo i principi dello stato di diritto, secondo cui “le Forze Armate debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche”. Questa disposizione eleva al rango di norma primaria un’analoga formulazione che nella Premessa del R.D.M. del 1964 era una mera enunciazione di principio.

In linea con l’art. 52, comma 3, Cost. Secondo cui l’ordinamento militare deve essere regolato da norme conformate allo spirito democratico della Repubblica, questa disposizione chiarisce che il limite invalicabile dell’esercizio dei diritti politici dei militari è costituito dalla necessità di assicurare l’imparzialità delle F.A., progettate come organizzazione destinata a tutelare la sovranità nazionale attraverso la difesa della Patria.

Il comma 2 (dello stesso art. 6) indica, in modo tassativo, le condizioni essenziali che i militari debbono osservare per esercitare i diritti politici. In particolare, statuisce che i militari possono partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni ed organizzazioni politiche quando: non sono in attività di servizio; non sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio; non indossano l’uniforme o si rivolgano ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali. Questa norma, coerente con il richiamato art. 98 Cost., senza sancire il divieto per i militari di iscriversi ai partiti politici, indica i criteri oggettivi che devono guidare i singoli militari nella scelta delle modalità per assicurare che la propria condotta nell’esercizio dei diritti politici risulti consona al giuramento di fedeltà alla Repubblica prestato all’inizio del servizio, attraverso la corretta osservanza del principio di mantenere le F.A. fuori dalla competizione politica. Trattasi di criteri generali poiché non risulta configurabile una regolamentazione che in modo dettagliato ed esauriente, con una elencazione tassativa di prescrizioni e divieti, indichi al singolo militare come esercitare i diritti politici.

In questo campo è essenziale il modus agendi del singolo, in particolare la sensibilità per i principi di correttezza, trasparenza, discrezione e prudenza che caratterizzano la condotta motivata dalla volontà non di perseguire l’osservanza formale delle regole bensì di cercare nelle regole i riferimenti essenziali per governare le proprie azioni ed omissioni in modo conforme all’indirizzo delle autorità politiche, e coerentemente delle autorità di vertice delle F.A., per il raggiungimento degli obiettivi istituzionali. E’ essenziale, in sostanza, la sensibilità professionale che consente al singolo militare di autodisciplinare la propria condotta trovando il giusto equilibrio tra l’esercizio dei diritti politici e l’assolvimento dei doveri di servizio.

I commi 3 e 4 (dello stesso art. 6) prevedono l’attuazione dell’art. 51 Cost. che riconosce a tutti i cittadini l’accesso alle cariche elettive. Prevedono, infatti, che i militari candidati alle elezioni politiche o amministrative possono svolgere liberamente attività politica e di propaganda “fuori dall’ambiente militare ed in abito civile”. Puntualizzano, inoltre, che per la durata della campagna elettorale i militari sono posti in licenza speciale. Adeguate garanzie sono previste per i militari di leva, eletti ad una funzione pubblica provinciale o comunale.

La legge 382/78 nulla dispone riguardo all’art. 50 Cost. che riconosce a tutti i cittadini il diritto di rivolgere petizioni alle Camere “per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità”. Mancando indicazioni di specifiche modalità da osservare nell’esercizio di tale diritto, il militare è libero di proporre o di aderire a qualunque petizione indirizzata al legislatore.

Trattasi, tuttavia, di libertà non assoluta, in quanto sussistono limitazioni naturali discendenti dalla tipicità dello status e dalla specificità della professione che caratterizzano la deontologia militare come insieme di principi non scritti, destinati a costituire criteri guida per l’autodisciplina del singolo.

In concreto, la sottoscrizione di una petizione indirizzata al legislatore costituisce sostanzialmente una manifestazione di pensiero che (art. 9 L. 382/78) il militare può realizzare liberamente, con la sola limitazione della necessità di specifica autorizzazione per la trattazione di argomenti “a carattere riservato d’interesse militare o di servizio”. Rientra, quindi, nell’autonomia del singolo militare valutare il contenuto della petizione e verificare se essa riguardi argomenti di interesse militare da trattare - previa autorizzazione - con cautela e discrezione, conformemente al soprarichiamato art. 6, comma 1, (L. 382/78).

Il dovere di imparzialità a carico del militare riguarda sia l’attività inerente all’assolvimento dei compiti istituzionali, sia la condotta realizzata al di fuori del servizio ma che, connessa - anche indirettamente - con il ruolo professionale, coinvolge l’Istituzione di appartenenza incidendo sulla imparzialità. Questa incidenza, che non può essere esattamente misurata né pesata, pregiudica la credibilità delle F.A. in modo comunque rilevante, perché lascia trasparire sommerse carenze di sensibilità istituzionale del personale che possono costituire un rischio per l’efficienza operativa e penalizzare l’assolvimento della funzione sovrana di garantire la difesa nazionale.


L’autodisciplina, garanzia per l’esercizio dei diritti politici e della democraticità dell’ordinamento militare

Oggi, nella fase di consolidamento della conformazione dell’ordinamento militare ai principi democratici, emerge con plastica evidenza che per la realizzazione dello stato di diritto, presupposto ordinativo dello stato democratico, è necessario emanare le regole ma è indispensabile assicurarne l’esatto rispetto. A tale scopo anche l’esplicitazione più dettagliata dei precetti normativi, attraverso l’indicazione tassativa di comandi e divieti, risulta sterile se proiettata in un contesto privo di fiducia sulla validità della regola scritta come strumento destinato a fornire al singolo riferimenti certi e concreti per governare la propria condotta in funzione dei compiti istituzionali da assolvere.

Oggi, dopo sessanta anni di vita democratica risulta chiaro che in democrazia sono necessarie le regole ma è essenziale la loro corretta interpretazione. Per la compagine militare, tenuto conto che la disciplina secondo l’art. 2 del R.D.M. costituisce “per i cittadini alle armi….il principale fattore di coesione e di efficienza”, la corretta interpretazione delle regole disciplinari può essere realizzata soltanto attraverso una condotta animata da sensibilità istituzionale sufficiente a rendere il singolo consapevole del proprio ruolo e capace di governare i propri comportamenti in modo da garantire pieno equilibrio tra esercizio dei diritti ed assolvimento dei doveri di servizio.

