
Il militare può essere un uomo libero? Il militare può esprimere il suo pensiero liberamente? Che cos’è la libertà? La libertà del militare è slegata o va di pari passo con il grado, con il ruolo o con l’eventuale posizione di potere occupata?
Sicuramente sono domande che l’uomo in generale da sempre si pone, ma proprio per questo credo che in ambienti come quelli militari, è importante fare delle considerazioni e tentare dare delle risposte.
Di termini quali professionalizzazione per consentire il passaggio delle Forze Armate, da “strumento militare basato sulla leva obbligatoria” a “strumento militare professionale”, si è fatto largo uso. Ciò al fine di far intendere, anche alla opinione pubblica, l’orientamento ad una maggiore efficacia nell’operare da parte del personale, con una conseguente riduzione di risorse economiche. Per forza di cose si è dovuta portare un’attenzione particolare sul personale. Si punta/tenta a “professionalizzarlo”, cioè a renderlo più tecnico, specifico, in quello che è il suo mestiere. Per questo si studiano corsi sempre più specialistici al fine di migliorare al massimo la destrezza con le armi e con tutta la strumentazione da usare oggi, sempre più sofisticata. Attraverso convegni, seminari, simposi, Generali, ma anche psicologi, sociologi, hanno studiato e studiano i sistemi migliori anche per stimolare al massimo la persona militare affinché questa reagisca positivamente a coloro che sono a capo dell’Istituzioni, e affinché questi abbiano le risposte che desiderano. All’uopo, si svolgono interessanti corsi, sia per i ruoli Ufficiali sia per i Sottufficiali, al fine di studiare i dinamismi psichici utili affinché da un determinato stimolo si possa avere una risposta. In questi anni, quindi, nonostante le difficoltà, sicuramente c’è stato tentativo affinché lo “Strumento militare” funzioni meglio e in particolare con più efficienza. Aspetti sicuramente positivi che però hanno fatto sì che nelle Scuole e nelle Accademie Militari, ci si è sempre più chiesto cosa si vuole che sappiano fare, produrre, rispondere gli allievi una volta completati i corsi. Ma ci si è mai sentita l’esigenza di sapere quale genere di persone si vogliono nelle Forze Armate e soprattutto quale genere di persone si vuole che escano dalle nostre scuole militari?
Quando, però, si considera l’attenzione verso “l’uomo” militare, e si cerca di far percepire la profondità dell’essere umano con le sue problematiche non trascurabili, questa profondità viene invece coperta sempre più facilmente da sovrastrutture come il nozionismo, il tecnicismo, formalismo ecc…., aspetti questi che non fanno altro che andare contro i valori e le virtù quali la libertà, la responsabilità, la volontà, la capacità di scegliere ecc. ecc… e, di conseguenza, la capacità di decidere e di compiere i propri doveri. Quanto detto, necessita di consapevolezza personale e di crescita interiore, che si rendono sempre più necessarie, se consideriamo l’uomo inserito nel contesto sociale, e quindi l’uomo come relazionato. Quante volte è stato detto anche seriamente: “tu esegui e obbedisci, non sei pagato per pensare!”. Di conseguenza, se non si può pensare non si può neanche esprimere il pensiero ad un collega e tanto meno scriverlo.
In questo senso sicuramente è importante invece fortificare interiormente il militare soprattutto in una prospettiva sociale, cercando di trovare quali possibilità ha lo stesso di crescere e sviluppare al meglio il suo potenziale, all’interno della convivenza.
Mi calo con un esempio in situazione. Alla Scuole Sottufficiali, almeno fino ad un recente passato, i “marinai” svolgevano corsi di formazione discreti sotto l’aspetto tecnico con periodi, però, nei quali si inculcava il concetto di gerarchizzazione in tutto anche nel senso dell’umano. Terminato poi il corso, c’erano i lunghi periodi di destinazione a bordo delle navi, dove questi concetti venivano esasperati a tal punto che nel piccolo passavano anche fra il maresciallo e il sergente e, quest’ultimo e il marinaio. Le diversità di trattamento negli aspetti sociali, purtroppo, vanno ancora oggi a consolidare determinati concetti (es. i quadrati/sale convegno dei soli Ufficiali, soli Sottufficiali e per marinai niente). Infatti, quando il personale “non direttivo” sbarca, dopo alcuni anni, avverte un senso di scoramento. Sente di contare poco e niente nella società perché professionalmente non si è mai relazionato con il mondo esterno e soprattutto viene a mancare, di fatto, quella organizzazione di bordo che sotto alcuni aspetti dà l’impressione di pensare a tutto (ad es. le pratiche di segreteria per le licenze per gli avanzamenti, le mense, il vestiario, la sistemazione alloggiativa ecc..). Si avverte l’incapacità addirittura di prendere delle decisioni. Nei vari trasferimenti di sede, ci si ritrova senza alloggio (neanche collettivo - ASC) con problemi burocratici da risolvere (cause di servizio, riscatti I.N.P.D.A.P., eventuale legge 100, bloccati in avanzamento senza sapere perché, ecc. ecc.). Aspetti che nessuno mai sistemerà al suo posto e naturalmente queste difficoltà sono principalmente per i “non direttivi/esecutivi”. È lampante che per gli Ufficiali Generali o Ammiragli tutto ciò è automaticamente risolto soprattutto però, con la “sentita” collaborazione di tanti “non direttivi”.
