lunedì 31 gennaio 2011

I sindacati delle divise blu strigliano il governo - "Lavoreremo "gratis" rischiando la vita"

lpd: Crisi anche per la polizia:gli aiuti non arrivano ...

Lavori usuranti

lpd: Lavori usuranti

domenica 30 gennaio 2011

Lavori usuranti, in pensione tre anni prima

lpd: Lavori usuranti, in pensione tre anni prima: "Il Cdm approva lo schema di decreto per regolare l'accesso anticipato per chi svolge mansioni faticose. Inclusi gli operai della catena di m..."

lunedì 24 gennaio 2011

mercoledì 19 gennaio 2011

Previdenza complementare per i dipendenti pubblici

L’INPDAP e la trasformazione da TFS a TFR

Non è possibile optare per il passaggio dal Trattamento di Fine Servizio al Trattamento di Fine Rapporto a seguito di adesione dei dipendenti pubblici a forme individuali di previdenza complementare. Lo ha chhiarito l'INPDAP nella nota opeativa n. 1 del 2011.

Date le numerose istanze che stanno pervenendo all’Istituto da parte di dipendenti pubblici aderenti a forme pensionistiche complementari individuali, l’INPDAP, con nota n. 1 del 14 gennaio 2011, chiarisce che, in base alla normativa vigente, tale opzione non può essere esercitata e il TFR non può essere devoluto ad una forma pensionistica individuale.

Infatti, l’adesione ad una forma pensionistica individuale è possibile versando solo il contributo a carico del lavoratore e non anche il TFR che può essere destinato solo alle forme pensionistiche complementari istituite dalla contrattazione collettiva.

Quindi, l’opzione della trasformazione del TFS in TFR è possibile solo contestualmente all’adesione ad un fondo pensione negoziale e non ad una forma pensionistica individuale.

Ad ogni buon conto, l’INPDAP specifica che la disciplina relativa all’opzione di cui al DPCM 20.12.1999 trova applicazione solo per il personale “contrattualizzato” e non al personale in regime di diritto pubblico.

(Nota INPDAP 14/01/2011, n. 1)

giovedì 13 gennaio 2011

mercoledì 12 gennaio 2011

IL MINISTRO RISPONDE SUGLI ALLOGGI DI VIA GAIDANO



MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:

