giovedì 19 febbraio 2009

PER LA CONDANNA PENALE NON BASTANO LE VERIFICHE SUI C/C

L’art. 32, comma 1, n. 2), D.P.R. n. 600/1973 contiene una presunzione legale di corrispondenza delle partite attive, risultanti da rapporti del contribuente sottoposto a verifica con gli istituti di credito, con i ricavi dell’attività di impresa o professionale, in assenza della dimostrazione che le stesse «non hanno rilevanza» ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta.
La presunzione, peraltro, non opera in sede penale: il giudice di merito deve motivare in ordine alle ragioni per le quali i dati della verifica effettuata in sede fiscale sono stati ritenuti attendibili.
Infatti, «ai fini dell’individuazione del superamento o meno della soglia di punibilità di cui all’art. 5, D.Lgs n. 74 del 2000, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi o anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario» (sez. III 26.2.2008, n. 21213, De Cicco). Inoltre, ai fini dell’accertamento in sede penale, deve darsi prevalenza al dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario.
In sede penale, quindi, il giudice non può applicare le presunzioni legali, sia pure di carattere relativo, o i criteri di valutazione validi in sede tributaria, limitandosi a porre l’onere probatorio in ordine alla esistenza di costi deducibili a carico dell’imputato. Deve, invece, procedere di ufficio agli accertamenti del caso, eventualmente mediante il ricorso a presunzioni di fatto.
(Cassazione penale Sentenza, Sez. III, 06/02/2009, n. 5490)

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