L’emergente rilevanza dell’autodisciplina è stata evidenziata dallo Stato Maggiore della Difesa che in diverse occasioni ha sottolineato l’essenzialità della correttezza del personale militare quale garanzia di esattezza sostanziale nel rispetto delle regole disciplinari. In particolare, in una specifica direttiva concernente l’adesione dei militari alla raccolta di firme per una petizione ai sensi dell’art. 50 Cost., lo Stato Maggiore della Difesa ha confermato la necessità della correttezza per assicurare che le F.A. rimangano “al di fuori delle competizioni politiche” ed ha puntualizzato che per garantire l’assoluta irreprensibilità dell’adesione alla petizione è necessario tener presente l’ineludibilità di quanto prescritto dalla L. 382/78 al fine di evitare, anche per mero riflesso, alcun coinvolgimento dell’Istituzione di appartenenza. La direttiva precisa in fine che rimane suscettibile di valutazione disciplinare, qualora accertato, qualunque comportamento non in linea con i criteri di correttezza richiamati.

Il consolidamento dell’ordinamento democratico lascia emergere come la creazione delle regole costituisca il primo passo verso la realizzazione della democrazia, che richiede il rispetto non formale bensì sostanziale delle regole. Affinché la correttezza divenga il veicolo appropriato dell’esatta osservanza delle regole è necessaria un’altra rivoluzione copernicana, capace di dare concreta realizzazione a quella che appare ancora un’utopia: l’essenzialità dell’autodisciplina.

Invero, fuori da ogni retorico auspicio di impegno personale ispirato da buonismo ideologico, occorre rimarcare come la mera dimostrazione di aver applicato le regole in modo formalmente esatto non costituisce garanzia di efficienza produttiva né assolve da responsabilità per il mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati e per infrazioni eventualmente commesse. Correttezza ed esattezza, oggi, sono complementari per realizzare i due elementi essenziali della produttività militare: coesione ed efficienza che, come ricordato, sono gli obiettivi funzionali della disciplina militare. Poiché questi elementi possono essere realizzati soltanto se percepiti dai singoli ed adottati come modus agendi, ecco come l’autodisciplina si identifica con la corretta applicazione di regole e procedure e garantisce il pieno esercizio dei diritti civili e politici.

In concreto, l’autodisciplina esce dall’utopia nel momento in cui si prende coscienza del fatto che autoregolarsi non implica negare il valore delle regole; al contrario esalta la funzione delle disposizioni “generali ed astratte” costituenti riferimento certo per quanti, al rispettivo livello di responsabilità, devono fornire il proprio contributo per garantire l’efficienza e l’efficacia di una struttura produttiva ancorata sulla organizzazione gerarchica del lavoro, funzionale all’operatività del sistema sicurezza.

L’autodisciplina, intesa come capacità di autoregolarsi, costituisce la migliore garanzia di efficacia dell’ordinamento militare anche quando le norme risultino non aggiornate o non adeguate rispetto alla peculiarità delle situazioni concrete.

Soltanto una collaudata capacità di autoregolarsi consente di trovare, attraverso una prudente interpretazione evolutiva, anche in norme non aggiornate il riferimento congruo e razionale per individuare il modo più corretto, nel rispetto delle regole generali, per affrontare situazioni incerte.

In tal guisa, l’autodisciplina costituisce anche lo strumento indispensabile per l’esercizio dei diritti politici da parte dei militari senza limitazioni, ma con la correttezza necessaria che consente di misurarne la compatibilità con l’assolvimento dei doveri professionali.

Col. Antonino Lo Torto

capo Ufficio affari giuridici Stato Maggiore della Difesa

lunedì 25 ottobre 2010

Agevolazione per l'acquisto della prima casa del Personale delle Forze di Polizia

in "Il Fisco" n. 43 del 25/11/2002

Nell'anno 2001 un appartenente alle Forze di polizia, in servizio permanente, ha acquistato un immobile, in comproprietà con il coniuge, fruendo dell'agevolazione "prima casa".

In caso di trasferimento di tutta la famiglia in un'altra regione, prima che sia decorso un quinquennio dalla data di acquisto dell'immobile, l'agevolazione di cui all'art. 66 della L. 21 novembre 2000, n. 342 spetta anche al coniuge fiscalmente a carico dell'appartenente alle Forze di polizia?


Risposta - Per il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia ad ordinamento militare nonché ad ordinamento civile, l'art. 66 della L. 21 novembre 2000, n. 342, ha stabilito che ai fini dell'applicazione del regime agevolativo Iva e Registro previsto per l'acquisto della prima casa, non è richiesta la condizione della residenza nel comune ove sorge l'unità abitativa.
Del pari, ai fini delle imposte sui redditi è sempre consentita la detrazione Irpef in riferimento ai mutui ipotecari, a prescindere dal presupposto della dimora abituale.
In merito, con circolare n. 207/E del 16 novembre 2000 (in "il fisco" n. 46/2000, pag. 13816), è stato precisato, tra l'altro, che il personale di cui trattasi può acquistare l'immobile in regime agevolato senza peraltro dover stabilire entro un anno la propria residenza nel comune in cui è situato l'immobile.

Tuttavia l'interessato non deve essere titolare di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione, di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l'immobile da acquistare, nonché, con riferimento a tutto il territorio nazionale, di altra casa di abitazione, neppure per quote, acquistata con le agevolazioni "prima casa" succedutesi nel tempo.
Ne deriva, con riferimento al quesito posto dal Lettore, che il cambio di residenza prima del trascorrere del quinquennio non ha riflessi sull'agevolazione di cui trattasi, tenendo tuttavia conto di quanto sopra esposto.
Ciò posto, la titolarità dell'agevolazione spetta al personale delle Forze armate e di polizia e non può essere trasferita al coniuge fiscalmente a carico in quanto, in base alle regole generali dell'ordinamento tributario, ciascun contribuente è titolare di una propria soggettività passiva e attiva ai fini fiscali, non trasferibile ad altro soggetto se non nei casi espressamente previsti dalla legge.

E.L.

sabato 23 ottobre 2010

Meeting internazionale sui diritti dei cittadini europei


Con l’introduzione del presidente dell’Assemblea legislativa Rosario Monteleone ha preso avvio a Genova questa mattina nell’Aula del Consiglio regionale il quindicesimo convegno dell’Associazione dei giudici amministrativi tedeschi, italiani e francesi. Il tema al centro del meeting internazionale è quello dei diritti riconosciuti a tutti i cittadini europei dopo l’entrata in vigore, il primo dicembre del 2009 del Trattato di Lisbona.

