lunedì 31 ottobre 2011

ORARIO DI LAVORO: FORSE NON TUTTI SANNO CHE…

…l’art. 38, comma 3 (seconda parte), del DPR 16-4-2009 n. 51 (provvedimento di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare) prevede che: Il personale inviato in missione, qualora il servizio si protragga oltre le ore 24:00 per almeno tre ore, ha diritto ad un intervallo per il recupero psico-fisico non inferiore alle dodici ore. Il turno giornaliero si intende completato anche ai fini dell'espletamento dell'orario settimanale d'obbligo.”

Concretamente questa norma significa che se torno da una missione alle tre di notte (o anche oltre) devo stare a riposo almeno dodici ore e comunque il mio turno giornaliero si intende completato, ossia è come se avessi fatto le ore previste per quel giorno (di solito otto o sei).

sabato 29 ottobre 2011

..:: DPCM, Tremonti colpisce ancora ! ::..

..:: DPCM, Tremonti colpisce ancora ! ::..

La strage silenziosa delle forze dell’ordine




Quando un rappresentante delle forze dell’ordine muore in servizio se ne parla su tutti i giornali e diventa un eroe unanimemente riconosciuto. La colpa è della criminalità o, quando impegnati in missione di pace (che di pacifico hanno sempre meno), del “nemico”, e quindi la reazione è accettata e condivisa da tutti.

C’è però una strage silenziosa, che non viene quasi mai pubblicizzata (meritorio, in tal senso, è l’impegno controcorrente della rivista Carabinieri d’Italia, attenta al problema), e che ha raggiunto dimensioni allarmanti. Sono sempre più numerosi, infatti, i Carabinieri che decidono di porre fine alla loro vita, suicidandosi. I numeri di tale fenomeno sono poco noti, ma tali da non consentire di ritenere in alcun modo che rientrino nella normale statistica dei suicidi dei depressi, dei patologici, dei malati di mente. Tutt’altro.

Spesso dietro il suicidio di un Carabiniere vi è la frustrazione nello svolgere il proprio lavoro, le vessazioni subite (preoccupante è quanto sta emergendo in questi giorni riguardo al corpo dei Nocs), le legittime aspettative deluse. Significativo è che talvolta i parenti delle vittime – di questo si tratta – non vogliono la partecipazione ai funerali dei superiori del corpo di appartenenza.

A mio avviso, in queste dinamiche gioca un ruolo determinante anche la giustizia amministrativa che, troppo spesso, non rende giustizia a provvedimenti che andrebbero vagliati ben più a fondo, trincerandosi invece dietro tesi oltremodo restrittive o, addirittura, nella teoria dell’”ordine amministrativo”, cioè un atto che non può di fatto essere messo in discussione, in quanto giustificato da prioritarie e prevalenti esigenze di organizzazione correlate alla sicurezza. Ma siamo proprio sicuri che sia sempre così? O con tale atteggiamento giurisprudenziale non si finisce per legittimare, piuttosto, anche trasferimenti punitivi, disciplinari vessatori e dinieghi ingiusti di progressione in carriera?

Se i vertici di tali istituzioni, come dimostrano talune inchieste, sono stati talvolta coinvolti in inchieste per gravissimi fatti, credo sia legittimo sospettare che anche dietro le carriere, i procedimenti disciplinari e i trasferimenti coatti possa esservi in alcuni casi una decisione non esclusivamente meritocratica e trasparente.

E allora, forse è il momento di iniziare a proteggere le forze dell’ordine anche sotto il profilo della legittimità dei provvedimenti, e di scandalizzarsi veramente dei tanti, allarmanti, suicidi, di cui non abbiamo spesso adeguata notizia, domandandoci il perché di tale crescente fenomeno e individuandone le cause e, se del caso, i responsabili.


