Ancora una volta la “specificità” solennemente approvata con l’art. 19 della legge 183/2010 si sta rivelando per quello che già all’epoca dell’approvazione si poteva facilmente intuire: una norma “capestro” voluta e pensata dagli Stati Maggiori e da una certa politica ultraconservatrice per isolare i militari dal resto del pubblico impiego, riportarli agli anni ’70 ed annacquare tutte quei diritti conquistati a seguito della legge 382/1978 e della legge 121/1981. La specificità, infatti, è stata sinora applicata in modo difforme e contraddittorio: effettivamente e concretamente dal punto di vista delle limitazioni ed in maniera effimera e beffarda dal punto di vista delle compensazioni economico/previdenziali.
Dopo le pesanti penalizzazioni già operate dal precedente governo politico (congelamento stipendiale, blocco contrattuale, scippo dei fondi accantonati per il riordino delle carriere, TFS, mancato avvio della previdenza complementare, norme antiassenteismo, ecc.), il nuovo governo tecnico si accinge ad azzerare le compensazioni previdenziali ed a varare il c.d. Nuovo Modello Difesa (che prevede oltre 30mila esuberi nella sola componente militare), mentre già si parla di estensione al comparto dell’art.18 e di riforma/razionalizzazione del comparto sicurezza.
Parallelamente, dal punto di vista dei diritti, i militari hanno subito una compressione dei già limitatissimi diritti: l’esclusione delle revisioni introdotte alla legge 104, le novità furbescamente inserite nel nuovo Codice dell’ordinamento mikitare, l’assoggettamento alle procedure di mobilità, le interpretazioni restrittive sui diritti politici, la mancata riforma della rappresentanza militare e così via.
In questo contesto, le rappresentanze militari (o meglio la gran parte di esse con Esercito e Carabinieri in testa) sono oggi di nuovo lì, appiattite sulle posizioni degli Stati maggiori e dei sindacati di polizia a rivendicare la “specificità” economica (o meglio la miseria quello che né rimane), senza nulla profferire in tema di diritti e riforma della rappresentanza, come se questi aspetti fossero secondari, poco rilevanti o non riconducibili al concetto di “specificità”.
Sulle posizioni degli Stati maggiori, dei sindacati di polizia e, soprattutto, dalla rappresentanza militare è però necessario fare alcune considerazioni, necessarie per comprendere quanto l’attuale modello sia inadeguato, inefficiente, poco indipendente ed inadatto a tutelare gli interessi dei finanzieri.
Prima considerazione: gli Stati maggiori spingono per la remunerazione economico-previdenziale della specificità, in quanto attraverso la specificità detengono un potere gestionale pressoché assoluto e sono consapevoli che le forti limitazioni dei diritti imposte dalla specificità possono essere sopportate dal personale solo e soltanto in presenza di compensazioni economico-previdenziali adeguate e concrete. Una situazione estremamente delicata per quanto attiene i vertici delle polizie militari, la cui specificità rappresenta un’anomalia e non è oggettivamente giustificata dalla funzione espletata (prevalentemente di sicurezza e solo marginalmente di difesa), tanto che i poliziotti civili godono di ben altri diritti a fronte delle medesime compensazioni.
Seconda considerazione: i sindacati di polizia, spaccati e divisi in fazioni e per questo oscurati dai Cocer, spingono per la remunerazione della specificità, in netta controtendenza rispetto ai decenni passati quando spingevano per ottenere gli stessi diritti dei pubblici impiegati, in quanto, a diritti sindacali acquisiti, la specificità rappresenta solo e soltanto un’opportunità per spuntare migliorie economico-previdenziali o anche solo per evitare ulteriori tagli.
Terza considerazione: le rappresentanze militari spingono per la remunerazione della specificità perché attraverso di essa sperano di evitare i tagli economici e previdenziali; una strategia apprezzabile, ma fino ad un certo punto, soprattutto per quanto riguarda Carabinieri e Guardia di Finanza. Appare, infatti, legittimo e condivisibile che i delegati si battano per il mantenimento di stipendi e pensioni ma, vista la situazione delle casse dello Stato e l’atteggiamento di netta contrarietà alla remunerazione della specificità tenuto da questo governo tecnico e dal precedente governo politico (a parte i vuoti proclami di alcuni singoli esponenti), non sarebbe stato invece il caso di ribaltare la rivendicazione e chiedere l’equiparazione ai poliziotti civili in termini di diritti, invece che avanzare richieste di vantaggi economico-previdenziali che, come era facilmente preventivabile, erano destinate a rimanere insoddisfatte? O ancora non sarebbe stato il caso di avallare la specificità solo e soltanto a fronte di norme di salvaguardia economico-previdenziali concrete ed immediatamente cogenti e vincolanti?
Per la verità il Cocer Aeronautica ed il Cocer Guardia di finanza hanno più volte espresso questa posizione, ma in quella battaglia, a differenza di quella per la remunerazione economica della specificità, sono stati (guarda caso!) osteggiati da tutti gli Stati maggiori, inascoltati dai sindacati di polizia e, peggio, isolati dal resto della rappresentanza militare.
Tutti gli altri delegati Cocer (con qualche singola eccezione), hanno, infatti, assunto una posizione pro-specificità senza se e senza ma, accecati dalle vuote promesse del precedente Governo (o meglio da una parte di esso ben rappresentata dall’ex ministro La Russa), blanditi da proroghe e promesse di rieleggibilità e soverchiati dalla preponderante personalità del Presidente del Cocer Interforze, generale di corpo d’armata Domenico Rossi, Sottocapo di Stato maggiore dell’Esercito. Tutti accaniti sostenitori di quel concetto di specificità isolazionista ed autoritario che lo stesso generale Rossi descriveva e proponeva già nel 2005 in qualità di capo del Reparto affari giuridici ed economici del personale dello Stato maggiore dell’Esercito (vedi documento ) e che, a mio parere, è (forse) idoneo per le Forze Armate, ma assolutamente inadatto e forse anche pericoloso per una forza di polizia e, soprattutto, per una forza di polizia economico-finanziaria.
Questo concetto di specificità, concepito dagli Stati maggiori delle Forze Armate e pensato per la sola funzione di difesa, che presuppone il soldato/poliziotto come una sorta di “missionario” obbediente e fedele, è divenuto il cavallo di battaglia della rappresentanza militare, speso in nome di tutti i militari ed anche dei poliziotti militari, secondo una strategia miope e poco avveduta che non ha tenuto conto della crisi economica e del fatto che già prima delle riforme degli anni ’80 quel concetto di specificità era già attuato a tutto danno del personale.
Questa strategia, figlia dei difetti strutturali dell’attuale modello di rappresentanza militare, della sua eterogeneità, della sua debolezza congenita, della sua inadeguatezza e, soprattutto, della sua permeabilità alle influenze di politica e Stati maggiori, ha finito per regalare a tutti i militari ed in particolare a Finanzieri e Carabinieri questa specificità farlocca, beffarda ed addirittura dannosa per l’efficienza stessa delle polizie militari.
In due parole, dietro il fallimento della specificità, c’è il fallimento della rappresentanza militare e la necessità impellente e non più rimandabile di riformare questo strumento.
GIANLUCA TACCALOZZI
Presidente Direttivo Nazionale Ficiesse
SIMONE SANSONI
Segretario nazionale Ficiesse

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