Incontro di studi per magistrati “Il diritto del lavoro dell’Unione europea”,organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, in Roma, 16/18 gennaio 2012.
IL DIRITTO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
E NEL DIALOGO “MULTILEVEL” TRA LE CORTI.
di Francesco Buffa
(magistrato del Massimario della Corte di Cassazione, attualmente in servizio allaDivisione 2.3 della Corte europea dei diritti umani, nel quadro dell'Exchange Program dell' European judicial training network).
7.7. LIBERTA’ SINDACALI (stralcio)
Numerose sentenze della Corte hanno riguardato le libertà sindacali.
Per quanto riguarda il diritto di concludere contratti collettivi, la Corte aveva in
passato dichiarato, in un primo momento, che l'articolo 11 non prevede un
trattamento speciale ai sindacati e, in particolare, non garantisce loro il diritto di concludere contratti collettivi (Syndicat suédois des conducteurs de locomotives,§ 37, série A no 20, § 39; Schmidt et Dahlström c. Suède, arrêt du 6 février 1976, § 36, série A no 21).
In particolare, il caso Schmidt et Dahlström c. Suède, no 5589/72, 6 febbraio
1976, riguardava un militare ed un professore di diritto presso l'Università di
Stoccolma che lamentavano che, in sede di rinnovo contrattuale (operato all’esito di alcuni scioperi che avevano interessato solo alcuni sindacati, ma non anche quello cui essi erano affiliati) era stata negata ai lavoratori nelle loro condizioni la retroattività di alcuni benefici; tali benefici erano stati infatti concessi agli iscritti dei sindacati partecipanti alle azioni collettive e negati invece ai dipendenti membri del sindacato (quale quelli dei ricorrenti, pur federati nell’ambito di organizzazione che rappresentava in genere i dipendenti dello Stato svedese) che non avevano partecipato agli scioperi.
La Corte ha escluso la violazione dell’art. 11 della Convenzione, considerando che la norma esige solo che la legislazione nazionale consenta ai membri del sindacato
la lotta attraverso il canale delle loro organizzazioni per difendere i loro interessi
professionali, laddove nel caso il rinnovo contrattuale non rivelava che i ricorrenti
avessero perso questa capacità.
Nell’altro caso sopra richiamato, Syndicat suédois des conducteurs de locomotives
c. Svezia, n. 5614/726 febbraio 1976, la Corte ha ritenuto che il semplice fatto del
rifiuto datoriale di stipulare dei contratti collettivi non violasse l’art. 11 della
Convenzione, ne’ violasse l’art. 14 ed il relativo divieto di discriminazione se,
come nella specie, la limitazione della contrattazione ad alcuni sindacati era basata
sul carattere di maggiore rappresentatività degli stessi, e dunque su ragioni
oggettive e scopo legittimo.
Oggi tale giurisprudenza è nelle linee di fondo in buona parte superata dalla
sentenza Demir e Baykara c. Turchia [GC], n. 34503/97, CEDU 2008.
In tale pronuncia della Grand Chambre, la Corte si è occupata del divieto fatto
a funzionari comunali di formare un sindacato e della soppressione con effetto
retroattivo del contratto collettivo firmato dal sindacato in questione.
Il caso riguardava il sindacato Tum Bel Sen, fondato da funzionari di vari
Comuni soggetti alla disciplina sul pubblico impiego; Tum Bel Sen aveva concluso
con la città di Gaziantep, per un periodo di due anni, un contratto collettivo, che
copriva gli aspetti delle condizioni di lavoro nei servizi del comune di Gaziantep,
inclusi gli stipendi, indennità e servizi di assistenza sociale.
I lavoratori avevano quindi agito in giudizio a tutela dei diritti loro riconosciuti
dal contratto collettivo, ma la Corte suprema nazionale, riformando la decisione
impugnata, aveva respinto la domanda, ritenendo che, se non vi erano ostacoli
giuridici alla realizzazione dei sindacati da parte dei funzionari, non era permesso a
questi di concludere contratti collettivi allo stato attuale della legge.