Alessio Liberati

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/26/la-strage-silenziosa-delle-forze-dellordine/166442/

domenica 23 ottobre 2011

Il j'accuse di un agente "Indagini a spese nostre e ci tagliano lo stipendio"

lpd: Il j'accuse di un agente

ADUNANZA PLENARIA GDF, IL COBAR PIEMONTE APRE IL DIBATTITO


ADUNANZA PLENARIA GDF, IL COBAR PIEMONTE APRE IL DIBATTITO: IL DOCUMENTO UNITARIO DELL’AQUILA NON SI TOCCA, DIVERSAMENTE CHIEDEREMO LA SMILITARIZZAZIONE


Guardia di Finanza
COMANDO REGIONALE PIEMONTE
Consiglio di Base di Rappresentanza



DELIBERA NR. 1/76/X



OGGETTO:Prossima assise plenaria della Rappresentanza Militare della Guardia di Finanza.



IL COBAR



PREMESSO che tutta la rappresentanza militare della Guardia di Finanza il 23 gennaio 2008 approvò a L’Aquila, per acclamazione, il documento “…PER UNA MODERNA RAPPRESENTANZA” col quale si chiedeva una riforma in senso sindacale per la tutela degli interessi del personale del Corpo;



CONSIDERATO che, con tale documento, è stata raggiunta una formula di compromesso tra le varie anime della rappresentanza e che questa linea di equilibrio, che una politica attenta dovrebbe immediatamente raccogliere in quanto segnale di senso di responsabilità, è quella necessaria per evitare la spaccatura: è la linea invalicabile del Piave!



LETTO il testo base in materia di “riforma della rappresentanza militare” proposto dal Relatore alla Commissione Difesa del Senato ed adottato a maggioranza;



LETTO il disegno di legge 3163, con primo firmatario il Presidente della Commissione Difesa della Camera, recante “Modifica all’articolo 37 del codice penale militare di pace, concernente la definizione di reato militare", teso ad allargare a dismisura le competenze della giurisdizione penale militare, nonché le condivisibili considerazioni in proposito del CoCeR contenute nella Delibera n. 03/184/10°;



LETTO il D.L.vo n. 66/2010 “Codice dell’Ordinamento Militare”, in particolare ove si limitano ulteriormente le libertà dei cittadini militari;



LETTE le diverse manovre economiche finanziarie, che hanno comportato gravi danni economici al personale del Corpo, e contro le quali, nell’attuale contesto non è possibile esercitare alcuna difesa dei diritti comunque acquisiti o chiedere il rispetto degli impegni assunti;



LETTA la Legge nr. 79/2010 recante “Norme in materia di nomina del Comandante generale del Corpo della Guardia di finanza e di attività di concorso del medesimo Corpo alle operazioni militari in caso di guerra e alle missioni militari all'estero”, unica norma di sistema che interessa il Corpo ma che nulla incide sulle generali condizioni del personale;



LETTA la norma che ha previsto la specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei Vigili del Fuoco;



ATTESO che l’unico intervento legislativo finora realizzato in materia di rappresentanza militare ha riguardato due proroghe del mandato con motivazioni ritenute inconsistenti e che ne sarebbero assolutamente inaccettabili ulteriori;



CONSIDERATO che la condizione militare degli appartenenti alla Guardia di Finanza non comporterà alcun vantaggio rispetto ai colleghi delle Forze di Polizia civili senza riforme positive all’orizzonte, mentre si moltiplicano sempre più i tentativi e gli attacchi alle libertà ed alle progressioni economiche fin qui duramente conquistate dai colleghi che ci hanno preceduto, come evidenziato nella delibera di questo CoBaR nr. 3/63/X;



DELIBERA



di dare mandato ai delegati che rappresenteranno questo COBAR all’Assise plenaria, di esprimere il convincimento che, qualora il Parlamento e gli Stati Maggiori persistessero nell’atteggiamento di chiusura nei confronti della Rappresentanza Militare e dei diritti civili dei Finanzieri, l’unica strada da percorrere per raggiungere la reale tutela del personale sarebbe la smilihttp://www.blogger.com/img/blank.giftarizzazione del Corpo della Guardia di Finanza.



