POLIZIA LA FORZA DEL CAMBIAMENTO
Qualche
giorno fa, un interessante convegno promosso dalla Università popolare
di Roma, dalla Fondazione «Bruno Buozzi» e dalla Associazione «Emilio
Alessandrini», ha celebrato i trenta anni dalla approvazione della legge
121/81 con la quale veniva profondamente riformata la polizia e il modo
di organizzare la sicurezza.
Ne parlo con Ennio Di Francesco, già
ufficiale dei carabinieri e funzionario di Pubblica sicurezza, uno dei
protagonisti di quella vicenda.
Come si è arrivati alla legge 121/81?
«La legge - dice Ennio - è stata la conclusione di un lungo percorso di
lotte dure e sofferte iniziate a cavallo dei tremendi anni '60-'70,
quando pochi "poliziotti carbonari" iniziarono a riunirsi in varie città
d'Italia, spontaneamente e segretamente, per chiedere una polizia più
professionale, inserita tra la gente, più moderna e democratica. Possono
sembrare concetti scontati oggi, ma occorre andare con la mente e col
cuore a quegli anni tremendi, scanditi da scontri di piazza, odio e
violenza, attentati, uccisioni, stragi».
Quali sono stati - domando - i
contenuti più innovativi della legge? «Le principali conquiste - mi
dice - sono state culturali: essere riusciti a cambiare l'idea,
prevalente, di allora per cui i "tutori dell' ordine" erano dall'altra
parte, separati dalla gente e utilizzati sovente come forza bruta per
risolvere conflitti sociali che la politica non aveva voluto
affrontare. E' stato un graduale, tenace percorso di coinvolgimento
dell'opinione pubblica e della forze politiche, sociali e sindacali. Tra
gli aspetti innovativi ci sono l'avere reso obbligatorio in tutte le
Scuole di polizia l'insegnamento della Costituzione; l'avere affermato
il carattere civile, e non militare, della Polizia di Stato; l'aver
creato per la prima volta un ufficio di coordinamento di tutte le Forze
di polizia (Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia carceraria,
Forestale); la rappresentanza dei diritti dei poliziotti attraverso loro
associazioni e sindacati; l'aver creato migliori condizioni di professione,
vita e dignità; l'aver sancito la parità di ruolo e funzioni tra donne e
uomini; l'aver migliorato la formazione e istituita la Scuola di
perfezionamento comune tra dirigenti delle Forze di polizia; l'aver
sviluppato le professionalità scientifiche».
Come avete lavorato per
ottenere questi cambiamenti? domando. «In ciascuno dei "poliziotti
carbonari" - dice Di Francesco - si era accesa dentro, per esperienze o
sentimenti personali, la scintilla (parafrasando Gaber) di
partecipazione come libertà verso il bene pubblico. Eravamo pochi, ma
determinati. Cominciammo a costituire una rete clandestina, a riunirci
braccati quasi dai nostri colleghi dell'ufficio politico o dai
carabinieri. Ci incontrammo di nascosto con i primi sindacalisti e
politici più sensibili, con magistrati e giuristi. Andammo dove
possibile nelle fabbriche e nelle scuole, spesso tra operai e studenti
prevenuti, a parlare del nostro sogno. Avevamo costituito, forse senza
rendercene pienamente conto, una magari piccolissima rete di "vigilanza
democratica". Mi commuovo ancora oggi a pensare ai tanti "poliziotti
carbonari" che in quegli anni vennero puniti, arrestati, cacciati via
dall'Amministrazione».
Quale era la speranza che vi muoveva? chiedo.
«Quella di contribuire umilmente alla costruzione di un convivere
sociale più sicuro, più partecipato e solidale, senza l'odio e gli
orrori di quegli anni. Per le nuove generazioni».
Quali sono stati gli
ostacoli più gravi? «Gli inevitabili nemici di qualsiasi innovazione
che, magari in buona fede, ci vedevano come "sovversivi" o comunisti. E,
più spietatamente, con calcolo, coloro che con la riforma avrebbero
perso non pochi poteri e privilegi».
Dopo trent'anni come giudichi
l'efficacia della legge? «Essa ha indubbiamente cambiato il nostro
"sistema sicurezza." Ha fatto si che la nostra polizia avesse uno scatto
in avanti, lungimirante per quei tempi, diventando una delle più
preparate e professionali al mondo».
Agnese Moro - La Stampa
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