Ma che tipo di uomini militari abbiamo voluto? In una tale situazione come si può mettere in azione la propria volontà e ancor meglio volere la propria libertà di scelta? “Il margine più grande è da riservare alla libertà umana soprattutto se ad essa si riconosce il massimo di intensità del causa sui, ossia della scelta creante del proprio io.” La libertà, alla quale si fa cenno, sicuramente è quella interiore. Basti pensare all’emancipazione delle donne. Giuste conquiste sociali, ma così come in altri campi si è poco pensato ad una libertà interiore, quante di esse oggi sono veramente libere? “
Epiteto (un filosofo stoico, schiavo-emancipato, cioè reso libero) riferendosi alla politica del suo tempo, ma credo che sia un esempio attualissimo, evidenziava che fra un senatore condizionato dai consensi e compromessi e uno schiavo che era stato venduto 3 volte non c’era nessuna differenza. Credo che nell’affrontare questo specifico tema, è prezioso soffermarsi su un testo de “la leggenda del Grande Inquisitore” tratto da “I fratelli Karamazov” di Dostojevski. Più che la visione meramente cristiana del testo risalta il significato antropologico e umano di questo valore. La leggenda è ambientata nel XVI secolo in Spagna al tempo dell’inquisizione. Cristo si presenta a Siviglia, gli abitanti lo riconoscono e gli chiedono di guarire i malati. Ai primi miracoli, il Grande inquisitore, un cardinale di novant’anni fa arrestare Gesù. Di qui nasce il dialogo, anzi più un monologo del Cardinale che lo accusa di perturbare l’ordine stabilito facendo perdere agli uomini la loro libertà. Egli è convinto, infatti, che la libertà si possa realizzare solo a spese della libertà, perché l’umanità avverte la libertà come un peso che vuole lasciarsi dietro. In nome di essa ci sono state guerre, disordini, scempi, atrocità. Il grande inquisitore così si rivolgeva a Gesù: “Niente è stato più insopportabile agli uomini e alla società umana della loro libertà! …L’uomo non conosce preoccupazione più penosa di quella di trovare qualcuno al quale poter rimettere al più presto questo dono della libertà, con cui questa creatura infelice viene al mondo. Tuttavia può impadronirsi della libertà dell’uomo solo chi è in grado di tranquillizzarne la coscienza …Chi, infatti, deve dominare gli uomini, se non coloro che dominano le loro coscienze e nelle cui mani è il loro pane? Crederanno con gioia alla soluzione che daremo, perché li libererà dal grave fastidio e dalla terribile pena attuale di dover personalmente e liberamente decidere………… giacchè noi soli, noi che custodiremo il segreto, saremo infelici… Che colpa ne ha un’anima debole, se non ha la forza di accettare doni così terribili? …per l’uomo rimasto libero, non c’è preoccupazione più ostinata e più penosa di quella di trovare al più presto qualcuno da adorare. Però l’uomo tende ad adorare qualcosa, che sia elevato al di là di ogni dubbio, così sublime che tutti gli uomini siano pronti ad adorarlo ...Oppure ha dimenticato che la tranquillità e perfino la morte sono più care all’uomo della libera scelta tra il bene e il male?”. Sono delle parti di un’opera che scandaglia le profondità dell’animo umano. È faticoso essere coscientemente di fronte alla debolezza, quasi senza uscite, dell’uomo. Egli, infatti, non chiede solo un’autorità alla quale scaricare le responsabilità alleggerendo le proprie coscienze, ma anche che tutti faccino altrettanto. Infatti, è quando un’autorità viene riconosciuta da tutti, che svaniscono i dubbi sulla giustezza di un determinato comportamento. L’uomo, infatti, preferisce sbagliare nelle decisioni ed essere securizzato, anziché essere tormentato dal dubbio anche se ha preso la decisione giusta. “Gli uomini vogliono essere adulati, sopratutto riguardo alla loro fisionomia interiore; non amano chi li costringe a vedere la verità su loro stessi. Si vendicano su chi lo fa con schiettezza e senza nulla mistificare”. Queste sono le motivazioni più profonde che spingono gli uomini alla fede per gli idoli e nei leader politici, che li alleviano dal dubbio e gli eliminano i rischi delle scelte. Nel nostro tempo, i governanti, gli scienziati o anche nel nostro caso determinati generali hanno questa funzione, cioè quella di esonerarci dalle scelte. Negli anni sono cambiate le autorità con le quali l’uomo si “libera della libertà”. Basterebbe, quindi, essere soddisfatti sotto l’aspetto economico, sollevarsi dal senso di colpa acquietando la coscienza ed essere uniti come un gregge, per eliminare così il problema “politico”. D’altro conto chi ha il potere, spesso è suo schiavo.