La presente delibera, approvata all’unanimità (assenti: Col. Borgia, App.sc. Pansitta), in data 12/10/2011, attesi i tempi previsti per l’adunanza, viene inviata direttamente al CoCeR ai sensi della vigente normativa.


http://www.ficiesse.it/home-page/5709/adunanza-plenaria-gdf_-il-cobar-piemonte-apre-il-dibattito_-il-documento-unitario-dell%E2%80%99aquila-non-si-tocca_-diversamente-chiederemo-la-smilitarizzazione

sabato 22 ottobre 2011

Manca la benzina alla polizia. Dal Pd arrivano 7mila euro


I parlamentari piemontesi consegnano i buoni per alleviare la carenza di carburante e garantire la sicurezza alla città di Torino

Un gruppo di parlamentari piemontesi del Pd ha consegnato questa mattina buoni benzina per 7.000 euro al questore di Torino con l’obiettivo di contribuire ad alleviare la carenza di risorse da destinare al carburante, denunciata dai sindacati di polizia. Il gesto è però rimasto solo simbolico: il questore ha spiegato infatti di non poter accettare i buoni per motivi tecnici e amministrativi.

Lo riferisce Anna Rossomando, che insieme a Stefano Esposito, Antonio Boccuzzi e Giorgio Merlo, più l’esponente dei Moderati Mimmo Portas, componeva la delegazione. L’iniziativa è partita da sette parlamentari (vi hanno aderito infatti anche Pietro Marcenaro e Francesca Ciluffo), che per acquistare i buoni si sono tassati di mille euro a testa.

Dall’incontro, spiega Rossomando, è emersa l’ipotesi di collaborare in altre forme, promuovendo la riattivazione di nuovi patti per la sicurezza che coinvolgano gli enti locali. I sette parlamentari solleciteranno i sindaci del torinese che intendono mobilitarsi e la Provincia di Torino.

«Il centrodestra - afferma Rossomando - utilizza la questione della sicurezza come propaganda, ma poi non fa nulla di concreto per garantirla. Per noi invece la sicurezza è un diritto che va garantito con azioni concrete. È necessario intervenire contro l’inerzia del Governo, il gesto di oggi ha avuto un valore simbolico ma vuole dimostrare la nostra vicinanza alle forze dell’ordine e il nostro interesse per le condizioni di lavoro in cui operano».


http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/425967/

venerdì 14 ottobre 2011

RECENSIONE GASTRONOMICA


Trattoria del Ponte ***
Fondo di Valchiusella – 10080 Traversella (Torino)
Tel. 0125/749124 – 348/8891454

E' la tipica trattoria della montagna piemontese, raggiungibile al fondo della suggestiva Valchiusella, all'interno di una piccola e caratteristica borgata di montagna.
Normalmente viene proposto un menu fisso a base di specialità montane, semplici ma gustose e preparate con materie prime genuine.
In particolare vi abbiamo mangiato due antipasti, primo (agnolotti), secondo (polenta con coniglio e spezzatino), formaggi (tre ottime tome di montagna), dolce (crostata), vino sfuso, caffè e genepy per la modica cifra di € 15.
La qualità e la quantità dei piatti sono decisamente buone, mentre il servizio è piuttosto “montano” (ovvero non dei più accoglienti).
Siccome il locale è piccolo, conviene prenotare, specie nei week end estivi, anche se si é soltanto in due; inoltre nei suddetti fine settimana il parcheggio é difficoltoso, ma direi che la località ed il rapporto qualità/prezzo valgono il viaggio. Trattoria consigliata.

a cura di Luca Testa

mercoledì 12 ottobre 2011

NUOVE PROSPETTIVE PER IL DIRITTO DEI MILITARI DI COSTITUIRE ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI

SUPERATA LA SENTENZA 449/99 CHE HA NEGATO AI MILITARI IL DIRITTO DI COSTITUIRE ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI. PRESTO ANCHE I CITTADINI-MILITARI EUROPEI RESIDENTI IN ITALIA POTRANNO RIUNIRSI IN ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI A CARATTERE SINDACALE.

C’è chi, maliziosamente, sostiene che il Codice dell’Ordinamento Militare prevede la facoltà, e non l’obbligo, per l’Amministrazione di esercitare il potere disciplinare nei confronti di chi svolge propaganda politica, in quanto l’esercizio di quel potere dipenderebbe dal partito a favore del quale viene svolta la propaganda.

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. Il superamento del monopolio della Corte Costituzionale sul sindacato delle leggi nazionali – 3. Conclusioni.

