
Molti rappresentanti sindacali dei dipendenti pubblici, tra cui i sindacati di polizia, nonché alcune rappresentanze militari, in primis Carabinieri ed Esercito, hanno denunciato come uno scandalo l’esclusione dei loro rappresentati dall’agevolazione.
Ma la detassazione dello straordinario è compatibile con le finalità del lavoro pubblico ed in particolare del comparto difesa-sicurezza?
Per rispondere al quesito si deve innanzitutto chiarire quali sono le finalità dichiarate del provvedimento e quali sono gli effetti di politica fiscale.
Gli attuali esponenti del Governo hanno dichiarato, fin dalla campagna elettorale, che la detassazione dello straordinario, ed in generale degli elementi retributivi legati agli incentivi, ha lo scopo di favorire il decentramento della contrattazione salariale in modo che vi sia un più stretto legame fra salario e produttività: in sostanza più si lavora, meno tasse si pagano!
Lo scopo è stato ribadito ancora il 20 maggio in conferenza stampa dai tre Ministri competenti (Welfare, Economia e Funzione Pubblica).
Non è qui il caso di analizzare se lo strumento fiscale possa innescare un meccanismo virtuoso per la produttività dell’impresa italiana o se, come altri sostengono, possa solo facilitare l’elusione; è però chiaro che il mezzo sia studiato e rivolto solo all’impresa privata e che solo ragioni di opportunità politica potrebbero estenderlo alla pubblica amministrazione.
Nell’impresa privata il lavoro straordinario è utilizzato soprattutto perché si tratta di uno strumento agile e flessibile che può far fronte prontamente alle necessità della produzione (intesa come soddisfazione dei fabbisogni sia esterni che interni all’azienda).
L’utilizzo dello straordinario in azienda è però fatto a ragion veduta, grazie al conflitto d’interessi tra imprenditore e lavoratori (e loro rappresentanze): il primo lo richiede solo se necessario, il secondo lo svolge solo se retribuito.
La medesima circostanza non si può certo dire del pubblico impiego, ed ancor meno del comparto difesa-sicurezza, come evidenzierò in seguito.
Una maggiore remunerazione dello straordinario, senza incidere sui costi dell’azienda ma a discapito della fiscalità generale, potrebbe facilitare lo spostamento dell’asse contrattuale dall’attuale componente fissa a quella accessoria, legata appunto alla produttività.
E’ ripetibile lo stesso meccanismo nella pubblica amministrazione? No, perché nel pubblico impiego maggiori ore lavorate non significano maggiore produzione, tutt’altro…
In primo luogo l’efficienza nella produzione di servizi pubblici è nella generalità dei casi inversamente proporzionale alle ore prestate: il bravo impiegato pubblico è quello che sbriga la pratica nel minor tempo possibile, non con maggiori ore di lavoro.
In secondo luogo perché nelle amministrazioni statali non esiste quel conflitto d’interessi tipico del privato in quanto il dirigente pubblico naturalmente non impiega capitale proprio di rischio come l’imprenditore, né risponde dell’inefficienza della propria struttura, come accade invece ad un manager al proprio azionariato.
Non vi è quindi alcun interesse pubblico nell’incentivare lo straordinario del dipendente statale.
Alcuni eccepiscono la particolarità delle Forze di Polizia; una detassazione del loro straordinario comporterebbe una aumento della prestazione e quindi della sicurezza dei cittadini.
Ma lo status giuridico degli addetti alla sicurezza, ed in particolar modo dei militari come quelli della Guardia di Finanza privi di diritti sindacali, non consente molti margini di scelta al singolo qualora si rendano necessarie maggiori ore di servizio da prestare (se le esigenze di servizio impongono di lavorare oltre le canoniche 36 ore settimanali lo devi fare, con o senza detassazione).
Inoltre attualmente molte delle ore di straordinario prestate non sono remunerate ma devono essere recuperate, data la normale insufficienza del monte ore retribuibile (infatti lo sforamento è circostanza che dovrebbe avvenire, in teoria, solo per fattive esigenze).
Quindi quale effetto utile avrebbe sulla “produzione di sicurezza” una detassazione dello straordinario se:
- non posso decidere liberamente se farlo?
- non so se mi verrà retribuito?
(Però paradossalmente non si hanno i fondi per remunerare ore già prestate da parecchi anni: vi è in questi mesi il rischio di una restituzione delle somme corrisposte anni fa ad alcuni Finanzieri piemontesi, a seguito di sentenza del TAR, per delle ore di straordinario non recuperate.)
Ne consegue che il fine per gli statali sarebbe solamente quello di una "supposta" equa redistribuzione del reddito tramite la politica fiscale; infatti le rappresentanze del comparto (sindacati o Cocer) ne sono consapevoli e non hanno mai fatto riferimento agli effetti sull’efficienza produttiva, scopo invece esplicitamente perseguito dal Governo.
Al di là del fatto che se si volesse agire sui salari del ceto medio-basso, tra cui i militari, sarebbe più logico modificare la fiscalità generale con ad esempio una semplice variazione delle aliquote oppure un aumento delle detrazioni; la detassazione dello straordinario comunque non favorirebbe nemmeno l’equità fiscale.
E’ statisticamente dimostrato che un largo utilizzo del lavoro straordinario è appannaggio di una ristretta categoria di lavoratori con determinate caratteristiche (anzianità di servizio, posizione medio alta nell’organizzazione, uomini e/o single) che consentono un’ampia libertà di scelta del tempo lavorativo.
Per quanto riguarda poi le organizzazioni militari la categoria si restringe maggiormente poiché, caso unico nel panorama lavorativo, la dirigenza usufruisce della retribuzione del lavoro straordinario per giunta in auto-certificazione e con una gestione senza alcun contradditorio con la controparte sindacale (si veda a tal proposito l’affermazione di qualche anno fa dell’On. Ramponi in Commissione Difesa alla Camera per il quale lo straordinario è strumento di comando in quanto premio per i più meritevoli e quindi da sottrarre alle competenze della rappresentanza militare).
La detassazione pertanto non sarebbe strumento di equità fiscale ma di ulteriori divari tra coloro (molti) che prestano marginalmente lavoro straordinario, magari in gran parte non retribuito, e chi (pochi) che se ne avvalgono senza controllo esterno.
Infine si consideri che l’applicazione di una aliquota fissa al 10% è una eccezione al principio costituzionale della progressività del sistema fiscale (art. 53 Cost.) che, per le imposte personali come l’IRPEF, dovrebbe essere sempre perseguito a meno che altre finalità costituzionalmente garantite (ad esempio la tutela del risparmio) non ne consentano una parziale disapplicazione; peraltro il reddito limite di 35.000 euro può in parte ristabilire una certa progressività dell’imposta.
Nel caso dei dipendenti pubblici si verrebbe invece a creare un doppio vulnus costituzionale, sia alla progressività dell’imposta che al buon andamento della pubblica amministrazione: ne vale la pena?
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