lunedì 23 luglio 2012

NEMMENO I MILITARI POSSONO ESSERE ESCLUSI DALLA LIBERTA' SINDACALE (CEDU)





CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO
Relazione tematica
Rel. n. 112
Roma, 7 giugno 2012
IL DIRITTO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE NELLA
GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI
DELL’UOMO

7. La giurisprudenza CEDU: rassegna ragionata di casi in materia di diritto del lavoro, diritto sindacale e diritto della previdenza ed assistenza sociale.

7.7. Libertà sindacali.
Numerose sentenze della Corte hanno riguardato le libertà sindacali.
Per quanto riguarda il diritto di concludere contratti collettivi, la Corte aveva in passato dichiarato, in un primo momento, che l’articolo 11 non prevede un trattamento speciale ai sindacati e, in particolare, non garantisce loro il diritto di concludere contratti collettivi (Syndicat suédois des conducteurs de locomotives, § 37, série A no 20, § 39; Schmidt et Dahlström c. Suède, arrêt du 6 février 1976, §36, série A no 21).
In particolare, il caso Schmidt et Dahlström c. Suède, no 5589/72, 6 febbraio 1976, riguardava un militare ed un professore di diritto presso l’Università di Stoccolma che lamentavano che, in sede di rinnovo contrattuale (operato all’esito di alcuni scioperi che avevano interessato solo alcuni sindacati, ma non anche quello cuiessi erano affiliati) era stata negata ai lavoratori nelle loro condizioni la retroattività di alcuni benefici; tali benefici erano stati infatti concessi agli iscritti dei sindacati partecipanti alle azioni collettive e negati invece ai dipendenti membri del sindacato (quale quelli dei ricorrenti, pur federati nell’ambito di organizzazione che rappresentava in genere i dipendenti dello Stato svedese) che non avevano partecipato agli scioperi.
La Corte ha escluso la violazione dell’art. 11 della Convenzione, considerando che la norma esige solo che la legislazione nazionale consenta ai membri del sindacato la lotta attraverso il canale delle loro organizzazioni per difendere i loro interessi professionali, laddove nel caso il rinnovo contrattuale non rivelava che i ricorrenti avessero perso questa capacità.
Nell’altro caso sopra richiamato, Syndicat suédois des conducteurs de locomotives c. Svezia, n. 5614/726 febbraio 1976, la Corte ha ritenuto che il semplice fatto del rifiuto datoriale di stipulare dei contratti collettivi non violasse l’art. 11 della Convenzione, né violasse l’art. 14 ed il relativo divieto di discriminazione se, come nella specie, la limitazione della contrattazione ad alcuni sindacati era basata sul carattere di maggiore rappresentatività degli stessi, e dunque su ragioni oggettive e scopo legittimo.