La libertà, alla quale si fa cenno, è chiaro quindi, non si riferisce né all’arbitrarietà del fare il proprio comodo vivendo alla giornata, né tanto meno all’arbitrarietà di fare quello che si vuole in forza di un potere economico, né pensare di affidarsi liberamente a un dio qualunque, tanto l’uno vale l’altro.
Chi è per ciò, l’uomo libero? Possiamo affermare che è colui che vive secondo la propria volontà non secondo quella degli altri. Ma “da noi” si vive come vogliono gli altri o si può vivere come si vuole, nel senso su inteso? Allo stesso tempo, tuttavia, è importante riaffermare che la libera volontà non deve essere confusa con il proprio capriccio. Infatti, nello scegliere di essere veramente liberi non si può fare a meno di fare la scelta di fondo e cioè di scegliere quel “io” che si vuole essere.
Libertà sia del militare in quanto è esecutore e sia dello stesso in quanto ha la possibilità dare ordini. Cioè si può essere condizionati perché cresciuti in un contesto che può rendere incapace di partecipare al proprio bene e al bene comune, ma si può essere anche condizionati dagli onori, del potere, del carrierismo, dell’arrivismo che porta a schiacciare umanamente chi, anche se con una funzione professionale da “esecutivo”, è pronto a sviluppare umanamente i propri talenti al servizio di tutti.
Per l’uomo è difficile comprendere quali sono le proprie azioni condizionate. Seneca, infatti, ci teneva ad evidenziare che riteneva fondamentale capire cosa veramente schiavizza l’uomo. I politici, gli amici del re, uomini di potere, così come oggi, erano tutti poco liberi, usando le sue parole: ”schiavo della schiavitù più splendida e magnifica”. Questi forti cenni alla libertà e quindi ad una delle fondamentali possibilità che ha l’uomo di umanarsi, ci fanno avvertire urgente la necessità di costruire un soggetto forte, robusto capace di decidere e scegliere in vera libertà il rapporto suo con ciò che lo circonda.
Soprattutto per i cosiddetti “esecutivi”, tale libertà è possibile principalmente nel modo di rapportarsi alle cose. Non è la “cosa” con cui ci si rapporta che nobilita o umilia, ma il proprio rapporto con la “cosa”. Cioè ad esempio la vita militare non deve piacere perché con quel superiore ci si trova bene o viceversa, ma perché con l’Istituzione e i suoi valori ci si rapporta con convinzione. Quindi, libertà, volontà, decisione, scelta, non sono altro che una strada per un irrobustimento della propria interiorità e soprattutto sono il passare ad un atto e non fermarsi ad una mera comprensione. Non si può pensare di capire tutto sull’agire interiore non muovendosi, non chiamandosi in causa. Quando l’io sceglie, attiva delle energie, per cui è assolutamente differente dall’io precedente, anche se è la stessa persona. Si sente la necessità di considerare queste responsabilità, non solo nella realtà del proprio vivere interiore, ma del proprio vivere in un contesto sociale e non solo, ma anche in relazione e all’interno di una convivenza sia piccola e sia grande come possono essere le nostre.