in Torino, via Paolo Gaidano n. 103/3, risulta essere terminata - dall'agosto del 2003 - la costruzione di due palazzine per complessivi 58 alloggi finalizzati ad ospitare appartenenti alle Forze dell'ordine provenienti da altre regioni per la lotta alla criminalità organizzata, come da previsione dell'articolo 18 del decreto-legge n. 152 del 1991;
la convenzione stipulata a suo tempo che ha dato via ai lavori è relativa ad un accordo tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il comune di Torino e la cooperativa Acacia, vincitrice del bando, con uno stanziamento del predetto Ministero di circa 3 milioni di euro;
nonostante il tempo trascorso dal termine dei lavori (agosto 2003), i suddetti alloggi non risultano ancora formalmente consegnati alla prefettura di Torino per l'assegnazione;
l'ente comunale per l'edilizia popolare e agevolata (ATC), in attesa di prenderli in consegna, ha rilevato che mancano ancora le caldaie e il certificato di idoneità da parte dei vigili del fuoco;
nonostante il lungo lasso di tempo trascorso ed il costante interessamento da parte dei mass-media, nulla è allo stato cambiato;
pervengono pressanti richieste da parte di numerosi appartenenti alle Forze di polizia, che denunciano gravi difficoltà nel sostenere le proprie famiglie a causa degli alti importi da destinare agli affitti presenti sul libero mercato, ovvero per la cronica carenza di immobili che impedisce anche il ricongiungimento dei propri nuclei familiari;
tale inerzia, ad avviso degli interroganti, cagiona un danno notevole ai potenziali beneficiari e rischia di creare nocumento anche all'erario per gli investimenti pubblici sostenuti, per i mancati introiti e per il degrado e l'abbandono in cui versano gli immobili;
il permanere di siffatta situazione ha suscitato l'attenzione del comune di Torino, nelle persone del sindaco Sergio Chiamparino e dell'assessore alla casa Roberto Tricarico i quali hanno manifestato - già nel novembre del 2007 - interesse all'acquisizione dell'immobile allo scopo di destinarli ad edilizia popolare;
tale vicenda è già stata oggetto di pressanti richieste da parte del CoBaR della Guardia di finanza del Piemonte che, con più delibere, nel tempo ha chiesto alle autorità competenti un intervento risolutore, nonché l'interessamento della Corte dei conti allo scopo di accertare eventuali danni erariali connessi all'impiego del denaro pubblico;
presso la procura regionale per il Piemonte della Corte dei conti risulterebbe essere iniziata fin dal 26 marzo 2003 un'istruttoria inerente alla costruzione degli alloggi oggetto della presente interrogazione;
sarebbe opportuno chiarire le motivazioni di quello che agli interrogazioni appare, uno spreco di denaro pubblico -:
nel marzo 2009, su sollecitazione sempre della Rappresentanza militare della Guardia di finanza, in un'intervista della trasmissione televisiva «Le Iene» il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Arturo Matteoli aveva promesso un intervento risolutore per giungere finalmente alla consegna degli alloggi agli aventi diritto;
se i Ministri interrogati intendano assumere ogni iniziativa utile al fine di pervenire all'assegnazione degli alloggi in questione agli appartenenti alle Forze dell'ordine in servizio nella città di Torino.
(4-06135)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri del 15 marzo 2010, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per portare a conclusione l'intervento di edilizia sovvenzionata per n. 58 alloggi finanziati ai sensi dell'articolo 18 della legge n. 203 del 1991, stante l'inadempienza del soggetto attuatore, ha affidato al provveditorato opere pubbliche del Piemonte e della Valle d'Aosta la funzione di stazione appaltante degli interventi di completamento necessari.
In particolare, con nota ministeriale in data 4 settembre 2009 protocollo 10031, il citato provveditorato interregionale è stato autorizzato ad adottare gli adempimenti per l'esecuzione dei lavori di completamento.
Tali lavori saranno finanziati con le risorse non ancora erogate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al soggetto attuatore Acacia.
Ciò posto, a seguito di procedura di gara negoziata, è stato approvato il contratto di appalto stipulato in data 7 aprile 2010 con l'impresa aggiudicataria Arte e tecnologie (Ar.Te. spa) per l'importo di euro 245.180,44 per lavori al netto del ribasso del 20 per cento comprensivo di oneri per la sicurezza, non soggetti a ribasso.
I citati 58 alloggi di edilizia residenziale sovvenzionata sono localizzati in due edifici rispettivamente di 34 e 24 alloggi e relative opere di urbanizzazione e sono da concedere in locazione ai sensi dell'articolo 18 della legge 203 del 1991.
Si evidenzia che l'articolo 18, comma 2, della convenzione 20 novembre 1997, sottoscritta tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il comune di Torino ed il soggetto attuatore prevede, ai sensi della legge 12 luglio 1991, n. 203, che gli alloggi di edilizia sovvenzionata siano conferiti in proprietà agli ex Iacp (Istituto autonomo case popolari) comunque denominati per essere assegnati in locazione o godimento ai dipendenti statali in possesso di determinati requisiti.
Va evidenziato, inoltre, che a seguito dell'ultimazione parziale dell'intervento di edilizia sovvenzionata è sorto un contenzioso tra la cooperativa Acacia e alcune imprese e soggetti coinvolti a vario titolo che vantano crediti nei confronti della cooperativa Acacia per fatture non pagate.
In particolare, il credito vantato dall'impresa Ar.Te. spa ammonta complessivamente a euro 1.006.950,82 in relazione al quale la stessa Ar.Te. spa ha promosso una azione giudiziaria comportante il sequestro conservativo cautelare relativo al fabbricato di n. 58 alloggi Erps di via Gaidano 121 (provvedimento del tribunale di Torino 2 maggio 2009).
Risulta poi a carico di Acacia un ulteriore debito complessivo di circa euro 2.799.236,36 nei confronti di vari creditori (professionisti, utenze, banca S. Paolo, eccetera).
Si segnala, inoltre, che la prefettura di Torino, sentita più volte in merito dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha attivato le procedure per l'assegnazione dei n. 58 alloggi di edilizia sovvenzionata.
È opportuno evidenziare, in tale contesto, che l'Atc di Torino ha manifestato la volontà di sottoscrivere una scrittura privata tra Ar.Te. (architetture e tecnologie spa); Acacia scrl ed Atc (agenzia territoriale della casa della provincia di Tonno) al fine di mediare le rispettive pretese e per cancellare, a cura e spese di Ar.Te, la trascrizione del provvedimento di sequestro conservativo apposto sugli alloggi di edilizia sovvenzionata.
Successivamente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si impegnerà, a conclusione delle verifiche da effettuare da parte dell'Atc di Torino anche presso la società Equitalia sulla posizione debitoria del soggetto attuatore e con il consenso del soggetto attuatore medesimo a sottoscrivere un apposito protocollo d'intesa per la conclusione del programma integrato in oggetto corrispondendo all'Atc della provincia di Torino - a fronte degli impegni assunti - l'importo residuo del programma di edilizia sovvenzionata ed agevolata pari ad euro 259.714,08.
Con la sottoscrizione del richiamato protocollo (che dovrà essere approvato dal consiglio di amministrazione dell'Atc che sta per essere rinnovato) l'Atc di Torino si farà inoltre carico:

a) di sostenere l'onere finanziario derivante dalla definizione del contenzioso tra Ar.Te. la cooperativa Acacia tramite il versamento da parte dell'Atc alla società Ar.Te. della somma di 858.000,00 di euro con le modalità stabilite nella scrittura privata tra l'Atc, la soc. Ar.Te. e Acacia scrl;
b) di assumere l'onere finanziario degli ulteriori debiti del soggetto attuatore Acacia scrl, inerenti agli oneri tributari sopraindicati pari a euro 322.000,00 ed il debito contratto con banca Intesa San Paolo pari a euro 470.000,00, per un importo complessivo di euro 792.000,00;
c) di destinare gli alloggi acquisiti ad edilizia sovvenzionata in locazione permanente, da assegnare prioritariamente a dipendenti dello Stato appartenenti alle forze dell'ordine. Con la sottoscrizione del protocollo d'intesa il presidente della cooperativa Acacia scrl, si impegna:
a) a sottoscrivere, ai sensi dell'articolo 18, comma 2, della convenzione 20 novembre 1997, l'atto di cessione all'Atc dei 58 alloggi di edilizia residenziale sovvenzionata realizzati in via Gaidano 109 con annessi locali accessori, posti auto e pertinenze, sostenendo le spese necessarie, entro 60 giorni dalla sottoscrizione del presente atto. In assenza di tale adempimento il protocollo d'intesa sarà privo di efficacia;
b) a coprire con risorse proprie le somme residue ancora dovute ai creditori per l'intervento di cui all'oggetto, al netto di quelle indicate nei punti precedenti, a carico dell'Atc;
c) a fornire ogni documento utile richiesto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dall'Atc per verificare e giustificare l'utilizzo delle risorse pubbliche.