1. Introduzione
Come noto, il 13 dicembre 1999, il giorno in cui si ricorda la “Santa della luce”, i militari italiani videro calare il buio sulle loro legittime aspettative di riunirsi in associazioni liberamente costituite, alla pari di qualsiasi altro lavoratore. In quella data, infatti, la Corte Costituzionale con la sentenza nr. 449/99 ritenne legittimo il divieto imposto ai militari di costituire associazioni professionali
A lasciare più l’amaro in bocca, fu il travagliato iter che portò alla controversa sentenza.
Vale la pena ripercorrerlo sinteticamente.
Il Consiglio di Stato, dopo aver preso atto dei principi stabiliti, fino ad allora, dalla stessa giurisprudenza costituzionale, giunse a dichiarare non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del divieto imposto ai militari “di costituire associazioni professionali a carattere sindacale”,
Di seguito si riassumono tali punti fermi, precedentemente, stabiliti dai Giudici delle leggi:
1. la pacifica manifestazione di dissenso dei militari non esula dai dettami costituzionali;
2. i reclami collettivi e le riunioni a carattere non sedizioso non sono illecite, anzi possono rappresentare un mezzo di promozione e di sviluppo in senso democratico dell’Ordinamento delle Forze armate;
3. l’espletamento di un mandato richiede un’indipendenza ed un’imparzialità che mal si conciliano con i condizionamenti derivanti dal vincolo di subordinazione gerarchica;
4. in nome della tutela dei valori della disciplina e della gerarchia non possono essere sacrificate le libertà fondamentali e la stessa democraticità dell'Ordinamento militare.
Preso atto di un tale orientamento della giurisprudenza costituzionale, il Consiglio di Stato giunse all’unica conclusione possibile, cioè che “NON SI RAVVISANO MOTIVI PLAUSIBILI PER SOPPRIMERE PER I MILITARI UNO TRA I DIRITTI COSTITUZIONALMENTE GARANTITI, DI CUI LO STESSO ART. 3 DELLA L. 382/78 PREVEDE SOLTANTO LIMITAZIONI NELL’ESERCIZIO”.

La Corte Costituzionale, dal canto suo, in premessa, non contraddisse i principi da lei stessa sanciti in precedenza. Al contrario, li rafforzò, spingendosi ad affermare:
1. “l’art. 52, terzo comma, della Costituzione parla di ordinamento delle Forze armate, non per indicare una sua (inammissibile) estraneità all’ordinamento generale dello Stato, ma per riassumere in tale formula l’assoluta specialità della funzione”….;
2. la normativa dell’Ordinamento militare “non è avulsa dal sistema generale delle garanzie costituzionali”
….;
3. “LA GARANZIA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DI CUI SONO TITOLARI I SINGOLI CITTADINI MILITARI NON RECEDE QUINDI DI FRONTE ALLE ESIGENZE DELLA STRUTTURA MILITARE; SI’ CHE MERITANO TUTELA ANCHE LE ISTANZE COLLETTIVE DEGLI APPARTENENTI ALLE FORZE ARMATE, AL FINE DI ASSICURARE LA CONFORMITA’ DELL’ORDINAMENTO MILITARE ALLO SPIRITO DEMOCRATICO”.
Dopo tali premesse, la Corte fece un clamoroso dietrofront e dichiarò non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, primo comma, della legge 382/78, ritenendo legittimo il divieto imposto ai militari di costituire associazioni professionali.
I giudici delle leggi ritennero che “la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 8, nella parte denunciata, aprirebbe inevitabilmente la via ad organizzazioni la cui attività potrebbe risultare non compatibile con i caratteri di coesione interna e neutralità dell’ordinamento militare”. Giunsero a tali conclusioni, dopo aver affermato che “rileva nel suo carattere assorbente il servizio, reso in un ambito speciale come quello militare (art. 52, primo e secondo comma, della Costituzione)”.