Dopo aver portato a tutti i partecipanti i saluti dell’Assemblea e ringraziando gli organizzatori per aver scelto la Liguria come sede del confronto, Monteleone ha definito l’appuntamento annuale dell’Associazione un vero e proprio laboratorio interculturale alla ricerca di criteri di orientamento per le pratiche legislative degli Stati membri. «Il convegno odierno – ha spiegato – dedicato ai diritti fondamentali dopo il Trattato di Lisbona, indaga concetti quali “diritti dell’uomo“ e “libertà fondamentali”, vere basi del sistema dei diritti costituzionali». Secondo il presidente Monteleone «si tratta di principi generali del diritto comunitario le cui implicazioni potrebbero portare ad una applicazione diffusa delle norme della Convenzione Europea da parte di ciascun giudice nazionale. Per la prima volta – ha aggiunto – principi che stanno alla base degli enunciati comunitari potrebbero costituire criteri di orientamento per la giustizia amministrativa di tutti gli Stati membri». il presidente ha concluso con una riflessione: «Lascio agli illustri relatori di questo convegno l’analisi dei possibili percorsi di questa integrazione giuridica ancora tutta da “scrivere” ma credo vi siano ambiti per i quali esiste una maturità diffusa, trasversale alle diverse comunità nazionali, che precorre l’applicazione normativa dei nuovi postulati. Soprattutto così, si fa l’Europa, quella delle coscienze e del sentire condiviso, quella di valori ritenuti irrinunciabili e di diritti non negoziabili».

Il secondo intervento è stato quello di Alessandro Repetto, presidente della Provincia di Genova «Questi sono temi generali, ma fondamentali per la vita quotidiana.– ha detto – Troppe volte l’Europa viene letta solo in termini monetari ed economici. L’Europa ha la necessità di cogliere l’uniformità dei termini giuridici. Il fatto che il convegno sia a Genova sollecita le autorità locali a una lettura che esula da aspetti quotidiani e locali. I cittadini europei attendono una risposta sui diritti delle persone: devono essere riconosciuti in maniera uniforme e univoca».

A nome del presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo, Jean-Paul Costa, che non ha potuto partecipare Patrick Kintz, presidente dell’Associazione giudici italiani, tedeschi, francesi ha aperto il convegno. «L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona – ha detto Kintz, leggendo il messaggio di Costa – è il risultato concreto di anni di dibattito internazionale nell’Unione sui diritti umani fondamentali». Grazie al Trattato, secondo Costa, l’Europa si è rafforzata e gli stati membri hanno potuto costruire insieme uno spazio unico dei diritti fondamentali, assicurando ai cittadini europei una maggiore tutela.

«Questa giornata di studi – ha detto Marta Vincenzi, sindaco di Genova – ha un grande valore perché da alcuni anni intendiamo porci come luogo dove il tema dei diritti umani e civili viene dibattuto e diventa parte integrante del nostro essere comunità. Abbiamo iniziato a pensarlo durante il G8 del 2001, durante il quale accaddero fatti che per qualche tempo ci hanno fatto dubitare che potessimo parlare di diritti nei termini in cui sono espressi dalla nostra Costituzione. Da lì siamo partiti per elaborare il lutto di quell’occasione e riflettere sul recupero della consapevolezza dei diritti fondamentali dell’uomo. Ogni giorno incontriamo problemi che riguardano diritti fondamentali che erroneamente diamo per acquisiti e sono invece quotidianamente minacciati dal veleno delle razzismo, delle lotte, delle nuove criminalità. Credo che il Trattato di Lisbona ponga la libertà, la giustizia e la sicurezza come priorità e ci faccia fare un passo avanti, ma non ci si deve fermare. Mi auguro che il dibattito di oggi indichi nuovi traguardi».

Santo Balba, presidente del Tribunale amministrativo della Liguria, ha gettato sul piatto il nocciolo del convegno e cioè quale livello di diritti godono i cittadini europei ed in particolare se i diritti e le libertà fondamentali sancite all’interno della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione precedano direttamente nella gerarchia delle fonti giuridiche quelli stabiliti dalle eleggi statali o regionali. Prima del Trattato di Lisbona, che è entrato in vigore il primo dicembre del 2009, infatti nel caso di conflitto fra normative europee, leggi nazionali e regionali, la prevalenza non era diretta ma mediata da un tentativo di interpretazione. A questa interpretazione seguiva spesso la non applicazione e talvolta l’aperta violazione delle norme comunitarie.

L’avvocato Giovanni Spadea del foro di Milano ha sostenuto che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1 dicembre 2009), la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali nell’ambito dell’Unione Europea ha trovato una sistemazione definitiva, senza bisogno di ulteriori recepimenti normativi. Anche in Italia, dunque, il giudice ha oggi il potere di applicare le norme europee, anche in virtù del fatto che rimarcano diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Costituzione. In caso di contrasto tra la norma europea e quella nazionale, il giudice può direttamente applicare la norma del Trattato di Lisbona, senza chiedere ulteriori pareri.

Una giurisprudenza in sintonia con la Convenzione già dal 1989.

«Il giudice amministrativo francese ha già compiuto la sua rivoluzione in questo campo – ha spiegato Bruno Bachini del Consiglio di Stato di Parigi – da oltre 20 anni con la giurisprudenza “Nicolò” adottata dal Consiglio di Stato nel 1989 con cui il supremo giudice amministrativo francese ha deciso di trarre completamente le conseguenze del carattere univoco della costituzione della V Repubblica e in particolare del suo articolo 55, il quale dispone che: “trattati o accordi regolarmente ratificati o approvati hanno, sin dalla loro pubblicazione, un’autorità superiore a quella delle leggi, fatta salve, per ogni accordo o trattato, l’applicazione reciproca”». Bachini spiega infatti: «La giurisdizione amministrativa francese è obbligata a verificare, ogni volta che il motivo è sollevato, la compatibilità delle norme legislative e regolamentari con le norme sovranazionali dei trattati, tra cui, prima per rango, figura, naturalmente, la convenzione europea dei diritti dell’uomo». E dopo più di 20 anni «si può constatare che la legge francese è stata regolarmente arricchita da questa applicazione diretta delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel diritto interno». Secondo Bachini, infine, il «Trattato di Lisbona non dovrebbe, a priori, mutare le modalità ed il contenuto del controllo attualmente esercitato dal giudice francese per quanto riguarda il rispetto, nel diritto interno, delle libertà garantite dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo» e conclude «il giudice amministrativo francese è oggi, in questo settore, sempre più portato a fare i conti con tre fonti di diritto fondamentale: la Costituzionale nazionale, dalla CEDU e dall’UE».