Con la sottoscrizione del presente atto e ad avvenuto trasferimento degli alloggi di edilizia sovvenzionata in proprietà all'Atc della provincia di Torino il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rinuncia a richiedere l'escussione delle polizze fidejussorie presentate dal soggetto attuatore e a svincolarle all'avverarsi del trasferimento degli alloggi di edilizia sovvenzionata e all'avvenuta registrazione del protocollo d'intesa in argomento da parte degli organi di controllo.
Per quanto sopra riportato, pertanto, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti assicura il proprio impegno affinché si possa pervenire in tempi rapidi all'assegnazione degli alloggi in questione agli appartenenti alle Forze dell'ordine.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Altero Matteoli.


martedì 11 gennaio 2011

POLIZIA: ARRETRATI CONTRATTO IN PAGAMENTO A GENNAIO

GIOVEDI' 13 GENNAIO ALLE ORE 19 RIUNIONE DEI SOCI DELLA SEZIONE FICIESSE DI TORINO


Gent.mi Soci

giovedì 13 gennaio 2011 alle ore 19.00 ci incontreremo per una riunione aperta a tutti che si terrà presso presso l'A.S.D.C. POZZO STRADA, via G. Fattori nr. 23/A - 10141 di Torino per discutere il seguente O.D.G.:

  1. DISCUSSIONE SULLE DECISIONI DEL DIRETTIVO FICIESSE: NUOVA ONLUS DI SOLIDARIETA', COMITATO "CITTADINI PER I DIRITTI COSTITUZIONALI DEI MILITARI", AVVIO DELLE COLLABORAZIONI CON IL PATRONATO INCA E CON CITTADINANZATTIVA A LIVELLO CENTRALE E DI SEZIONI TERRITORIALI

  1. CONFERMA E/O RINNOVO DELLE CARICHE DELLA SEZIONE TERRITORIALE

  1. RINNOVO QUOTE ASSOCIATIVE ED ISCRIZIONI FCS ANNO 2011

  1. RICERCA LOCALI PER LA SEDE DELLA SEZIONE.

Inoltre, presso il Circolo verrà organizzata, dopo la riunione, anche una cena.

Chi è interessato a partecipare è pregato di inviare una mail di conferma al sottoscritto.

Colgo l'occasione per formulare a tutti voi i migliori auguri di buone feste.

Luciano NAPOLITANO

Presidente del Direttivo Sez. Torino - FICIESSE

luciano.napo@tiscali.it

domenica 9 gennaio 2011

Lettera aperta a tutti i delegati della Rappresentanza Militare: "Fermatevi, siete ancora in tempo"



CariAAmici eccolleghi ,


Fermatevi, siete ancora in tempo, rinunciate al tentativo di appoggiare, occhieggiare, far finta di niente, di far prorogare il mandato della Rappresentanza Militare! La maggior parte di voi è già al Secondo Mandato, capisco che non potrete essere rieletti e quindi sarete costretti a tornare al precedente lavoro, che molto probabilmente, rispetto a come lo avete lasciato, potrebbe essere peggiorato, però è tempo di essere chiari, onesti e decisi. Solo un secco colpo di reni può riabilitarvi agli occhi dei più.


Da quando siete stati candidati ed eletti per la prima volta al COCER/COIR nel lontano 2001, rieletti successivamente nel 2006, a malincuore devo dirvi che le condizioni di lavoro ed i diritti si percepiscono peggiorati.

Forse non ci avete fatto caso, presi dai macroscopici problemi planetari, però qualcosa è successo e per tanti colleghi questa è la sensazione, una regressione dei diritti e delle posizioni conquistate.

Eppure, per prendere atto dello stato di cose bastava poco. Magari guardarsi attorno, chiederlo ai vostri colleghi, seguire i forum su internet, le interrogazioni parlamentari, le piccole e grandi manifestazioni di insofferenza, ma non l’avete fatto.

Eravate distratti, avevate ben più grandi impegni da assolvere, di più non si poteva fare? Non capisco cosa è mancato, cosa sta succedendo e quali sono le prospettive! Potrei fare un lungo elenco dei passi indietro visibili sotto gli occhi di tutti, per il momento evito, magari più avanti sarò più preciso.

Capisco, lasciare dopo tanti anni l’attività del COCER è dura per tanti motivi, si perde un ruolo ed una visibilità importante, fatta di incontri, vicinanze politiche ed istituzionali di alto livello. Si perdono piccoli privilegi giornalieri come non lavorare in divisa, fare i conti con i Servizi, con i CFI e Straordinari, comprendo che è duro rinunciare ma, vi assicuro vale la pena. E’ una cosa buona per Voi e soprattutto per noi. Ricominciare a vivere la vita di Reparto, sentire quotidianamente il peso delle ristrettezze, dei rinvigoriti atteggiamenti autoritari, sarà di stimolo per una vostra prossima candidatura, dopo il fermo di un solo Mandato. Non aggiungete tristezza a quanta già ce ne.

Non nascondetevi dietro ipotetiche Riforme della Rappresentanza, di cui non esiste un Testo condiviso tra le Sezioni CoCeR, oppure su un RIORDINO DELLE CARRIERE” senza un Euro a disposizione per il riassetto. Il paradosso è presto fatto, avete usufruito di una Proroga per fare il “RIORDINO” e durante questo periodo, la Manovra Finanziaria (L.122/2010) ha scippato le Risorse per il “Riordino”?!

Cari Amici e Colleghi, non voglio sparare sul mucchio, so benissimo che tra le Sezioni ed i singoli Delegati tanti lavorano con fatica ed onestà intellettuale, però, pensate che se è vero che il lavoro che andrete a riprendere, oggi o fra un anno, è peggiorato rispetto a come l’avete lasciato, la colpa può essere anche Vostra.