Chi scrive ritiene che la Corte abbia espresso un giudizio di valore; ovvero, abbia attribuito giuridicità a ciò che è solamente un’opinione.
La Corte, a sostegno delle sue tesi, infatti, afferma che “il legislatore ha sì riconosciuto una circoscritta libertà sindacale alla Polizia di Stato, ma ciò ha disposto contestualmente alla smilitarizzazione di tale Corpo, il quale ha, oggi, caratteristiche che lo differenziano nettamente dalle Forze armate”.
Da una simile affermazione sembrerebbe derivare che il riconoscimento del diritto sindacale per la Polizia di Stato è avvenuto solo a seguito della perdita del requisito di “specialità”, avvenuta con la smilitarizzazione.
Ma un’attenta riflessione sulla natura giuridica dei due ordinamenti avrebbe dovuto condurre la Corte a conclusioni diametralmente opposte.
Il Giudice Costituzionale, infatti, ha ignorato completamente l’art. 3, 1° comma della L. 181/81, a mente del quale “L’Amministrazione della Pubblica Sicurezza è civile ed ha un ordinamento speciale”. In altre parole, la Corte ha ignorato che sia la Polizia di Stato che le forze di polizia militarmente organizzate e le FF.AA. hanno un ordinamento “speciale” finalizzato allo svolgimento di un servizio “speciale”.
Ora come allora, non si può non condividere il pensiero della dottrina più attenta a tali problematiche, secondo la quale “il riconoscimento del diritto per gli appartenenti alle Forze armate di costituire associazioni professionali a carattere sindacale NON HA NULLA A CHE VEDERE CON LA “SPECIALITA’” DEL SERVIZIO, NE’ CON LA COESIONE INTERNA E LA NEUTRALITA’ DELL’ORDINAMENTO MILITARE …. Si può tranquillamente affermare che mentre il Consiglio di Stato, con la questione di legittimità costituzionale sollevata, ha motivato le ragioni giuridiche dell’incostituzionalità dell’art. 8, 1° co. L. n. 382 cit., la Corte Costituzionale si è sottratta ai suoi compiti, ricorrendo, per giustificare la propria decisione, a ragioni che giuridiche non sono” (Prof. S. Riondato).
La Corte, negando ai militari il diritto di costituire associazioni professionali, ha creato le condizioni affinché “i valori della disciplina e della gerarchia si avvantaggino di un eccesso di tutela in danno delle libertà fondamentali e della stessa democraticità dell’Ordinamento delle FF.AA.”; circostanza che la stessa Corte, in altra occasione, aveva inteso scongiurare, probabilmente perché foriera di pericoli di diversa natura.
Una cosa è vietare l’esercizio del diritto di sciopero, ben altra cosa è vietare l’esercizio del diritto di costituire associazioni professionali.
Se è fuor di dubbio che il primo diritto, se abusato, potrebbe incidere sulla coesione interna e neutralità dell’ordinamento militare, non si può escludere che la negazione del secondo, non stia già incidendo sul concetto di giustizia e legalità, influenzando i principi di efficienza, trasparenza e buon andamento di così vitali apparati dello Stato.

2. Il superamento del monopolio della Corte Costituzionale sul sindacato delle leggi nazionali

La legittimità del divieto imposto ai militari di costituire associazioni professionali, di cui al paragrafo precedente, fortunatamente, è storia passata, in quanto superata dalla normativa europea.

Nell’anno 2001, infatti, una riforma costituzionale ha stabilito che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario” (art. 117, 1°comma, Cost.).