La libertà o meglio l’autonomia, come sopra espresso, non si oppone a relazione ma alla dipendenza e il pericolo è, che la giusta e pronta dipendenza funzionale e professionale, che deve esserci all’interno delle Forze Armate, si trasformi in una dipendenza umana di uomini da altri uomini o da altri “sistemi”, che ad esempio non accettano chi ha capacità umane elevate con un grado inferiore. Ciò porta a rigettare determinate verità, solo perché, espresse da chi non ha il titolo adeguato all’interno di quella struttura. Possono sembrare belle parole. Pensieri dotti per darsi un tono, o addirittura frasi fatte o qualunquiste. Ma perché ancora la categoria dei dirigenti (nel suo insieme) teme di rapportarsi con i “non direttivi/esecutivi” dal punto di vista umano? Esempi eclatanti sono ancora le scandalose separazioni nell’ambito degli Organismi di Protezione Sociale (vedi il caso della Marina di Taranto) dove anziché proteggere il sociale, si rimarcano le differenze di classe sociale fra gli Ufficiali, i Sottufficiali e solitamente i volontari non hanno neanche classe sociale (come per le spiagge o anche per i circoli ecc.. ecc..). Soprattutto da parte dei grandi maestri classici, era sempre considerata importante la cura della propria interiorità non fine a se stessa, quasi come un intimismo, ma nel contesto della convivenza. La “prova del nove” della propria crescita interiore la si riscontra nella convivenza, cioè nel muoversi all’interno di una relazione e quindi, in un confronto con l’altro. La struttura umana necessita della relazione, ma non in maniera classista e stagnante in un unico determinato livello sociale.
A scanso di equivoci a conclusione di tali riflessioni, e nel tentativo dare delle risposte sicuramente non definitive ma come punto di partenza, è importante sottolineare che la generalità è ciò che viene percepita. Purtroppo essa copre, invece, la profondità di tanti uomini e superiori di grado (la critica comunemente è rivolta a loro), che vedono nella relazione umana motivo di miglioramento, se c’è verità di intenti e verità d’animo (e di questo ne sono testimone). In ciò un esempio banale, ma per rifarci alla quotidianità, è la costituzione di uno stabilimento balneare unico nel dipartimento di Ancona voluto dalle Rappresentanze militari locali e dal Comandante in Capo pro-tempore, dove viene interpretata la direttiva del C.S.M.D. sugli aspetti di solidarietà e spirito di Corpo, oltre che di economia, dando dignità a tutti senza diversità di trattamento. Altro esempio è la serena e non scandalizzata risposta data dal Comandante delle Forze navali d’altura di Taranto alla richiesta di sindacalizzazione, proveniente da tutti i rappresentanti di bordo. Da tale risposta traspare, realmente, la capacità e lo stimolo al rapporto relazionale con il personale dipendente.
Inoltre, la libertà di cui si è trattato si riferisce all’interiorità non al libero arbitrio. Essa, quindi, non è di intralcio all’efficienza dell’Istituzione soprattutto quando è necessario agire con prontezza, ma anzi la coscientizzazione e la partecipazione ai valori, fanno sì che “l’obbedienza ceca” si trasformi in “obbedienza consapevole e cosciente”. Solo così si può mettere l’uomo militare in condizioni di compiere grandi gesti sia in “casi limite”, sia nella quotidianità.
A quali valori riferirsi? “C’è una situazione di squilibrio che si verifica nell’uomo per un’abnorme preponderanza di libertà sciolta da ogni riferimento a punti fissi e necessari”. In quanto militare appartenente ad una nazione di grandi tradizioni come l’Italia il personale motivo di orgoglio è quello di aver giurato su una Costituzione dai valori sempre attuali quali, la libertà, la democrazia, la dignità della persona in quanto tale e il bene della comunità con la quale si relaziona e verso la quale è al servizio. La libertà del militare è un valore inestimabile se, non è svincolata da qualsiasi riferimento, ed è, invece, ancorata saldamente a quei principi riportati nella Costituzione. Così si potranno avere uomini forti interiormente tali da affrontare anche situazioni drammatiche in teatri di guerra (in modo da non subire i disturbi psichici dei migliaia di soldati americani). Si avranno uomini veri e sinceri nei confronti dei superiori, senza timori di ripercussioni su carriere e trasferimenti. Si avranno, inoltre, collaboratori costruttivi e superiori di riferimento per i giovani, per una comunità miliare al servizio della nazione. In tutto questo c’è poco spazio a qualsiasi livello per chi intende usare un ruolo di potere per i propri scopi. Apprezziamo la bellezza di essere liberi, apprezziamo la bellezza di essere autentici, apprezziamo la bellezza di essere uomini (o persone umane), apprezziamo la bellezza di vivere da militari veri, anche se tutto ciò può avere un costo.
“Il rischio è bello se la speranza è grande!”(*).