Mettetevi la mano sulla coscienza se qualche volta avete esultato per azioni del Governo che andavano invece stigmatizzate, segnalate, denunciate. In questi anni i diritti anziché allargarsi si sono assottigliati è stata approvata una legge sulla “specificità “ che ci sta allontanando, giorno dopo giorno, dai diritti che il “movimento dei sottufficiali Democratici “, di cui ho fatto parte nel lontano 1975, ha perseguito. Quel “movimento” pagò un tributo pesante con dei provvedimenti disciplinari, processi, ed in certi casi anche la perdita del posto di lavoro.

Per i più distratti vorrei citare solamente un nome il Sergente Sotgiu, ma credetemi sono tanti altri che meriterebbero di essere ricordati. Molti di voi sono dei giovani che non possono avere vissuto quei momenti, altri che oggi beneficiano dei risultati di quelle battaglie hanno guardato con distacco, altri ancora hanno fatto i “riportini“ per guadagnarsi la gratitudine di qualche superiore è costruito sopra la carriera. Ma credetemi, non ne vale la pena, non è giusto rinunciare e screditare il lavoro fatto oltre 35 anni fa. Quei colleghi non chiedevano medaglie ma semplicemente il riconoscimento dei diritti che la classe politica riconobbe perché in primis erano uomini credibili, spinti da forti ideali.

Per questo fermatevi, non ammiccate, dite NO ALLA PROROGA. In questo momento di crisi di lavoro e di ideali, lasciate che almeno i valori democratici, in cui tanti uomini hanno lottato, prevalgano.

Cagliari 4.1.2011 -

Paolo Erasmo

CoIR AM

www.dirittierovesci.it

giovedì 6 gennaio 2011

PROROGA DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE: NON CANTATE VITTORIA

Premesso che sono personalmente contrario a una ulteriore proroga del mandato della Rappresentanza militare e spero che si possa presto arrivare ad una riforma utile e condivisa della stessa, sono rimasto sorpreso e perplesso a leggere alcuni dichiarazioni francamente un po’ sopra le righe secondo le quali il Presidente della Repubblica avrebbe ascoltato l’appello di qualcuno e cassato, dal cosiddetto decreto mille proroghe 2011, la norma che proroga la durata della rappresentanza oltre il 30 luglio 2011.

Mai giubilo fu più inopportuno, perché la stesura definitiva del decreto in realtà spalanca le porte a indefinite proroghe adottate non più per legge o per decreto legge (norme dunque sottoposte al voto del Parlamento) ma disposte con un semplice decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Infatti l’articolo del decreto legge di fine anno prevede la proroga automatica di tutti i provvedimenti elencati alla tabella 1 del decreto stesso (e si tratta di un elenco lungo parecchie pagine) al 15 marzo 2011 per quelli con scadenza precedente tale date e lascia al Presidente del Consiglio di decidere come e per quanto tempo prorogare gli altri provvedimenti, tra cui anche quello (articolo 2257 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66) riguardante la rappresentanza militare.

Dunque, da adesso inutile scrivere al Quirinale. Sarà a Palazzo Chigi che si deciderà tutto senza chiedere il permesso a nessuno. Voi la chiamereste ancora “una vittoria”?

Roma, 3 gennaio 2011


Pasquale FICO
Primo Maresciallo -
Delegato CO.CE.R. Esercito

mercoledì 5 gennaio 2011

IL RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


FINALMENTE UNA BUONA NOTIZIA.


Un ponte per accedere alla Giustizia Europea senza pagare alcun pedaggio, né in Italia, né in Europa.




SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. Breve storia del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica - 3. L’importanza che riveste la natura giuridica del ricorso - 4. La “mutazione genetica” della natura giuridica del ricorso straordinario disposta dall’art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69. - 5. Le implicazioni conseguenti alla riforma. Un caso pratico.

1. Introduzione

Come noto, il ricorso giurisdizionale amministrativo ha l’obiettivo di ottenere l’annullamento di un atto illegittimo, o presunto tale, emanato da un Pubblico Potere.

Secondo la dottrina tradizionale, l’interesse del privato ad ottenere l’annullamento dell’atto illegittimo coincide con quello della Pubblica Amministrazione alla rimozione di un atto viziato. Anzi, tale dottrina sostiene che il privato, proprio in ragione dell’interesse pubblico, ha il potere di agire per l’annullamento dell’atto viziato. In altri termini, il cittadino che ricorre al giudice amministrativo per conseguire un interesse personale contribuisce, al contempo, sia al controllo dell’attività della P.A., sia alla verifica che l’azione di quest’ultima sia volta al raggiungimento dei fini sanciti dall’art. 97 della Cost. (buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione).

Stando così le cose, se si ponessero ostacoli al diritto dei cittadini di impugnare gli atti illegittimi, si avrebbero diverse e perverse conseguenze.

In primo luogo, sarebbe errato il messaggio dato ai cittadini quali destinatari di tali atti. Inoltre, le Amministrazioni godrebbero di protezioni illegittime e sarebbero libere di agire in modo incontrollato; il tutto in riduzione degli spazi di tutela dei diritti dei singoli.

Di conseguenza lo Stato sarebbe privato di un contributo prezioso, poiché è frequente che taluni comportamenti illeciti della P.A. emergano nel corso di giudizi di impugnativa, in assenza dei quali, rimarrebbero impuniti e somma ingiustizia sarebbe fatta.

Premesso ciò, va ricordato che quando un ricorso viene iscritto a ruolo è necessario versare il contributo unificato: un importo che negli ultimi anni ha subito dei consistenti e costanti aumenti. Il versamento è integralmente a carico di chi propone l’azione, ed, ovviamente, si somma al costo della parcella che l’attore pagherà al legale per essere assistito.