Oggi tale giurisprudenza è nelle linee di fondo in buona parte superata dalla sentenza Demir e Baykara c. Turchia [GC], n. 34503/97, CEDU 2008.
In tale pronuncia della Grand Chambre, la Corte si è occupata del divieto fatto a funzionari comunali di formare un sindacato e della soppressione con effetto retroattivo del contratto collettivo firmato dal sindacato in questione.
Il caso riguardava il sindacato Tum Bel Sen, fondato da funzionari di vari Comuni soggetti alla disciplina sul pubblico impiego; Tum Bel Sen aveva concluso con la città di Gaziantep, per un periodo di due anni, un contratto collettivo, che copriva gli aspetti delle condizioni di lavoro nei servizi del comune di Gaziantep, inclusi gli stipendi, indennità e servizi di assistenza sociale.
I lavoratori avevano quindi agito in giudizio a tutela dei diritti loro riconosciuti dal contratto collettivo, ma la Corte suprema nazionale, riformando la decisione impugnata, aveva respinto la domanda, ritenendo che, se non vi erano ostacoli giuridici alla realizzazione dei sindacati da parte dei funzionari, non era permesso a questi di concludere contratti collettivi allo stato attuale della legge.
Nel giungere a questa conclusione, la Suprema Corte aveva ritenuto che il rapporto lavorativo fosse stato diverso da quello tra datore di lavoro e il diritto dei dipendenti comune e che la possibilità di contratto “contratto collettivo” tra i sindacati dei servizi pubblici e l’amministrazione avrebbe dovuto trovare il fondamento in una disposizione di legge speciale, nella specie mancante.
I lavoratori avevano quindi adito la CEDU, lamentando la violazione dell’art. 11 della Convenzione.
Occorre soffermarsi ora, pur brevemente, sulla sentenza resa dalla Corte, ove la Grand Chambre ha fissato i contenuti del diritto protetto dall’art. 11 della Convenzione.
La Corte ha intanto precisato che la possibilità di eventuali restrizioni per i membri delle forze armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato di cui all’articolo 11 va interpretata restrittivamente e deve essere limitato all’esercizio di tali diritti, e non può estendersi al diritto di organizzarsi.
Nell’interpretare la norma nazionale restrittivamente la Corte ha fatto riferimento agli strumenti internazionali più rilevanti ed alla pratica degli Stati europei, secondo un indirizzo ormai consolidato (Sigurdur A. Sigurjónsson contro l’Islanda, il 30 Giugno 1993, § 35, serie A n. 264; Sørensen e Rasmussen c. Danimarca [GC], 52562/99 e 52620/99, § 72-75, CEDU 2006; la stessa sentenza ha inoltre precisato che non è necessario che lo Stato convenuto abbia ratificato tutti gli strumenti pertinenti nel settore specifico)106.
La Corte ha così concluso che i dipendenti dell’amministrazione pubblica non potevano essere esclusi dal campo di applicazione dell’articolo 11, e che al più le autorità nazionali avrebbero potuto imporre “restrizioni legali”, in conformità all’articolo 11 § 2.
In particolare, la Corte ha affermato che l’articolo 11 § 1 presenta la libertà sindacale come una forma o un aspetto particolare della libertà di associazione (Syndicat national de la police belge c. Belgique, 27 octobre 1975, § 38, série A n. 19, e Syndicat suédois des conducteurs de locomotives, § 37, série A no 20, § 39).
La Corte ha rilevato inoltre che se l’articolo 11 è destinato essenzialmente a proteggere l’individuo da interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche nell’esercizio dei diritti in essa sanciti, esso può comportare anche l’obbligo positivo di assicurare il godimento di tali diritti.
Secondo la disposizione dell’articolo 11, l’ingerenza dello stato nel godimento del diritto protetto è consentita solo se “prevista dalla legge”, persegue uno o più scopi legittimi e “necessaria in una società democratica” per raggiungerli.
La Corte ha quindi rilevato che le eccezioni di cui all’articolo 11 devono essere interpretate restrittivamente, e che solo ragioni convincenti e interessanti possono giustificare restrizioni alla libertà di associazione. A giudicare l’esistenza di una necessità” e quindi un “bisogno sociale imperioso” ai sensi dell’articolo 11 § 2, gli Stati hanno solo un limitato margine di apprezzamento, che resta sempre soggetto ad una supervisione rigorosa europea (Yazar e altri c. Turchia, 22723/93 nostra, 22724/93 e 22725/93, § 51, CEDU 2002-II).