Antonello Ciavarelli
antonellociavarelli@libero.it
(*) le citazioni in corsivo senza riferimento dell’autore, sono tratte dai testi di Edda Ducci Docente di filosofia dell’educazione.
Sicuramente sono domande che l’uomo in generale da sempre si pone, ma proprio per questo credo che in ambienti come quelli militari, è importante fare delle considerazioni e tentare dare delle risposte.
Di termini quali professionalizzazione per consentire il passaggio delle Forze Armate, da “strumento militare basato sulla leva obbligatoria” a “strumento militare professionale”, si è fatto largo uso. Ciò al fine di far intendere, anche alla opinione pubblica, l’orientamento ad una maggiore efficacia nell’operare da parte del personale, con una conseguente riduzione di risorse economiche. Per forza di cose si è dovuta portare un’attenzione particolare sul personale. Si punta/tenta a “professionalizzarlo”, cioè a renderlo più tecnico, specifico, in quello che è il suo mestiere. Per questo si studiano corsi sempre più specialistici al fine di migliorare al massimo la destrezza con le armi e con tutta la strumentazione da usare oggi, sempre più sofisticata. Attraverso convegni, seminari, simposi, Generali, ma anche psicologi, sociologi, hanno studiato e studiano i sistemi migliori anche per stimolare al massimo la persona militare affinché questa reagisca positivamente a coloro che sono a capo dell’Istituzioni, e affinché questi abbiano le risposte che desiderano. All’uopo, si svolgono interessanti corsi, sia per i ruoli Ufficiali sia per i Sottufficiali, al fine di studiare i dinamismi psichici utili affinché da un determinato stimolo si possa avere una risposta. In questi anni, quindi, nonostante le difficoltà, sicuramente c’è stato tentativo affinché lo “Strumento militare” funzioni meglio e in particolare con più efficienza. Aspetti sicuramente positivi che però hanno fatto sì che nelle Scuole e nelle Accademie Militari, ci si è sempre più chiesto cosa si vuole che sappiano fare, produrre, rispondere gli allievi una volta completati i corsi. Ma ci si è mai sentita l’esigenza di sapere quale genere di persone si vogliono nelle Forze Armate e soprattutto quale genere di persone si vuole che escano dalle nostre scuole militari?
Quando, però, si considera l’attenzione verso “l’uomo” militare, e si cerca di far percepire la profondità dell’essere umano con le sue problematiche non trascurabili, questa profondità viene invece coperta sempre più facilmente da sovrastrutture come il nozionismo, il tecnicismo, formalismo ecc…., aspetti questi che non fanno altro che andare contro i valori e le virtù quali la libertà, la responsabilità, la volontà, la capacità di scegliere ecc. ecc… e, di conseguenza, la capacità di decidere e di compiere i propri doveri. Quanto detto, necessita di consapevolezza personale e di crescita interiore, che si rendono sempre più necessarie, se consideriamo l’uomo inserito nel contesto sociale, e quindi l’uomo come relazionato. Quante volte è stato detto anche seriamente: “tu esegui e obbedisci, non sei pagato per pensare!”. Di conseguenza, se non si può pensare non si può neanche esprimere il pensiero ad un collega e tanto meno scriverlo.
In questo senso sicuramente è importante invece fortificare interiormente il militare soprattutto in una prospettiva sociale, cercando di trovare quali possibilità ha lo stesso di crescere e sviluppare al meglio il suo potenziale, all’interno della convivenza.
Mi calo con un esempio in situazione. Alla Scuole Sottufficiali, almeno fino ad un recente passato, i “marinai” svolgevano corsi di formazione discreti sotto l’aspetto tecnico con periodi, però, nei quali si inculcava il concetto di gerarchizzazione in tutto anche nel senso dell’umano. Terminato poi il corso, c’erano i lunghi periodi di destinazione a bordo delle navi, dove questi concetti venivano esasperati a tal punto che nel piccolo passavano anche fra il maresciallo e il sergente e, quest’ultimo e il marinaio. Le diversità di trattamento negli aspetti sociali, purtroppo, vanno ancora oggi a consolidare determinati concetti (es. i quadrati/sale convegno dei soli Ufficiali, soli Sottufficiali e per marinai niente). Infatti, quando il personale “non direttivo” sbarca, dopo alcuni anni, avverte un senso di scoramento. Sente di contare poco e niente nella società perché professionalmente non si è mai relazionato con il mondo esterno e soprattutto viene a mancare, di fatto, quella organizzazione di bordo che sotto alcuni aspetti dà l’impressione di pensare a tutto (ad es. le pratiche di segreteria per le licenze per gli avanzamenti, le mense, il vestiario, la sistemazione alloggiativa ecc..). Si avverte l’incapacità addirittura di prendere delle decisioni. Nei vari trasferimenti di sede, ci si ritrova senza alloggio (neanche collettivo - ASC) con problemi burocratici da risolvere (cause di servizio, riscatti I.N.P.D.A.P., eventuale legge 100, bloccati in avanzamento senza sapere perché, ecc. ecc.). Aspetti che nessuno mai sistemerà al suo posto e naturalmente queste difficoltà sono principalmente per i “non direttivi/esecutivi”. È lampante che per gli Ufficiali Generali o Ammiragli tutto ciò è automaticamente risolto soprattutto però, con la “sentita” collaborazione di tanti “non direttivi”.