Da allora, il diritto europeo ha acquisito una forza sempre più penetrante rispetto alle fonti nazionali.
Alle fonti comunitarie, infatti, è stata riconosciuta una efficacia tale da prevalere non solo sulle leggi interne, ma anche sulle norme nazionali di rango costituzionale, mediante la diretta applicazione da parte dei giudici comuni.
Una tale intrusione del diritto ultranazionale nell’ordinamento giuridico dei singoli Paesi membri ha modificato la collocazione gerarchica delle fonti normative, ma soprattutto l’equilibrio dei poteri di controllo sulle leggi nazionali. Si è aperta per il giudice nazionale comune la possibilità di sbrigliarsi dal giogo della Corte Costituzionale con la possibilità di disapplicare le leggi nazionali che sono in contrasto con il diritto comunitario. Cosa che qualche decennio fa era impossibile, a causa del disposto dell’art. 134 Costituzione.
La vera svolta, però, è avvenuta il 01 dicembre 2009, quando è entrato in vigore il Trattato di Lisbona. Il Trattato di Lisbona ha recato importanti modifiche all’art. 6 del Trattato dell’Unione europea sul rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini europei.
Il primo paragrafo del Trattato di Lisbona riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza).
In particolare al par. 1 si afferma che: “L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”.
E’ a tutti evidente il diverso valore giuridico che viene ad assumere la Carta di Nizza a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona, il quale ha rafforzato la tutela all’interno dei singoli Paesi dei diritti fondamentali, attribuendo alla Carta di Nizza il medesimo valore giuridico dei trattati.
La carta di Nizza, acquisendo “lo stesso valore giuridico dei trattati”, diviene diritto comunitario e comporta tutte le conseguenze, in termini di prevalenza sugli ordinamenti nazionali. In altre parole, a seguito del Trattato di Lisbona, una legge interna che contrasta con una norma della Carta di Nizza ben potrà essere disapplicata dal giudice comune nazionale; il quale è, pertanto, tenuto a dare applicazione diretta al diritto dell’Unione, di cui sospetta il contrasto con un diritto fondamentale, sancito sia nella CEDU che nella Carta di Nizza, in base al principio, fondato sull’art. 11 Cost. secondo cui “le norme di diritto comunitario sono direttamente operanti nell’ordinamento interno”.
L’ovvia conseguenza di questa rivoluzione copernicana è l’ampliamento sia della libertà di manovra dei giudici comuni nazionali che del patrimonio dei diritti dei singoli cittadini europei.

A seguito di tale modifica, che ha spostato in avanti i confini dei giudici nazionali, le prese di posizione da parte della giurisprudenza dei singoli Paesi membri non si sono fatte attendere.
Il Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza nr. 1220/2010, per esempio, ha affermato che, le disposizioni della CEDU sono “divenute direttamente applicabili nel sistema nazionale”. L’affermazione, è stata ripresa ed amplificata dalla giurisprudenza successiva di alcuni TAR.
Il TAR Lazio, sez. II, per esempio, in una rivoluzionaria sentenza, la nr. 11984/2010, ha affermato che “fra le più rilevanti novità correlate all’entrata in vigore del Trattato [di Lisbona], vi è l’adesione dell’Unione alla CEDU”, cui va ad aggiungersi la riformulazione della disposizione per cui i diritti fondamentali, quali garantiti dalla CEDU e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, “fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali” (art. 6, par. 3, TUE). Ne deriva, a mente del TAR Lazio, che “le norme della Convenzione divengono immediatamente operanti negli ordinamenti nazionali degli Stati (…), e quindi nel nostro ordinamento nazionale, in forza del diritto comunitario, e quindi in Italia ai sensi dell’art. 11 della Costituzione”. Lo stesso TAR conclude, affermando che al giudice comune si dà il potere “di procedere in via immediata e diretta alla disapplicazione (delle leggi statali contrastanti) in favore del diritto comunitario, previa eventuale pronuncia del giudice comunitario ma senza dover transitare per il filtro dell’accertamento della loro incostituzionalità sul piano interno”.
Come se non bastasse, è giusto il caso di evidenziare che nei primi 18 mesi di vigenza del Trattato di Lisbona, si possono rinvenire almeno sessanta decisioni della Corte di Cassazione (sia civili che penali) che contengono un riferimento alla Carta di Nizza. Spiccano quelle in tema di danni da demansionamento. In esse si impone al giudice del rinvio di ispirarsi anche al principio consacrato dall’articolo 1 della Carta, a mente del quale “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. Si badi bene, l’art. 1 della Carta non tratta in maniera diretta dei danni da demansionamento, eppure viene invocato.

3. Conclusioni

A questo punto, parafrasando un noto politico, ci si chiede: “Ma che c’azzecca tutto il ragionamento fin qui fatto con il superamento della sentenza 449/99 e segnatamente con la libertà di riunione e di associazione dei cittadini europei militari residenti in Italia?”Si riporta, di seguito, prima il testo dell’art. 1475 del Decreto Legislativo nr. 66/2010 e, subito dopo, quello l’art. 12 della Carta di Nizza, la quale risponde alla necessità di definire un gruppo di diritti e di libertà di eccezionale rilevanza che fossero garantiti a tutti i cittadini dell’Unione, nessuno escluso.