Per quanto riguarda il diritto alla contrattazione collettiva, la Corte ha affermato che il contratto collettivo è un mezzo essenziale per promuovere gli interessi del sindacato e che il diritto di stipulare contratti collettivi è riconosciuto a livello internazionale per i lavoratori (specialmente OIL) nonché nella maggior parte degli Stati del Consiglio d’Europa, sicché la cancellazione del contratto collettivo non può ritenersi consentita in una società democratica.
Lo Stato contraente, se in linea di principio è libero di decidere quali azioni intende intraprendere per garantire il rispetto dell’articolo 11, resta obbligato a includere gli elementi ritenuti essenziali dalla giurisprudenza della Corte. Ora, allo stato attuale della giurisprudenza della Corte, emergono i seguenti elementi essenziali dei diritti sindacali: il diritto di formare un sindacato e di associarsi (Tüm Haber Sen et
Çınar c. Turquie, no 28602/95, §§ 36-39, CEDH 2006), il divieto di accordi di monopolio sindacale (si veda, ad esempio, Sørensen et Rasmussen c. Danemark [GC], nos 52562/99 et 52620/99, §§ 72-75, CEDH 2006), il diritto di un sindacato di cercare di convincere il datore di lavoro per ascoltare cosa ha da dire a nome dei suoi membri (Wilson, Sindacato Nazionale giornalisti e a., § 44, ove la Corte ha dichiarato che, anche se la contrattazione collettiva non era indispensabile per il godimento della libertà di associazione, poteva essere uno dei modi di proteggere gli interessi dei membri del sindacato).
La Corte ritiene che questi principi non vanno intesi staticamente, essendo destinati ad evolversi con gli sviluppi che caratterizzano il mondo del lavoro. A questo proposito, va ricordato che la Convenzione è uno strumento vivo da interpretare alla luce delle condizioni attuali, seguendo l’evoluzione del diritto internazionale107, al fine di una domanda crescente di tutela dei diritti umani.
Ciò implica una maggiore fermezza nel valutare le violazioni dei valori fondamentali delle società democratiche e nel contempo la necessità di interpretare restrittivamente le limitazioni dei diritti umani, in modo da garantire una loro protezione concreta ed efficace (v., mutatis mutandis, Refah Partisi (Partito del Welfare) e altri c. Turchia [ GC], n. 41340/98, 41342/98, 41343/98 e 41344/98, § 100, CEDU 2003-II; Selmouni c. Francia [GC], n. 25803/94, § 101, CEDU 1999-V).
Alla luce di questi sviluppi, la Corte ha dichiarato che la sua vecchia giurisprudenza, secondo la quale il diritto di negoziare e concludere contratti collettivi non è un elemento intrinseco dell’art. 11, deve essere superata, per tener conto degli sviluppi nel campo così come viene previsto dal diritto internazionale e dai sistemi giuridici nazionali.
Di conseguenza, la Corte ha ritenuto, tenendo conto degli sviluppi nel diritto del lavoro e delle pratiche internazionali e nazionali degli Stati contraenti in materia, che il diritto alla contrattazione collettiva con il datore di lavoro è, in linea di principio, diventato un elemento chiave del “diritto di formare e aderire ai sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi” di cui all’articolo 11 della Convenzione, anche se gli Stati restano liberi di organizzare il loro sistema per riconoscere, eventualmente, uno status speciale ai sindacati rappresentativi. Come gli altri lavoratori, anche i dipendenti pubblici, salvo casi molto particolari, dovrebbero beneficiare di tali diritti, ma senza pregiudizio per gli effetti di “restrizioni legali” può essere imposto ai “membri dell’amministrazione dello Stato” ai sensi del L’articolo 11 § 2.
Alla luce dei principi sopra esposti, la Corte ha ritenuto che, nel caso di specie, il sindacato Tum Bel Sen aveva il diritto di contrattare collettivamente con il datore di lavoro del governo eh ha rilevato inoltre che l’accordo stipulato era stato applicato in concreto per due anni in tutti i rapporti di lavoro all’interno del Comune di Gaziantep.
Secondo la Corte, l’esclusione del diritto di contrattazione collettiva e l’annullamento retroattivo del contratto collettivo stipulato dall’Unione hanno realizzato una ingerenza non necessaria in una società democratica, non corrispondendo la limitazione ad un “bisogno sociale imperioso”. Da qui la violazione dell’art. 11 della Convenzione.


1 commento:

Admin Grifone ha detto...

http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001-89558

Indagine conoscitiva sulla riforma fiscale: audizione del professor Tommaso Di Tanno