Oggi impugnare un atto amministrativo nei due gradi di giudizio costa all’incirca 8.000,00 euro: 4.000,00 euro per il ricorso al TAR e ulteriori 4.000,00 euro per l’eventuale appello al Consiglio di Stato. L’appello è sempre necessario, in quanto le Pubbliche Amministrazioni impugnano quasi tutte le sentenze di primo grado in cui risultano soccombenti. L’appello, oltre a far lievitare i costi della giustizia, fa dilatare i tempi della stessa, tanto che, a volte, la parte più forte (Amministrazione) vince per morte della controparte oppure per “abbandono di campo” del ricorrente (che, anche se non molto sportiva, è pur sempre una vittoria!).

In una vecchia commedia di Marcel Achard viene recitata una battuta memorabile: "La giustizia costa cara", dice uno. "E’ per questo che si economizza!" risponde l’altro.

In termini metaforici, se si vuole sopprimere un pesce, esistono due modi per farlo: togliergli l’acqua oppure, semplicemente, inquinargliela. In questo secondo modo, pur rispettando formalmente il diritto del pesce a vivere in acqua, nella sostanza lo si uccide, togliendo l’ossigeno presente nell’acqua in cui vive.

Parimenti, ricorrere al giudice amministrativo è diventato un lusso riservato a pochi privilegiati. Formalmente “LA GIUSTIZIA E’ UGUALE PER TUTTI” ma, nella sostanza, essa “E’ UGUALE SOLO PER TUTTI QUELLI CHE SE LA POSSONO PERMETTERE”.

La Giustizia Europea, al contrario di quella italiana, non è così costosa ed inaccessibile. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) può essere adita da qualsiasi cittadino con il semplice invio di una lettera raccomandata, senza l’uso di marche da bollo, senza il pagamento di alcun contributo unificato ed anche senza l’assistenza di un legale. Tuttavia, il cittadino europeo può ricorrere alla Corte Europea (CEDU) soltanto dopo aver esperito tutti i rimedi interni, cioè tutti i gradi di giudizio previsti dall’ordinamento giuridico del suo Stato.

Sembrerebbe che, se prima non si paga un “pedaggio” di circa 8.000,00 euro per esperire i rimedi interni (TAR e Consiglio di Stato), non si possa accedere alla meno dispendiosa giustizia della CEDU.

In realtà, così non è. QUESTA E’ LA BUONA NOTIZIA.

Ma procediamo con ordine.

2. Breve storia del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica

Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in passato è stato definito “ricorso dei poveri” in quanto è nato proprio allo scopo di consentire l’accesso alla tutela legale anche ai cittadini con ridotte capacità economiche, in quanto non ha bisogno di essere presentato da un avvocato.

Tale rimedio ha origini antichissime: risale ai tempi delle monarchie assolute, quando il sovrano aveva il potere di decidere in ultima istanza sugli atti che erano ritenuti illegittimi. Nel 1729, durante il Regno di Sardegna, questo tipo di ricorso fu formalmente disciplinato, per la prima volta, nelle Costituzioni Generali di Vittorio Amedeo II. Nel 1749, con l’ascesa al trono di Carlo Emanuele III, venne istituito il Consiglio del Re e si stabilì che il Re poteva ascoltare il parere, non vincolante, di detto Consiglio prima di decidere il ricorso a lui indirizzato. Nel 1831, ad opera di Carlo Alberto, il Consiglio del Re venne riorganizzato ed assunse la denominazione di “Consiglio di Stato”, i cui poteri erano ancora molto limitati. Si dovette attendere la successiva legge del Regno di Sardegna nr. 3707 del 30 ottobre 1859, sul “Riordinamento del Consiglio di Stato”, per ottenere che il parere del Consiglio di Stato fosse obbligatorio in tutti i casi di ricorso straordinario al Re.

Il rimedio straordinario rischiò per la prima volta, nel 1889, di venir espunto dall’ordinamento quando, con la legge n. 5992, venne istituita la IV Sezione del Consiglio di Stato; per questo motivo si pensò di sopprimere l’antico istituto del ricorso al Re, ritenuto da quel momento un inutile duplicato. Fortunatamente, prevalsero le voci contrarie e l’istituto venne mantenuto, con la gioia delle classi più povere. Dal 1889, pertanto, iniziarono a convivere sia il ricorso ordinario rivolto alla IV Sezione dell’istituito Consiglio di Stato che quello straordinario indirizzato al Re.

Il ricorso straordinario corse un secondo rischio di estromissione nel 1907, allorquando si discusse della proposta della sua soppressione. In quella occasione, Giolitti affermò: “QUESTA SOPPRESSIONE, A MIO AVVISO, NON SAREBBE UNA COSA BUONA. IL RICORSO STRAORDINARIO AL RE COSTITUISCE UNA GIUSTIZIA GRATUITA, GIACCHE’ ESSA NON COSTA CHE IL FOGLIO DI CARTA PER RICORRERE AL GOVERNO” (Camera dei deputati, Legisl. XXII, I Sess. Disc., Tornata 1° marzo 1907, vol. 233, 4956).

La stessa Corte Costituzionale, circa un secolo più tardi, ha definito il ricorso “rimedio straordinario contro eventuali illegittimità di atti amministrativi definitivi, che i singoli interessati possono evitare con modica spesa, senza bisogno dell’assistenza tecnico-legale e con il beneficio di tempi di presentazione del ricorso particolarmente ampi” (Corte Cost., 19 dicembre 1986, n. 286; ord. 13 marzo 2001, n. 56).

3. L’importanza che riveste la natura giuridica del ricorso

La legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, nell’introdurre la regola dell’alternatività tra il ricorso straordinario al Re e il ricorso alla IV Sezione del Consiglio di Stato, però, lasciò un vuoto: non chiarì se il rimedio straordinario avesse natura amministrativa ovvero giurisdizionale.