Stefan Derpa (Bundesverwaltungsgericht Lipsia) nell’illustrare come le norme della Convenzione europea si inseriscano nell’ordinamento tedesco-federale ha innanzitutto sottolineato che «l’ordinamento tedesco ha un’ ampia apertura verso il diritto comunitario, tramite l’articolo 23 della Costituzione». Ha quindi ricordato che c’è una sorta di “vigile guardiano” a controllare i rapporti e a dirimere le controversie, insieme alla Corte di Giustizia europea: la Corte costituzionale federale tedesca.

C’è talvolta – ha detto Derpa – un conflitto tra diritto comunitario e nazionale. A tal proposito ha ricordato alcune sentenze per dirimere le controversie.

«L’autonomia del diritto comunitario – ha puntualizzato – esclude che il diritto nazionale possa avere la priorità».

Ma ha aggiunto che rimane ampia libertà per l’applicazione dei diritti fondamenti previsti dall’ordinamento tedesco o, comunque, nazionale». Ricordando, quindi, che alcune sentenze hanno consentito, con successo, di appellarsi ai diritti fondamentali tedeschi. Il Trattato di Lisbona – ha sottolineato il relatore – ha ampliato ulteriormente il potere dell’Unione. In conclusione Derpa ha ricordato che la Corte Costituzionale federale tedesca è una sorta di “riserva eccellente” che difficilmente entra in campo.

«La costituzione nazionale dei singoli paesi europei va ammodernata per adeguarla al nuovo quadro europeo – ha spiegato Patrick Kintz, presidente dell’associazione dei giudici italiani, tedeschi e francesi, che esiste da 15 anni e annovera anche avvocati e professori di diritto. – In questa direzione Francia e Germania hanno già fatto notevoli passi avanti, mentre in Italia ci sono ancore molte difficoltà».

Durante i lavori del pomeriggio i giuristi, riuniti in tavole rotonde – discuteranno casi concreti e che si sono posti nei vari paesi e discuteranno di come sono stati affrontati nello specifico.

Heinrich Zens, presidente dell’Unione dei giudici amministrativi europei Verwaltungsgerichtshof Vienna ha in primo luogo ricordato che, analogamente a quanto accade nel suo Paese, l’Austria, in altri Stati europei, e tra questi la Slovenia, la Convenzione viene considerata alla stregua del diritto costituzionale. Al contrario, nel Regno Unito c’è l’accettazione di un’incompatibilità con la Convenzione: se una legge è contraria alla Convenzione, rimane in vigore fino a che il Parlamento non la modifica.

Zens ha, infine, rimarcato come la Carta dell’Unione preveda la trattazione di controversie entro un congruo termine: «Non rispettarlo da parte dei Paesi membri dovrebbe significare incorrere in un’infrazione ».

Il Presidente del Consiglio regionale, Rosario Monteleone ha quindi concluso i lavori della mattinata annunciando che il premio intitolato alla memoria del professor Fausto Cuocolo, giunto quest’anno alla sua terza edizione, si terrà anche il prossimo anno.

link alla notizia qui: Albenga Corsara

venerdì 22 ottobre 2010

Protesta davanti al ministero della Difesa per impedire la "morte civile dei cittadini in uniforme"


"Lasciamo la pelle in guerra e nessuno ci ascolta"

Manifestazione di militari per chiedere “diritti” - AUME accusa la Difesa di "contro-programmare" per richiamare la stampa durante l'evento


MIGUEL GONZÁLEZ - Madrid - 16/10/2010

Pochi ma pacifici. Centinaia di soldati - 2000, secondo gli organizzatori, 150, secondo la difesa, - si sono concentrati questo pomeriggio presso la sede del Ministero per reclamare "una carriera piena di dignità e diritti", che a loro avviso non garantisce la controversa legge sulla carriera militare e la nuova legge sui diritti e doveri dei membri delle Forze Armate.
L'evento, organizzato dall'Associazione unificata dei militari spagnoli (AUME) è iniziato con un omaggio ai caduti in servizio, come la sfilata del giorno 12. A differenza di allora, non c'erano fischi o grida, ma un rispettoso silenzio mentre un violoncellista ha interpretato il tema del film Schindler's List. E questo senza alcun "protocollo, come sottolineato da Mariano Casado, segretario generale della AUME, riferendosi alla proposta Chacón di regolamentare la Giornata Nazionale.

Il Ministero della Difesa non ha visto di buon grado il buon umore della folla e ha invitato i giornalisti durante l'evento, che gli organizzatori hanno descritto come "contro-programmazione". Un portavoce della difesa dice che il suo scopo non era quello di boicottare la manifestazione, ma per offrire le proprie opinioni. Il segretario, Maria Victoria San José, non ha permesso nessuna domanda, ha semplicemente constatato miglioramenti per i militari da quando governa Zapatero.

In strada, il momento più emozionante è stato vissuto quando due feriti dalle guerre in Afghanistan e in Iraq, il soldato sergente Ruben Lopez e Sergio Santisteban, sono saliti sulla tribuna. "Abbiamo lasciato la salute, la pelle e la famiglia e, come più grande esempio del nostro impegno, ci sono morti in guerra molto lontana da casa nostra", ha letto Ruben, 22 anni, al quale una bomba ha tagliato una gamba nel 2007. Tuttavia, ha aggiunto, "né siamo ascolto, né siamo rispettati, né siamo curati. Semplicemente si dimentica e si ignora il nostro status, come persona e cittadino".