Nel giungere a questa conclusione, la Suprema Corte aveva ritenuto che il rapporto
lavorativo fosse stato diverso da quello tra datore di lavoro e il diritto dei
dipendenti comune e che la possibilità di contratto "contratto collettivo" tra i
sindacati dei servizi pubblici e l'amministrazione avrebbe dovuto trovare il
fondamento in una disposizione di legge speciale, nella specie mancante.
I lavoratori avevano quindi adito la CEDU, lamentando la violazione dell’art.
11 della Convenzione.
Occorre soffermarsi ora, pur brevemente, sulla sentenza resa dalla Corte, ove la
Grand Chambre ha fissato i contenuti del diritto protetto dall’art. 11 della
Convenzione.
La Corte ha intanto precisato che la possibilità di eventuali restrizioni per i membri delle forze armate, della polizia o dell'amministrazione dello Stato di cui all'articolo 11 va interpretata restrittivamente e deve essere limitato all’esercizio di tali diritti, e non può estendersi al diritto di organizzarsi.
Nell’interpretare la norma nazionale restrittivamente la Corte ha fatto riferimento
agli strumenti internazionali più rilevanti ed alla pratica degli Stati europei,
secondo un indirizzo ormai consolidato (Sigurdur A. Sigurjónsson contro l'Islanda,
il 30 Giugno 1993, § 35, serie A n. 264; Sørensen e Rasmussen c. Danimarca
[GC], 52562/99 e 52620/99, § 72-75, CEDU 2006; la stessa sentenza ha inoltre
precisato che non è necessario che lo Stato convenuto abbia ratificato tutti gli
strumenti pertinenti nel settore specifico). La Corte ha così concluso che i
dipendenti dell'amministrazione pubblica non potevano essere esclusi dal campo di applicazione dell'articolo 11, e che al più le autorità nazionali avrebbero potuto imporre "restrizioni legali", in conformità all'articolo 11 § 2.
In particolare, la Corte ha affermato che l'articolo 11 § 1 presenta la libertà
sindacale come una forma o un aspetto particolare della libertà di associazione
(Syndicat national de la police belge c. Belgique, 27 octobre 1975, § 38, série A n.
19, e Syndicat suédois des conducteurs de locomotives, § 37, série A no 20, § 39).
La Corte ha rilevato inoltre che se l'articolo 11 è destinato essenzialmente a
proteggere l'individuo da interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche
nell'esercizio dei diritti in essa sanciti, esso può comportare anche l'obbligo
positivo di assicurare il godimento di tali diritti.
Secondo la disposizione dell'articolo 11, l’ingerenza dello stato nel godimento del
diritto protetto e’ consentita solo se "prevista dalla legge", persegue uno o più
scopi legittimi e "necessaria in una società democratica" per raggiungerli.
La Corte ha quindi rilevato che le eccezioni di cui all'articolo 11 devono essere interpretate restrittivamente, e che solo ragioni convincenti e interessanti possono giustificare restrizioni alla libertà di associazione. A giudicare l'esistenza di una "necessità" e quindi un "bisogno sociale imperioso" ai sensi dell'articolo 11 § 2, gli Stati hanno solo un limitato margine di apprezzamento, che resta sempre soggetto ad una supervisione rigorosa europea (Yazar e altri c. Turchia, 22723/93 nostra,
22724/93 e 22725/93, § 51, CEDU 2002-II).
Per quanto riguarda il diritto alla contrattazione collettiva, la Corte ha
affermato che il contratto collettivo è un mezzo essenziale per promuovere gli
interessi del sindacato e che il diritto di stipulare contratti collettivi è riconosciuto a
livello internazionale per i lavoratori (specialmente OIL) nonché nella maggior
parte degli Stati del Consiglio d'Europa, sicché la cancellazione del contratto
collettivo non può ritenersi consentita in una società democratica.