La natura giuridica di un rimedio che l’ordinamento offre per contrastare un atto che si presume illegittimo è molto importante, in quanto incide sulla formazione del giudicato e quindi sull’effettività della tutela.

Mi spiego. Se il ricorso al Capo dello Stato avesse natura amministrativa, la decisione di questi sarebbe impugnabile; pertanto, il ricorrente non potrebbe subito rivolgersi alla meno esosa giustizia europea, prima di aver esaurito tutti i rimedi interni.

Ovviamente, va precisato che il problema della natura giurisdizionale del rimedio si pone solo nei casi in cui si applica la regola dell’alternatività (e non anche quando della lite debba conoscere il Giudice Ordinario).

Il tema della natura giuridica del rimedio straordinario è stato ampiamente dibattuto e sul punto vi sono stati differenti orientamenti.

Il dibattito, iniziato sin dai tempi dell’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, non si è mai sopito. Infatti, sin da allora ci si è chiesto se l’antico istituto del ricorso straordinario fosse ancora in vigore e quale fosse la sua natura giuridica.

Dopo l’entrata in vigore della Costituzione, in un primo momento, il Consiglio di Stato in Adunanza Generale (del 26 agosto 1950, n. 290) ritenne che il ricorso straordinario avesse la natura giuridica di ricorso amministrativo ed espresse il parere che fossero ancora vigenti le limitazioni sui ricorsi stabilite dall’articolo 11 del r.d.l. 5 dicembre 1938, n. 1928 (in Relazione del Consiglio di Stato, 1947-50, III, 45).

Anche in dottrina è stato spesso sostenuto che il rimedio straordinario avesse natura amministrativa. Il Sandulli ha ritenuto che la natura di tale rimedio risulta espressamente dichiarata dall’articolo 34 T.U.C.d.S. e che “l’instaurazione della monarchia costituzionale infatti trasformò in un vero e proprio rimedio giuridico quello che in origine era stato un estremo appello alla grazia sovrana” (A.M.Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, XV ed., Napoli, Jovene, 1989, II,1265). Lo Juso ha sostenuto che “la natura del ricorso straordinario deve essere ritenuta quella di vero e proprio ricorso amministrativo”, anche se aggiunge che “il medesimo costituisce uno strumento intermedio tra gravame amministrativo e quello giurisdizionale”. (R. Juso, Lineamenti di giustizia amministrativa, Milano, Giuffrè, 1996, 68).

La Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha sostenuto, in ben due orientamenti (nel 2001 e 2002), la natura amministrativa del rimedio straordinario di tutela e la conseguente insussistenza della giurisdizione di merito del Giudice Amministrativo per costringere l’Amministrazione ad eseguire la decisione straordinaria.

Persino la Corte Costituzionale, con sent. n. 254/2004, ha sancito che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ha natura amministrativa. Tale conclusione si evince, ad avviso della Corte, dall’art. 14 del d.P.R. n. 1199 del 1971, il quale “stabilisce che, ove il ministro competente intenda proporre (al Presidente della Repubblica) una decisione difforme dal parere del Consiglio di Stato, deve sottoporre l'affare alla deliberazione del Consiglio dei ministri, provvedimento quest’ultimo, per la natura dell'organo da cui promana, all'evidenza non giurisdizionale”.

I succitati orientamenti che hanno ritenuto il rimedio straordinario di natura giuridica amministrativa non sono mai risultati del tutto condivisibili e coerenti con i principi affermati dalla CEDU. Quest’ultima – nel caso Hornsby del 1997 - ha ritenuto che per verificare la sussistenza del potere giurisdizionale non rileva l’appartenenza o meno dell’organo decidente al potere amministrativo o giudiziario, ma il regime giuridico della decisione finale e irrevocabile e l’impossibilità per altre autorità di incidere sui suoi effetti, non potendosi ammettere una giustizia illusoria e resa solo sulla carta.

4. La “mutazione genetica” della natura giuridica del ricorso straordinario disposta dall’art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69

Il dibattito attorno alla natura giuridica del rimedio straordinario si è definitivamente risolto con l’entrata in vigore dell’art. 69 della legge 18 giugno 2009, nr. 69.

La norma ha attuato una definitiva revisione del sistema precedente, sconfessando tutte le opposte interpretazioni e stabilendo definitivamente la natura giurisdizionale del ricorso straordinario, in coerenza con i principi di effettività della tutela richiesti dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

L’art. 69 della succitata legge, per risolvere la questione della natura giuridica del ricorso in questione, ha previsto alcune modifiche alla legge 1199/71, che disciplina tale rimedio straordinario di tutela. Da tali modifiche si rileva il chiaro orientamento del legislatore di considerare giurisdizionale ogni sede nella quale una controversia può essere definita in modo immutabile, così come richiesto dalla giurisprudenza Europea e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (i cui articoli 6 e 13 impongono che i rimedi di giustizia siano effettivi e non rimangano illusori).

Il citato art. 69, la cui rubrica “Rimedi giustiziali contro la Pubblica Amministrazione” è già tutto un programma, stabilisce, infatti, che:

- “All’articolo 13, primo comma, alinea, del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, dopo il secondo periodo è inserito il seguente: «SE RITIENE CHE IL RICORSO NON POSSA ESSERE DECISO INDIPENDENTEMENTE DALLA RISOLUZIONE DI UNA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE CHE NON RISULTI MANIFESTAMENTE INFONDATA, SOSPENDE L’ESPRESSIONE DEL PARERE E, RIFERENDO I TERMINI E I MOTIVI DELLA QUESTIONE, ORDINA ALLA SEGRETERIA L’IMMEDIATA TRASMISSIONE DEGLI ATTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 23 e seguenti della legge11 marzo 1953, n. 87, nonché la notifica del provvedimento ai soggetti ivi indicati»;

- All’articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, nr. 1199, sono apportate le seguenti modificazioni:a) al primo comma:1) al primo periodo sono aggiunte, infine, le seguenti parole: «, conforme al parere del Consiglio di Stato»; 2) il secondo periodo è soppresso; b) il secondo comma è abrogato”.