Jorge Bravo, Presidente della AUME e brigadiere attivo, ha criticato il capo dell'Esercito di Terra per esclusione dei rappresentanti democraticamente eletti dei militari, quando il Parlamento deve ancora avere l'ultima parola. Fonti della Difesa hanno sottolineato che i partecipanti alla manifestazione sono equivalente al solo 0,1% dei militari. Poca cosa. Ma l'associazionismo è un neonato all'interno delle Forze Armate e ora conta fratelli maggiori: le organizzazioni di maggioranza della Polizia Nazionale e della Guardia Civil, tra gli altri, appoggiano oggi le loro rivendicazioni.


www.elpais.com/

VIDEO: L'Associazione Unificata dei Militari Spagnoli (AUME) protesta davanti al ministero della Difesa per impedire di procedere con la "morte civile dei cittadini in uniforme"

http://www.youtube.com/watch?v=kSWBj5VWFfY


giovedì 21 ottobre 2010

NELLA LONTANA EUROPA SI PARLA DI MILITARI E LIBERTA'


4 ° Forum Mondiale sui diritti umani - Tavola rotonda EUROMIL sui diritti umani per i militari

Il Forum Mondiale sui diritti umani è la sede sotto il patrocinio dell'UNESCO per un ampio pensiero e intenso dibattito sulle questioni dei diritti umani, e soprattutto per promuovere le migliori pratiche nei confronti la promozione dei diritti umani.

Il Presidente di EUROMIL Emmanuel Jacob, il Vice Presidente colonnello (in pensione) Bernhard Gertz e il Segretario Generale Gerhard Ahlbrecht così come Jorge Bravo, Presidente della Asociación de unificada Militares Españoles (AUME), hanno partecipato attivamente al quarto Forum mondiale sui diritti umani a Nantes, il 28 giugno - 1 luglio. In una tavola rotonda sul diritto di associazione, organizzato da EUROMIL, i partecipanti hanno delineato le condizioni contrastanti per i membri delle forze armate in Germania e Spagna.

Il Vice Presidente Gertz ha commentato la situazione tedesca, spiegando che l'art. 9 III della Costituzione tedesca garantisce il diritto di associazione ad ogni cittadino senza alcuna limitazione. Soldati e ufficiali possono aderire ad associazioni professionali o sindacali, poiché il diritto di associazione è attuata messo in pratica anche nella vita militare e politica da leggi federali, da accordi e contratti. L'associazione delle forze armate federali tedesche (DBwV), fondata nel 1956, conta 210.000 membri, mentre il più grande sindacato dipendenti pubblici (Ver.di) conta circa 300 membri militari.

Il Vice Presidente ha spiegato che il governo è obbligato per legge a consultarsi con l'associazione prima di introdurre un progetto di legislazione del Parlamento riguardante i militari. L'associazione ha il diritto di presentare osservazioni scritte, che sono poi aggiunte alle proposte legislative. Tuttavia, i negoziati iniziano di norma a livello di lavoro tra il Ministero della Difesa e l'associazione prima che nuovi regolamenti siano redatti. In caso che consultazioni a livello di lavoro non siano riuscite, un incontro per risolvere il problema sarà spesso direttamente tra il Ministro della Difesa (o uno dei suoi rappresentanti) e il Presidente dell'associazione. In parallelo, i membri del consiglio del DBvW contattano la commissione Difesa, Comitato del bilancio, Commissione degli Affari Esteri e il Comitato Interno del Parlamento tedesco.

Il Vice Presidente Gertz ha spiegato che l'influenza del DBwV nella politica tedesca è anche il risultato di un buon contatti con i media (TV, radio, stampa), che regolarmente consultano l'associazione sulle questioni militari.

Il presidente del AUME, Jorge Bravo, ha rappresentato un quadro più debole della situazione attuale in Spagna. L'ordinanza reale per le Forze Armate (RR.OO) continua a condizionare pesantemente l'esercizio dei diritti fondamentali dei membri delle forze armate. L'Art. 181 (RR.OO), per esempio, stabilisce che i militari, i cui interessi lo Stato si prende cura, non possono partecipare a sindacati. Jorge Bravo ha spiegato che questo articolo, tuttora in vigore, direttamente violi con la Costituzione spagnola (CE), in cui si afferma che tutti i cittadini spagnoli hanno il diritto di associazione.

Non vi è menzione di eccezioni, né restrizioni o qualifiche per quanto riguarda il personale militare - i cittadini in uniforme. Eppure, solo da una sentenza della Corte costituzionale le associazioni militari sono ammesse ad operare, anche se i membri delle forze armate possono appartenere ad altre associazioni legalmente autorizzate di carattere religioso, culturale e sportivo o sociale. Il fatto, inoltre, che la libertà di parola è soggetta a autorizzazione da parte della catena di comando fa sì che il la libertà di espressione contenuta nell'art. 178 RR.OO è spesso ridotta. Di conseguenza tutte le attività delle associazioni professionali sono soggette alla discrezionalità delle autorità politiche e militari.

Nel quadro del 4 ° Forum mondiale Human Rights, EUROMIL è stato in grado di discutere di un nucleo della questione, ossia che il diritto fondamentale alla libertà di riunione e di associazione per la tutela di interessi vale anche per i soldati, con interesse del pubblico.

EUROMIL NEWS Issue 14 / October 2010

martedì 19 ottobre 2010

I DUBBI ED I MERITI DEL PREMIO ANTIEVASIONE


In settembre la CDC Spa si è aggiudicata la gara europea indetta dal Fondo di Assistenza per i Finanzieri (FAF) per la fornitura di beni e prodotti informatici (personal computer e relativi accessori) a favore di tutti i militari del Corpo della Guardia di Finanza in servizio al 31 dicembre 2008, per una somma complessiva di 20 milioni di euro.

Si tratta, come molti lettori del sito www.ficiesse.it ben sanno, dell'approdo finale dell'ormai nota questione del riconoscimento ai Finanzieri di quota parte dei proventi del cd. Premio antievasione del 2007, valido da oltre 10 anni ai dipendenti delle Agenzie fiscali (per il 2009 si tratta di 194 milioni) sotto forma di incentivi monetari percepiti direttamente dagli interessati.

In questa sede non interessa disquisire sui motivi per i quali, dopo un incessante impegno specifico da parte della Rappresentanza Militare della GdF, stavolta in una inedita sinergia con i vertici del Corpo, si sia giunto al riconoscimento sotto forma di un benefit da parte del FAF (anche solo per un 10% del totale), invece che ad una elargizione diretta nelle tasche degli interessati.