Articolo 1475 del D.Lgs 66/2010 - LIMITAZIONI ALL’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI ASSOCIAZIONE E DIVIETO DI SCIOPERO1. La costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della difesa.
2. I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali.
3. I militari non possono aderire ad associazioni considerate segrete a norma di legge e a quelle incompatibili con i doveri derivanti dal giuramento prestato.
4. I militari non possono esercitare il diritto di sciopero.

Articolo 12 della Carta di Nizza - LIBERTA’ DI RIUNIONE E DI ASSOCIAZIONE1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni individuo di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.
2. I partiti politici a livello dell’Unione contribuiscono a esprimere la volontà politica dei cittadini dell’Unione”.

Com’è evidente, il contrasto tra la norma statale ed il diritto comunitario è talmente chiaro che non ammette alcuna possibilità d’interpretazione, a meno che non si voglia sostenere che i militari non sono individui. La lettera della norma non offre lo spunto per elaborazioni che consentano di esprimere giudizi di valore, né il pretesto per attribuire valore giuridico a delle opinioni prive di tale carattere.
E’ giusto il caso di ricordare, prima delle conclusioni, che “la partecipazione a riunioni o manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, o lo svolgimento di propaganda a favore o contro partiti, associazioni politiche o candidati ad elezioni politiche e amministrative”, PUO’ESSERE PUNITA CON LA CONSEGNA DI RIGORE, ai sensi dell’art. 751, punto 10, DPR 90/2010. Si badi bene, la consegna di rigore, nell’Ordinamento militare, è sinonimo di arresti domiciliari, a seguito di un giudizio sommario da parte di un organo privo del requisito di terzietà e, per giunta, in assenza di un difensore abilitato; è sinonimo, altresì, di carriera certamente devastata e rischi per la conservazione del posto di lavoro.
C’è chi, maliziosamente, sostiene che il Codice dell’Ordinamento Militare prevede la facoltà, e non l’obbligo, per l’Amministrazione di esercitare il potere disciplinare nei confronti di chi svolge propaganda politica, in quanto l’esercizio di quel potere dipenderebbe dal partito a favore del quale viene svolta la propaganda (“A pensar male si fa peccato, ma quasi sempre si indovina” - G. Andreotti). Se così fosse, la norma rappresenterebbe una grave minaccia per la democrazia del nostro Paese, che andrebbe contrastata con gli strumenti offerti dall’Ordinamento.
In conclusione. Se la legittimità del divieto imposto ai militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale fosse nuovamente presa in esame dalla Corte Costituzionale, i Giudici delle leggi non potrebbero ignorare il disposto dell’art. 12 della Carta di Nizza; ciò nel caso in cui non sia direttamente il Consiglio di Stato a procedere alla disapplicazione della norma in contrasto con il diritto europeo.

Cleto IAFRATE

mercoledì 5 ottobre 2011

Il mago truffatore finisce in manette


Al cuor non si comanda, si sa. Quando poi ci fa soffrire, ancor di più. Così, pur di alleviare il dolore, si cerca qualsiasi via di uscita. Un monregalese, di 49 anni, in crisi con la moglie, si è rivolto a un mago nella speranza di superare le difficoltà coniugali. A lui era giunto leggendo diversi annunci su un noto periodico di astrologia.

Si è sottoposto a strani rituali d'amore, soldi e fazzoletti intrisi del suo sangue per allontanare le forze maligne, ha sborsato un bel po' di soldi, 80 mila euro, ma nessun risultato. Così dopo mesi di incontri e pagamenti tramite vaglia postali, l'ha denunciato alla Guardia di Finanza.

In manette è finito Filippo Scardi, 42 anni. I finanzieri lo hanno prelevato dalla sua casa di Cattolica. Lavorava con il nome “Professor Camillo Varzi”. Ma era solo la sua ultima identità. Stando agli accertamenti delle Fiamme Gialle aveva già dei precedenti. Utilizzando altri nomi, come Maestro Filippo, Otello o Edoardo Belli, aveva già raggirato altre persone, in varie regioni italiane. Nel complesso si era portato a casa 700 mila euro

http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/423337/

Indagine conoscitiva sulla riforma fiscale: audizione del professor Tommaso Di Tanno