Ma che tipo di uomini militari abbiamo voluto? In una tale situazione come si può mettere in azione la propria volontà e ancor meglio volere la propria libertà di scelta? “Il margine più grande è da riservare alla libertà umana soprattutto se ad essa si riconosce il massimo di intensità del causa sui, ossia della scelta creante del proprio io.” La libertà, alla quale si fa cenno, sicuramente è quella interiore. Basti pensare all’emancipazione delle donne. Giuste conquiste sociali, ma così come in altri campi si è poco pensato ad una libertà interiore, quante di esse oggi sono veramente libere? “
Epiteto (un filosofo stoico, schiavo-emancipato, cioè reso libero) riferendosi alla politica del suo tempo, ma credo che sia un esempio attualissimo, evidenziava che fra un senatore condizionato dai consensi e compromessi e uno schiavo che era stato venduto 3 volte non c’era nessuna differenza. Credo che nell’affrontare questo specifico tema, è prezioso soffermarsi su un testo de “la leggenda del Grande Inquisitore” tratto da “I fratelli Karamazov” di Dostojevski. Più che la visione meramente cristiana del testo risalta il significato antropologico e umano di questo valore. La leggenda è ambientata nel XVI secolo in Spagna al tempo dell’inquisizione. Cristo si presenta a Siviglia, gli abitanti lo riconoscono e gli chiedono di guarire i malati. Ai primi miracoli, il Grande inquisitore, un cardinale di novant’anni fa arrestare Gesù. Di qui nasce il dialogo, anzi più un monologo del Cardinale che lo accusa di perturbare l’ordine stabilito facendo perdere agli uomini la loro libertà. Egli è convinto, infatti, che la libertà si possa realizzare solo a spese della libertà, perché l’umanità avverte la libertà come un peso che vuole lasciarsi dietro. In nome di essa ci sono state guerre, disordini, scempi, atrocità. Il grande inquisitore così si rivolgeva a Gesù: “Niente è stato più insopportabile agli uomini e alla società umana della loro libertà! …L’uomo non conosce preoccupazione più penosa di quella di trovare qualcuno al quale poter rimettere al più presto questo dono della libertà, con cui questa creatura infelice viene al mondo. Tuttavia può impadronirsi della libertà dell’uomo solo chi è in grado di tranquillizzarne la coscienza …Chi, infatti, deve dominare gli uomini, se non coloro che dominano le loro coscienze e nelle cui mani è il loro pane? Crederanno con gioia alla soluzione che daremo, perché li libererà dal grave fastidio e dalla terribile pena attuale di dover personalmente e liberamente decidere………… giacchè noi soli, noi che custodiremo il segreto, saremo infelici… Che colpa ne ha un’anima debole, se non ha la forza di accettare doni così terribili? …per l’uomo rimasto libero, non c’è preoccupazione più ostinata e più penosa di quella di trovare al più presto qualcuno da adorare. Però l’uomo tende ad adorare qualcosa, che sia elevato al di là di ogni dubbio, così sublime che tutti gli uomini siano pronti ad adorarlo ...Oppure ha dimenticato che la tranquillità e perfino la morte sono più care all’uomo della libera scelta tra il bene e il male?”. Sono delle parti di un’opera che scandaglia le profondità dell’animo umano. È faticoso essere coscientemente di fronte alla debolezza, quasi senza uscite, dell’uomo. Egli, infatti, non chiede solo un’autorità alla quale scaricare le responsabilità alleggerendo le proprie coscienze, ma anche che tutti faccino altrettanto. Infatti, è quando un’autorità viene riconosciuta da tutti, che svaniscono i dubbi sulla giustezza di un determinato comportamento. L’uomo, infatti, preferisce sbagliare nelle decisioni ed essere securizzato, anziché essere tormentato dal dubbio anche se ha preso la decisione giusta. “Gli uomini vogliono essere adulati, sopratutto riguardo alla loro fisionomia interiore; non amano chi li costringe a vedere la verità su loro stessi. Si vendicano su chi lo fa con schiettezza e senza nulla mistificare”. Queste sono le motivazioni più profonde che spingono gli uomini alla fede per gli idoli e nei leader politici, che li alleviano dal dubbio e gli eliminano i rischi delle scelte. Nel nostro tempo, i governanti, gli scienziati o anche nel nostro caso determinati generali hanno questa funzione, cioè quella di esonerarci dalle scelte. Negli anni sono cambiate le autorità con le quali l’uomo si “libera della libertà”. Basterebbe, quindi, essere soddisfatti sotto l’aspetto economico, sollevarsi dal senso di colpa acquietando la coscienza ed essere uniti come un gregge, per eliminare così il problema “politico”. D’altro conto chi ha il potere, spesso è suo schiavo.