In conclusione, l’art. 69 ha riconosciuto in modo incontestabile la natura giurisdizionale del rimedio straordinario, ammettendo espressamente tale possibilità “ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87 .

Il legislatore, conformandosi ai dettami europei, ha affermato esplicitamente la non correttezza di tutte le precedenti interpretazioni fornite dal Giudice delle leggi, da una parte della dottrina e da una giurisprudenza non minoritaria.

In estrema sintesi, l’istituto del ricorso straordinario era considerato, ante riforma, un rimedio alternativo a quello giurisdizionale; ora va considerato come un conveniente rimedio giurisdizionale alternativo ad altro rimedio molto più costoso ed avente la stessa natura.

5. Le implicazioni conseguenti alla riforma. Un caso pratico

La riforma ha apportato una rivoluzione, una vera e propria “mutazione genetica” del principio dell’alternatività: riconosce al ricorrente la possibilità di scegliere se avvalersi del giudizio innanzi ai TAR ed, in caso di appello, dinanzi al Consiglio di Stato (al costo complessivo di circa 8.000,00 euro) oppure di optare per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (al modico costo una raccomandata A/R, circa 8,00 euro).

Dopo aver esperito uno di questi rimedi interni, qualora il cittadino europeo ritenga che permanga la violazione di un diritto riconosciuto dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, potrà rivolgersi alla Giurisdizione Internazionale della CEDU.

La CEDU, però, non è una giurisdizione d’appello rispetto ai Tribunali Nazionali e non può annullare o modificare eventuali decisioni emesse dalle autorità nazionali di giustizia. La Corte è competente ad esaminare solamente ricorsi diretti contro uno Stato che ha ratificato la Convenzione e può essere adita entro sei mesi dalla data della decisione interna definitiva. Nel caso in cui ritenga fondate le motivazioni poste a sostegno del ricorso, la CEDU adotterà delle raccomandazioni, ovvero delle sanzioni, nei confronti dello Stato cui appartiene il ricorrente e le sanzioni cesseranno nel momento in cui verrà ripristinata la legalità.

Se chi intende adire la CEDU desidera che la sua identità non sia resa pubblica, lo deve precisare ed esporre le ragioni che giustificano una deroga alla regola normale secondo la quale la procedura è pubblica (la Corte può, in casi eccezionali e debitamente motivati, autorizzare l’anonimato).

Come è facile immaginare, si aprono, per tutti i cittadini, prospettive nuove ed orizzonti straordinari le cui conseguenze non si faranno attendere, soprattutto all’interno di quegli ordinamenti più chiusi nei confronti del progresso giuridico, qual è quello militare.

Il cittadino, compreso quello militare, il più delle volte subisce gli atti ritenuti illegittimi, non perché sia sprovvisto di ragioni ed argomentazioni per opporvisi, ma in quanto ritiene antieconomico farlo, e, piuttosto, decide di sacrificare un proprio diritto, pur di non accollarsi le spese per sostenerne le ragioni.

Ciò è tanto più vero, se solo si considera che la maggior parte dei ricorsi amministrativi promossi dai cittadini militari tendono ad ottenere l’annullamento dei soli atti ritenuti lesivi della propria carriera, ciò in quanto l’annullamento dell’atto impugnato quasi sempre è accompagnato da un assegno c.d. “compensativo”, cioè che compensa le spese di giudizio (ricostruzione della carriera con annesse differenze stipendiali, rivalutazioni monetarie, interessi legali e risarcimento danni).

In futuro le ragioni del diritto, probabilmente, non saranno più sacrificate a causa degli ostacoli di carattere economico, posti dall’ordinamento, quindi troveranno spazio anche iniziative (idealistiche) intraprese al solo fine di ottenere il riconoscimento di interessi legittimi e diritti soggettivi, intesi in senso immateriale ed astrattamente considerati.

Infatti, leggendo i diversi articoli della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed avendo a mente le norme dell’Ordinamento Militare italiano, sono incontenibili i dubbi circa la legittimità di alcune norme del citato ordinamento speciale.

Faccio due esempi.

1. Il risultato emergente dal combinato disposto degli artt. 47 – 48 e 49 della Carta, rubricati rispettivamente “Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”; “Presunzione di innocenza e diritti della difesa” e “Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene”, appare stridente con la procedura per l’irrogazione della consegna degli arresti di rigore (una forma di detenzione domiciliare); la quale, però, viene irrogata in via amministrativa, in più da un organo della diretta linea gerarchica.

Tale procedura è assolutamente incompatibile anche con il nostro ordinamento nazionale, ove solo un organo giudiziario e terzo può irrogare tali sanzioni.

2. L’art. 20 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sancisce che "ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica". Inoltre l’art. 12 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000) stabilisce che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni individuo di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi”, fatte salve le sole limitazioni esplicitamente previste dagli artt. 52 – 53 – 54 della stessa. Questi articoli non sembrano in armonia con la circostanza secondo cui la costituzione di associazioni professionali fra cittadini militari europei residenti in Italia sia subordinata al preventivo assenso del Ministro della Difesa.

Con quale altro criterio, se non quello di opportunità politica, si può negare a talune organizzazioni l’autorizzazione, e concederla ad altre?