Lo Stato contraente, se in linea di principio è libero di decidere quali azioni
intende intraprendere per garantire il rispetto dell'articolo 11, resta obbligato a
includere gli elementi ritenuti essenziali dalla giurisprudenza della Corte. Ora, allo
stato attuale della giurisprudenza della Corte, emergono i seguenti elementi
essenziali dei diritti sindacali: il diritto di formare un sindacato e di associarsi (Tüm
Haber Sen et Çınar c. Turquie, no 28602/95, §§ 36-39, CEDH 2006), il divieto di
accordi di monopolio sindacale (si veda, ad esempio, Sørensen et Rasmussen
c. Danemark [GC], nos 52562/99 et 52620/99, §§ 72-75, CEDH 2006), il diritto di
un sindacato di cercare di convincere il datore di lavoro per ascoltare cosa ha da
dire a nome dei suoi membri (Wilson, Sindacato Nazionale giornalisti e a., § 44,
ove la Corte ha dichiarato che, anche se la contrattazione collettiva non era
indispensabile per il godimento della libertà di associazione, poteva essere uno dei
modi di proteggere gli interessi dei membri del sindacato).
La Corte ritiene che questi principi non vanno intesi staticamente, essendo
destinati ad evolversi con gli sviluppi che caratterizzano il mondo del lavoro. A
questo proposito, va ricordato che la Convenzione è uno strumento vivo da
interpretare alla luce delle condizioni attuali, seguendo l'evoluzione del diritto
internazionale, al fine di una domanda crescente di tutela dei diritti umani.
Ciò implica una maggiore fermezza nel valutare le violazioni dei valori
fondamentali delle società democratiche e nel contempo la necessità di interpretare restrittivamente le limitazioni dei diritti umani, in modo da garantire una loro protezione concreta ed efficace (v., mutatis mutandis, Refah Partisi (Partito del
Welfare) e altri c. Turchia [ GC], n. 41340/98, 41342/98, 41343/98 e 41344/98, §
100, CEDU 2003-II; Selmouni c. Francia [GC], n. 25803/94, § 101, CEDU 1999-
V).
Alla luce di questi sviluppi, la Corte ha dichiarato che la sua vecchia
giurisprudenza, secondo la quale il diritto di negoziare e concludere contratti
collettivi non è un elemento intrinseco dell’art. 11, deve essere superata, per tener
conto degli sviluppi nel campo così come viene previsto dal diritto internazionale e
dai sistemi giuridici nazionali.
Di conseguenza, la Corte ha ritenuto, tenendo conto degli sviluppi nel diritto
del lavoro e delle pratiche internazionali e nazionali degli Stati contraenti in
materia, che il diritto alla contrattazione collettiva con il datore di lavoro è, in linea
di principio, diventato un elemento chiave del "diritto di formare e aderire ai
sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi" di cui all'articolo 11 della
Convenzione, anche se gli Stati restano liberi di organizzare il loro sistema per
riconoscere, eventualmente, uno status speciale ai sindacati rappresentativi. Come gli altri lavoratori, anche i dipendenti pubblici, salvo casi molto particolari, dovrebbero beneficiare di tali diritti, ma senza pregiudizio per gli effetti di "restrizioni legali" può essere imposto ai "membri dell'amministrazione dello Stato" ai sensi del L'articolo 11 § 2.
Alla luce dei principi sopra esposti, la Corte ha ritenuto che, nel caso di specie,
il sindacato Tum Bel Sen aveva il diritto di contrattare collettivamente con il datore
di lavoro del governo ed ha rilevato inoltre che l’accordo stipulato era stato
applicato in concreto per due anni in tutti i rapporti di lavoro all'interno del
Comune di Gaziantep. Secondo la Corte, l’esclusione del diritto di contrattazione
collettiva e l'annullamento retroattivo del contratto collettivo stipulato dall’Unione
hanno realizzato una ingerenza non necessaria in una società democratica, non
corrispondendo la limitazione ad un "bisogno sociale imperioso". Da qui la
violazione dell’art. 11 della Convenzione.
http://www.europeanrights.eu/public/commenti/BuffaIncontroCSMsuCEDU.pdf
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