La libertà, alla quale si fa cenno, è chiaro quindi, non si riferisce né all’arbitrarietà del fare il proprio comodo vivendo alla giornata, né tanto meno all’arbitrarietà di fare quello che si vuole in forza di un potere economico, né pensare di affidarsi liberamente a un dio qualunque, tanto l’uno vale l’altro.
Chi è per ciò, l’uomo libero? Possiamo affermare che è colui che vive secondo la propria volontà non secondo quella degli altri. Ma “da noi” si vive come vogliono gli altri o si può vivere come si vuole, nel senso su inteso? Allo stesso tempo, tuttavia, è importante riaffermare che la libera volontà non deve essere confusa con il proprio capriccio. Infatti, nello scegliere di essere veramente liberi non si può fare a meno di fare la scelta di fondo e cioè di scegliere quel “io” che si vuole essere.
Libertà sia del militare in quanto è esecutore e sia dello stesso in quanto ha la possibilità dare ordini. Cioè si può essere condizionati perché cresciuti in un contesto che può rendere incapace di partecipare al proprio bene e al bene comune, ma si può essere anche condizionati dagli onori, del potere, del carrierismo, dell’arrivismo che porta a schiacciare umanamente chi, anche se con una funzione professionale da “esecutivo”, è pronto a sviluppare umanamente i propri talenti al servizio di tutti.
Per l’uomo è difficile comprendere quali sono le proprie azioni condizionate. Seneca, infatti, ci teneva ad evidenziare che riteneva fondamentale capire cosa veramente schiavizza l’uomo. I politici, gli amici del re, uomini di potere, così come oggi, erano tutti poco liberi, usando le sue parole: ”schiavo della schiavitù più splendida e magnifica”. Questi forti cenni alla libertà e quindi ad una delle fondamentali possibilità che ha l’uomo di umanarsi, ci fanno avvertire urgente la necessità di costruire un soggetto forte, robusto capace di decidere e scegliere in vera libertà il rapporto suo con ciò che lo circonda.
Soprattutto per i cosiddetti “esecutivi”, tale libertà è possibile principalmente nel modo di rapportarsi alle cose. Non è la “cosa” con cui ci si rapporta che nobilita o umilia, ma il proprio rapporto con la “cosa”. Cioè ad esempio la vita militare non deve piacere perché con quel superiore ci si trova bene o viceversa, ma perché con l’Istituzione e i suoi valori ci si rapporta con convinzione. Quindi, libertà, volontà, decisione, scelta, non sono altro che una strada per un irrobustimento della propria interiorità e soprattutto sono il passare ad un atto e non fermarsi ad una mera comprensione. Non si può pensare di capire tutto sull’agire interiore non muovendosi, non chiamandosi in causa. Quando l’io sceglie, attiva delle energie, per cui è assolutamente differente dall’io precedente, anche se è la stessa persona. Si sente la necessità di considerare queste responsabilità, non solo nella realtà del proprio vivere interiore, ma del proprio vivere in un contesto sociale e non solo, ma anche in relazione e all’interno di una convivenza sia piccola e sia grande come possono essere le nostre.