Mi preme solo ricordare brevemente che, in buona sostanza, la natura militare ed ibrida del Corpo, che lo colloca in diversi comparti e settori della P.A., oltre a non consentire al personale un'adeguata rappresentanza sindacale e la conseguente contrattazione, ha reso “politicamente” impraticabile la strada dell'emolumento diretto (per rinfrescarsi la memoria si vedano i documenti elencati al termine della presente esposizione ed in particolare l’articolo di Gianluca Taccalozzi del 06 luglio 2008)

Tornando alla ormai prossima (?) conclusione della vicenda, per quanto riguarda il premio del 2007, sono stati sollevati alcuni dubbi da parte del personale in relazione all'esito della gara sotto l'aspetto della convenienza per il personale.

In particolare le maggiori critiche vengono indirizzate alla tipologia di beni che saranno forniti ed al prezzo di vendita (ricordo che il FAF contribuirà fino a 315€ a persona e che eventuali sovrapprezzi dovranno essere integrati dagli interessati).

Spinto dalla curiosità e da una buona dose di tempo libero, nei giorni scorsi mi sono andato a rileggere il bando europeo emanato dal FAF, il tutto obbligatoriamente pubblicizzato sulla Gazzetta Ufficiale oltre che sul sito intranet del Corpo alla voce “Bandi e Avvisi di Gara”.

Innanzitutto va ricordato che la gara europea (necessaria per il valore da aggiudicare) ebbe inizio nel dicembre 2009 con la pubblicazione nella G.U.C.E. dell'invito a partecipare alla procedura ristretta per quelle imprese, o raggruppamenti di imprese, che avessero determinati requisiti tra i quali i principali erano:

· fatturato realizzato nell'ultimo triennio non inferiore ad € 100.000.000,00 (di cui almeno € 20.000.000,00 per pc);

· disponibilità di una struttura di vendita/distribuzione aperta al pubblico capillare sull’intero territorio nazionale.

Una volta giunte le adesioni alla procedura ristretta da parte delle imprese dotate dei suddetti requisiti (sette) il FAF ha provveduto ad emanare il vero e proprio bando di gara, scadente il 30 luglio 2010, con l'indicazione nel dettaglio del contratto di fornitura e dei criteri di aggiudicazione.

Molto sinteticamente l'aggiudicazione è avvenuta sulla base di un punteggio attribuito su tre criteri:

· la diffusione dei punti vendita sul territorio nazionale (max 40 punti);

· la presenza nel listino di note marche del settore informatico (max 20 punti);

· il riconoscimento di uno sconto rispetto i prezzi praticati al pubblico (max 40 punti).

La CDC, vincitore della gara per la quale hanno presentato offerte valide solo due operatori, stipulerà quindi una convenzione col FAF che fornirà all'impresa l'elenco dei militari che hanno diritto all'acquisto.

Gli interessati potranno acquistare tutti i prodotti ed i servizi offerti in convenzione (sostanzialmente pc anche portatili ed accessori) presso i Punto Vendita elencati nell'offerta d'appalto; i negozi applicheranno gli sconti dichiarati sui prezzi praticati al pubblico, quest'ultimi fissati in sede di sottoscrizione della convenzione.

A proposito dei prezzi, la ditta vincitrice dovrà fornire, subito dopo la sottoscrizione del contratto col FAF, l’elenco dei prodotti con i relativi prezzi di vendita al pubblico scontati; la ditta potrà anche vendere al militare altro materiale informatico, anche non collegabile a computer, ma con le medesime percentuali di sconto previste per gli accessori.

Il negozio emetterà fattura al FAF fino ad € 315,00 mentre per l'eventuale importo eccedente il documento fiscale sarà emesso all’acquirente che sottoscriverà una ricevuta di presa in consegna del bene; tali cessioni saranno tracciabili con un sistema informatico in modo che il FAF ne abbia contezza.

Mi si permetta alcune considerazioni finali sulla procedura adottata e sul suo esito: è stato fatto tutto bene? O si poteva fare meglio?

Sinceramente non mi sento di dare un giudizio netto. I criteri adottati per l'aggiudicazione mi paiono propensi a favorire l'obiettivo di raggiungere efficacemente la maggior platea possibile di fruitori (tramite la capillarità della rete di vendita e l'ampiezza dell'offerta) rispetto magari alla convenienza economica (i prezzi di vendita vengono fissati solo dopo l'aggiudicazione).

D'altra parte se fosse prevalsa la valutazione inversa penso che sarebbe stato ben difficile giudicare sulla base della convenienza economica se non restringendo l'offerta di beni a pochi prodotti comparabili tra loro.

Si consideri che è stata la prima applicazione di una elargizione che fino a pochi anni fa non era prevista e che da quest'anno è divenuta invece annuale e stabile, anche se ridotto al 5% del totale (vgs manovra finanziaria 2010).

Probabilmente l'acquisto di beni mal si presta ad accontentare tutte le esigenze ed un utilizzo pronto ed efficiente delle somme; personalmente penso che la stabilizzazione della previsione normativa consentirebbe un più efficiente impiego nell'acquisto di servizi alla persona piuttosto che beni materiali (es. abbonamenti, polizze, etc)

La prima volta può quindi essere vista positivamente come un'occasione per sperimentare e conoscere eventuali criticità, onde definire in futuro una best practice da parte del FAF.

Infine mi si consenta di ricordare che tali somme provengono dal recupero dell'evasione fiscale e non dalle tasche dei Finanzieri e che la loro gestione è affidata a persone scelte dalle Autorità di vertice del Corpo e non dal personale, né direttamente né indirettamente tramite gli organi di rappresentanza; pertanto eventuali critiche non andrebbero indirizzate a coloro che si sono prodigati, esponendosi in prima persona, per ottenere un benefit prima non previsto.

Ma d'altra parte la Rappresentanza è l'anello debole del sistema militare e giustamente i delegati vengono chiamati a rispondere del loro operato da parte degli elettori; molto meno scomoda la situazione di chi non deve rispondere ad una moltitudine di persone, essendo nominato dall'alto e non dal basso.