Le organizzazioni che ottengono l’autorizzazione possono offrire le garanzie di apoliticità richieste dalla Costituzione?

Cleto IAFRATE

Associazione civica FICIESSE

sabato 1 gennaio 2011

DECRETO MILLEPROROGHE: NESSUN BENEFICIO PER IL COMPARTO SICUREZZA , MENTRE IL GOVERNO INFILA LA POSSIBILITA’ DI PROROGA-BIS DELLA RAPPRESENTANZA


Nella Gazzetta ufficiale del 29 Dicembre 2010, è stato pubblicato il D.L. n. 225, cosiddetto "Milleproroghe 2011", profondamente diverso dai testi in bozza del Decreto che circolavano sino a poche ore prima.

La novità più significativa è la delegificazione dei contenuti della maxi norma di proroga di fine anno tramite il ricorso allo strumento del decreto del presidente del Consiglio dei ministri.

Il decreto, infatti, rispetto a quelli emanati nel passato, ha un’impostazione completamente diversa poiché differenzia le proroghe non onerose da quelle onerose. Per le prime il comma 1 dell'articolo 1 fissa uno slittamento generale al 31 marzo 2011 di tutti i termini in scadenza prima del 15 marzo 2011 (praticamente quasi tutti) e indicati nella tabella 1 allegata alla norma, mentre il comma 2 dispone che saranno uno o più decreti del presidente del Consiglio di concerto col ministro dell’Economia a decidere un'ulteriore proroga dal 31 marzo al 31 dicembre 2011: come è già stato rilevato, si tratterebbe di un Milleproroghe che rimanda a (uno o più) ulteriori Milleproroghe.

Da una prima lettura non emerge alcuna norma finalizzata a limitare i danni previsti dalla Finanziaria anche per il personale del comparto sicurezza e difesa, nonostante i sindacati di polizia avessero chiesto a gran voce al Governo, anche con aspre manifestazioni di piazza, un provvedimento urgente che concretizzasse gli impegni assunti nei mesi scorsi.

Nel contempo però il “milleproroghe” si conferma un ottimo strumento legislativo per infiltrare nelle pieghe molti altri provvedimenti settoriali e di favore che nulla hanno di urgente o necessario; tra questi è confermato che il ministro della Difesa ha infilato la possibilità di un’ennesima proroga delle rappresentanze militare, tanto cara ad alcuni COCER (in particolare quello dei Carabinieri), che sposterebbe al 31 dicembre 2011 il termine dell'attuale mandato.

Ricordiamo che gli odierni organismi sono stati eletti nel 2006 e dovevano già cessare quest'anno, permettendo quindi nuove elezioni dei rappresentanti del personale militare; però nel novembre del 2009 un decreto legge sulle missioni internazionali aveva inopinatamente (e impropriamente) posticipato il termine del mandato al 30 luglio 2011 defraudando gli elettori e il personale che intendeva candidarsi del diritto costituzionale di poterlo fare.

Con quest'ennesima proroga, pertanto, gli attuali delegati resterebbero in carica quasi sei anni invece dei quatto previsti in origine: il più lungo mandato dall'istituzione della rappresentanza militare avvenuta con la legge 382 del 1978.

Forse a seguito di un veloce lavoro di copia/incolla col precedente provvedimento sulle missioni internazionali, le motivazioni accampate dal Governo (rinvenibili sulla bozza di decreto) per questa “proroga della proroga” sono le medesime già avanzate per la prima; la dilazione si renderebbe infatti necessaria per “assicurare continuità nella collaborazione tra gli organi di rappresentanza dei militari e l’Amministrazione nella fase, in atto, di definizione dei progetti di riordino strutturale dello strumento militare e di riassetto dei ruoli del personale, connessi anche all’impiego delle Forze armate nelle missioni internazionali. L’urgenza dell’intervento normativo è motivata dalla circostanza che il procedimento elettorale per il rinnovo degli organi in parola deve essere avviato con mesi di anticipo rispetto alla data di scadenza del mandato, trattandosi dell’elezione di tre distinti livelli di rappresentanza (consigli di base, intermedi e centrali) eletti attraverso gradi successivi di votazione (articolo 15 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1979, n. 691) e della connessa necessità di consentire ai militari eleggibili di svolgere l’attività di propaganda prevista dall’articolo 22 del citato regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 691 del 1979.”

Per quanto riguarda in particolare la rappresentanza della Guardia di Finanza, si deve sottolineare come le giustificazioni sono ancor più infondate atteso che il Corpo, a differenza delle quattro Forze Armate, non è interessato da alcun “progetto di riordino strutturale”; in relazione invece ad un ipotizzato “riassetto dei ruoli del personale”, è curioso che proprio il Governo, dopo aver stornato le risorse già accantonate a tale scopo (700 milioni di euro), persista nel richiamare un fantomatico riordino delle carriere.

Questa volta, ancor più della precedente, è palese l'inconsistenza delle motivazioni addotte atteso che nulla di positivo per il personale militare è scaturito dalla prima proroga, mentre si sono invece susseguiti numerosi provvedimenti penalizzanti, sia dal punto di vista economico che dei diritti, con buona pace dei “collaborativi” organi di rappresentanza dei militari; pertanto non si comprende cosa porterebbero di positivo altri cinque mesi di incarico degli attuali “collaborativi” delegati.


Forze di polizia esentate dall'uso della cintura di sicurezza solo in caso di emergenza - Circolare del Ministero dell'Interno

lpd: Forze di polizia esentate dall'uso della cintura d...: "Ministero Interno – Dipartimento Pubblica Sicurezza – circolare protocollo 559/A/2/756.M.3/23833 del 22 dicembre 2010 Uso..."

Indagine conoscitiva sulla riforma fiscale: audizione del professor Tommaso Di Tanno