La libertà o meglio l’autonomia, come sopra espresso, non si oppone a relazione ma alla dipendenza e il pericolo è, che la giusta e pronta dipendenza funzionale e professionale, che deve esserci all’interno delle Forze Armate, si trasformi in una dipendenza umana di uomini da altri uomini o da altri “sistemi”, che ad esempio non accettano chi ha capacità umane elevate con un grado inferiore. Ciò porta a rigettare determinate verità, solo perché, espresse da chi non ha il titolo adeguato all’interno di quella struttura. Possono sembrare belle parole. Pensieri dotti per darsi un tono, o addirittura frasi fatte o qualunquiste. Ma perché ancora la categoria dei dirigenti (nel suo insieme) teme di rapportarsi con i “non direttivi/esecutivi” dal punto di vista umano? Esempi eclatanti sono ancora le scandalose separazioni nell’ambito degli Organismi di Protezione Sociale (vedi il caso della Marina di Taranto) dove anziché proteggere il sociale, si rimarcano le differenze di classe sociale fra gli Ufficiali, i Sottufficiali e solitamente i volontari non hanno neanche classe sociale (come per le spiagge o anche per i circoli ecc.. ecc..). Soprattutto da parte dei grandi maestri classici, era sempre considerata importante la cura della propria interiorità non fine a se stessa, quasi come un intimismo, ma nel contesto della convivenza. La “prova del nove” della propria crescita interiore la si riscontra nella convivenza, cioè nel muoversi all’interno di una relazione e quindi, in un confronto con l’altro. La struttura umana necessita della relazione, ma non in maniera classista e stagnante in un unico determinato livello sociale.
A scanso di equivoci a conclusione di tali riflessioni, e nel tentativo dare delle risposte sicuramente non definitive ma come punto di partenza, è importante sottolineare che la generalità è ciò che viene percepita. Purtroppo essa copre, invece, la profondità di tanti uomini e superiori di grado (la critica comunemente è rivolta a loro), che vedono nella relazione umana motivo di miglioramento, se c’è verità di intenti e verità d’animo (e di questo ne sono testimone). In ciò un esempio banale, ma per rifarci alla quotidianità, è la costituzione di uno stabilimento balneare unico nel dipartimento di Ancona voluto dalle Rappresentanze militari locali e dal Comandante in Capo pro-tempore, dove viene interpretata la direttiva del C.S.M.D. sugli aspetti di solidarietà e spirito di Corpo, oltre che di economia, dando dignità a tutti senza diversità di trattamento. Altro esempio è la serena e non scandalizzata risposta data dal Comandante delle Forze navali d’altura di Taranto alla richiesta di sindacalizzazione, proveniente da tutti i rappresentanti di bordo. Da tale risposta traspare, realmente, la capacità e lo stimolo al rapporto relazionale con il personale dipendente.
Inoltre, la libertà di cui si è trattato si riferisce all’interiorità non al libero arbitrio. Essa, quindi, non è di intralcio all’efficienza dell’Istituzione soprattutto quando è necessario agire con prontezza, ma anzi la coscientizzazione e la partecipazione ai valori, fanno sì che “l’obbedienza ceca” si trasformi in “obbedienza consapevole e cosciente”. Solo così si può mettere l’uomo militare in condizioni di compiere grandi gesti sia in “casi limite”, sia nella quotidianità.
A quali valori riferirsi? “C’è una situazione di squilibrio che si verifica nell’uomo per un’abnorme preponderanza di libertà sciolta da ogni riferimento a punti fissi e necessari”. In quanto militare appartenente ad una nazione di grandi tradizioni come l’Italia il personale motivo di orgoglio è quello di aver giurato su una Costituzione dai valori sempre attuali quali, la libertà, la democrazia, la dignità della persona in quanto tale e il bene della comunità con la quale si relaziona e verso la quale è al servizio. La libertà del militare è un valore inestimabile se, non è svincolata da qualsiasi riferimento, ed è, invece, ancorata saldamente a quei principi riportati nella Costituzione. Così si potranno avere uomini forti interiormente tali da affrontare anche situazioni drammatiche in teatri di guerra (in modo da non subire i disturbi psichici dei migliaia di soldati americani). Si avranno uomini veri e sinceri nei confronti dei superiori, senza timori di ripercussioni su carriere e trasferimenti. Si avranno, inoltre, collaboratori costruttivi e superiori di riferimento per i giovani, per una comunità miliare al servizio della nazione. In tutto questo c’è poco spazio a qualsiasi livello per chi intende usare un ruolo di potere per i propri scopi. Apprezziamo la bellezza di essere liberi, apprezziamo la bellezza di essere autentici, apprezziamo la bellezza di essere uomini (o persone umane), apprezziamo la bellezza di vivere da militari veri, anche se tutto ciò può avere un costo.
“Il rischio è bello se la speranza è grande!”(*).
Antonello Ciavarelli
antonellociavarelli@libero.it
(*) le citazioni in corsivo senza riferimento dell’autore, sono tratte dai testi di Edda Ducci Docente di filosofia dell’educazione.
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