Sullo stesso argomento:

PREMI ANTIEVASIONE, IL CONSIGLIO DI STATO SOSPENDE IL PARERE E RIMANDA LA QUESTIONE ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO. DUBBI CIRCA GLI EFFETTI SULLE ALTRE FORZE DI POLIZIA - mercoledì 02 luglio 2008

http://www.ficiesse.it/home-page/2340/premi-antievasione_-il-consiglio-di-stato-sospende-il-parere-e-rimanda-la-questione-alla-presidenza-del-consiglio_-dubbi-circa-gli-effetti-sulle-altre-forze-di-polizia


ITALIAOGGI: "INCENTIVI ALLA GDF, SI ALLUNGA L'ATTESA. IL CONSIGLIO DI STATO CHIEDE CHIARIMENTI" (di Antonio G. Paladino)

giovedì 03 luglio 2008

http://www.ficiesse.it/home-page/2341/italiaoggi_-incentivi-alla-gdf_-si-allunga-l_attesa_-il-consiglio-di-stato-chiede-chiarimenti-_di-antonio-g_-paladino_

TREMONTI E CONSIGLIO DI STATO CONFERMANO CHE, SENZA CONTRATTAZIONE INTEGRATIVA, DIFFICILMENTE CI POTRANNO ESSERE PREMI ANTIEVASIONE PER IL PERSONALE GDF - di Gianluca Taccalozzi - domenica 06 luglio 2008

http://www.ficiesse.it/home-page/2351/tremonti-e-consiglio-di-stato-confermano-che_-senza-contrattazione-integrativa_-difficilmente-ci-potranno-essere-premi-antievasione-per-il-personale-gdf---di-gianluca-taccalozzi

NIENTE PREMIO ANTIEVASIONE SENZA CONTRATTAZIONE, CONGELATI I 20 MILIONI DAL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DEL FAF

martedì 16 giugno 2009

http://www.ficiesse.it/home-page/3138/niente-premio-antievasione-senza-contrattazione_-congelati-i-20-milioni-dal-consiglio-di-amministrazione-del-faf

venerdì 15 ottobre 2010

LA REPRESSIONE DEI MILITARI IN POLITICA

Militari e politica: il PSD denuncia sette generali

Roma, 12 ott - Tredici segreterie regionali, otto dipartimenti, migliaia di iscritti, questi sono i "numeri" di una giovane formazione politica nata circa un anno fa, il "Partito Sicurezza e Difesa - PSD", che ha riscosso immediatamente un largo consenso non solo nel mondo delle divise ma anche tra i comuni cittadini.

Ad interessarsi di questo partito, prima ancora degli operatori del comparto e dei comuni cittadini, sono state le gerarchie militari, preoccupatissime per i consensi che il nascente partito sta acquisendo ad una velocità davvero ragguardevole.

La Repressione

Tutto è cominciato quando alcuni dirigenti regionali del PSD, si sono visti recapitare da parte dei rispettivi organi gerarchici un invito a recedere dalla loro carica. La legge prevede ampie libertà di partecipazione alla vita politica del Paese, persino per chi indossa una divisa, ma alcuni generali di La Russa non vogliono sentir ragioni ed hanno avviato dei procedimenti disciplinari nei confronti dei loro sottoposti che ricoprono cariche all'interno del PSD nonostante la delicatissima materia che tratta dei supremi principi costituzionali e democratici.

Per la verità, inizialmente, alcuni generali hanno provato a spiegare ai vertici militari la liceità e la legalità dell'operato dei propri sottoposti, come ad esempio i generali dei carabinieri Vincenzo Giuliani e Carlo Gualdi, che con due distinte lettere hanno spiegato che l'iscrizione ai partiti politici non solo è lecita (e quindi non perseguibile disciplinarmente) ma protetta da precise norme di rango costituzionale e legislativo. Sempre i medesimi generali hanno spiegato chiaramente al Comando generale (che comunque conosce molto bene la materia) che anche l'attività politica condotta dai militari non in servizio, in abiti civili e fuori dai luoghi di servizio è parimenti lecita e pienamente esercitabile. Di seguito i link per leggere le missive dei due generali:

Lettere dei gen. Giuliani e Gualdi


Tutto OK allora? Neanche per idea!

Evidentemente le gerarchie militari, forse atterrite dalla prospettiva che i militari acquisissero consapevolezza dei propri diritti, impartiscono un ordine criptico proveniente addirittura dal Gabinetto del ministro La Russa. Sì proprio lui, quello che chiama i militari "i nostri ragazzi". Ecco il link dal quale scaricare la direttiva del Gabinetto della Difesa
.

Analizzando il contenuto di questa oscura circolare del Gabinetto della Difesa, vi si legge un improbabile giro di parole a firma del generale Biagio Abrate: «l’iscrizione in argomento, ancorché – in sé – non vietata, è da intendersi assorbita dal divieto di esercizio di attività politica
». Tecnicamente questa frase costituisce quello che nella lingua italiana viene chiamato un ossimoro, una figura retorica che consiste nell'accostamento di due termini in forte antitesi tra loro, come ghiaccio bollente, silenzio assordante, etc. In questo caso l'ossimoro è costituito dal concetto "il diritto assorbito dal divieto", perchè delle due l'una: o esiste in capo ai militari il diritto di iscrizione ad un partito politico oppure esiste un divieto in tal senso. Entrambi, evidentemente, non possono esistere!

Fermiamoci un attimo e riassumiamo i termini della questione per spiegare come e perchè
i militari hanno tutto il diritto di iscriversi ad un partito politico e fare attività politica, come hanno abbondantemente illustrato i due generali, Giuliani e Gualdi:

L'art. 49 della Costituzione stabilisce che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale
». La potestà di limitare con legge tale diritto, prevista dal successivo articolo 98, non è stata mai esercitata dal Parlamento nei confronti dei militari di carriera in servizio attivo. Il diritto di iscrizione ai partiti politici inoltre è attualmente pienamente esercitabile anche dalle Forze di Polizia.

Le uniche, parziali, limitazioni poste nei confronti del predetto personale all’esercizio di attività politica non riguardano affatto il diritto di iscrizione ai partiti politici, come detto costituzionalmente garantito e tutelato, ma mirano, con comprensibile buon senso, esclusivamente a separare l’attività di servizio – svolta in uniforme o in abiti civili – dalla quella politica fatta a titolo personale, per esempio tramite la individuale partecipazione a manifestazioni o a riunioni promosse da soggetti politici.
In questo modo, si garantisce dal punto di vista formale l’estraneità delle Forze armate e delle Forze di polizia, unitariamente intese, dall’agone politico in tutte le sue forme ed espressioni.

Per i militari, tutto ciò è codificato dall’art. 6 della legge 11 luglio 1978 n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare
), secondo il quale «le Forze armate debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche. Ai militari che si trovano nelle condizioni previste dal terzo comma dell'articolo 5 è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative. I militari candidati ad elezioni politiche o amministrative possono svolgere liberamente attività politica e di propaganda al di fuori dell'ambiente militare e in abito civile. Essi sono posti in licenza speciale per la durata della campagna elettorale».

Detto articolo 6, quindi, richiamando il terzo comma dell’art. 5 della medesima legge, stabilisce che le limitazioni riguardano esclusivamente i militari che si trovino nelle seguenti condizioni:
a) svolgono attività di servizio;
b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;
c) indossano l'uniforme;
d) si qualificano, in relazione a compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali.


Per converso quindi, i militari che
non si trovino nelle predette condizioni ben possono «partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed amministrative».

La legge n. 382/78 quindi, nel disciplinare i rapporti tra militari e l’attività politica,
non prevede generiche limitazioni suscettibili di interpretazioni estensive, ma elenca tassativamente le fattispecie vietate, giacché ritenute suscettibili di compromettere l’estraneità delle Forze armate (intese unitariamente) dalla dialettica politica, attuando il dettato costituzionale, sintetizzato sia dall’art. 1 della medesima legge, secondo cui «Le Forze armate sono al servizio della Repubblica; il loro ordinamento e la loro attività si informano ai principi costituzionali» sia dall'art. 3: «Ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini».

Riprendiamo adesso l'avventuroso racconto.

Vista l'esistenza della direttiva-ossimoro del Gabinetto di La Russa, il generale Ilio Ciceri, all'epoca sottocapo di stato maggiore del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, comunica urbi et orbi
una sua personale direttiva dove aggiunge inoltre alcune infondate quanto fantasiose argomentazioni giuridiche, secondo le quali «anche la sola presenza di un certo numero di militari tra i tesserati di un partito potrebbe consentire di argomentare in ordine all’espressione di preferenza politica della Compagine militare» concludendo che «è, dunque, comportamento suscettibile di assumere rilievo sotto il profilo disciplinare, per violazione, fra tutte, della fattispecie regolata dal n. 9 dell’allegato “C” al d.P.R. n. 545/86», (Comportamento lesivo del principio della estraneità delle Forze Armate alle competizioni politiche, punibile con la sanzione di rigore). Sorge allora spontanea la domanda: come si fa a sapere quanti militari sono iscritti ad un determinato partito politico visto che questo dato è classificato, secondo il garante della privacy, come "sensibile"?.

Leggi la direttiva del generale Ilio Ciceri.

I generali fanno dietrofront


A questo punto gli obbedientissimi generali Vincenzo Giuliani e Carlo Gualdi, che si erano inizialmente sforzati di far capire al Comando Generale l'impossibilità di agire disciplinarmente contro quei militari iscritti in un partito politico, dimenticano quanto da essi stessi sostenuto e si danno ad un precipitoso dietrofront. L'obbedienza cieca li fa passare dal ruolo di difensori a quello di carnefici. La prova? Eccola: di seguito il link per visionare una comunicazione con la quale il generale Giuliani non solo intima ad un maresciallo di recedere dalla carica ricoperta in seno ad un partito politico, ma addirittura gli paventa la cessazione dal servizio permanente per decadenza.

Clic qui per leggere il documento del generale Giuliani .

Ai vertici politici del PSD, loro malgrado, non resta altro da fare se non denunciare tutto alla magistratura fornendo una quantità di prove documentali davvero poderosa che inchioderebbero una pluralità di generali e colonnelli (non solo dei carabinieri) i quali, in associazione fra loro, a parere del PSD, avrebbero commesso il reato di «Attentato contro i diritti politici del cittadino
», previsto dall'art. 294 del codice penale che prevede pene da uno a cinque anni per «chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in tutto o in parte l'esercizio di un diritto politico, ovvero determina taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua volontà».

L'interrogazione parlamentare


La vicenda in questione è finita in Parlamento dove Di Stanislao (IDV) ha chiesto al ministro La Russa di adottare dei provvedimenti disciplinari e la rimozione dall'incarico nei confronti del primo generale che ha tradotto in ordine concreto la disposizione illegittima del Gabinetto della Difesa, a causa delle "gravissime affermazioni contenute nella sua missiva che, a parere dell'interrogante, mal si conciliano con il giuramento prestato che prevede di osservare «la Costituzione e le leggi»
". Il ministro, nonostante siano passati quasi tre mesi dalla data dell'interrogazione, non ha mai risposto. Leggi l'interrogazione parlamentare.

L'organo di stampa della Difesa smentisce i generali persecutori: legittimo per i militari iscriversi e fare attività politica


Stranamente però l'organo ufficiale di stampa dello Stato maggiore della Difesa, "Informazioni della Difesa", nell'ultimo numero (4/2010) andando di opposto avviso con quanto disposto dal Gabinetto della Difesa, spiega in un elaborato articolo a firma del Colonnello Antonino Lo Torto (Capo Ufficio affari giuridici) che l'iscrizione ai partiti politici e lo svolgimento di attività politica da parte dei militari è del tutto legittima quando esercitata in abiti civili e fuori dalle strutture militari, così come previsto dalla Costituzione e dalle leggi.

Leggi l'articolo di "Informazioni della Difesa"

Il silenzio imbarazzato dei vertici


Ad ulteriore conferma dell'imbarazzo diffuso sofferto dai vertici militari quando interrogati sulla spinosa materia, sembrerebbe che ieri, nel corso di una importante riunione tra gli organi di rappresentanza militare dell'Arma (Coir e Cocer), un'intraprendente delegato abbia incalzato il colonnello Masciulli (Capo Ufficio legislazione del Comando Generale) con una domanda molto semplice: un militare si può iscrivere ad un partito politico oppure no? La domanda sarebbe stata ripetuta per ben tre volte prima che un laconico "vi faremo sapere" chiudesse la scomoda parentesi.

http://www.grnet.it/politica/92-politica/1895-militari-e-politica-il-psd-denuncia-sette-generali.html

Indagine conoscitiva sulla riforma fiscale: audizione del professor Tommaso Di Tanno