giovedì 30 dicembre 2010

SLITTA LA PROROGA


Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ascoltato il nostro appello dello scorso 23 dicembre, e la proroga del mandato dei consigli delle rappresentanze militari al momento non è stata concessa. La responsabilità di negare il diritto di poter eleggere liberamente i propri rappresentanti è demandata al Presidente del consiglio dei ministri che potrà emanare un apposito DPCM per prorogare le RR.MM. fino al 31/12/2011.

Grazie a tutti quelli che hanno creduto in me e nel PDM, abbiamo dimostrato che il dissenso verso una eventuale proroga dei cocer è enorme.

Cittadini in divisa, in questi giorni siete stati tantissimi nel sostenere questa battaglia, continuate a manifestare civilmente il vostro dissenso e a rivendicare ogni vostro diritto, primo fra tutti quello di poter avere un vero sindacato al pari di quelli della Polizia di Stato.

Grazie a tutti.
Luca Marco Comellini - Segretario Pdm

d.l. 225/2010

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione; Ritenuta la straordinaria necessita\' ed urgenza di provvedere alla proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di adottare misure in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, al fine di consentire una piu\' concreta e puntuale attuazione dei correlati adempimenti; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 22 dicembre 2010; Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell\'economia e delle finanze; Emana il seguente decreto-legge: Art. 1 Proroghe non onerose di termini in scadenza 1. E\' fissato al 31 marzo 2011 il termine di scadenza dei termini e dei regimi giuridici indicati nella tabella 1 allegata con scadenza in data anteriore al 15 marzo 2011. 2. Con uno o piu\' decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare ai sensi dell\'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro dell\'economia e delle finanze, puo\' essere disposta l\'ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2011 del termine del 31 marzo 2011 di cui al comma 1 ovvero la proroga fino al 31 dicembre 2011 degli ulteriori termini e regimi giuridici indicati nella tabella 1 allegata.

mercoledì 29 dicembre 2010

IN ITALIA DEMOCRAZIA CONGELATA


Il Governo blocca le elezioni della rappresentanza militare e perfino delle rappresentanze sindacali






Rsu Pubblico impiego, Ugl: “Proclamiamo stato di agitazione contro blindatura rappresentanza” Varie forme di protesta e ricorso alle vie legali contro rinvio elezioni


Data: 28/12/2010

“Proclamiamo da oggi lo stato di agitazione dei lavoratori Ugl della PA contro la decisione del ministero della Funzione Pubblica di prorogare le rsu del comparto elette nel lontano 2007 e scadute il 31 novembre 2010 con il rinvio delle elezioni per il rinnovo delle stesse, a causa del mancato accordo tra sindacati, forse non più rappresentativi, e Aran sui comparti”.
Lo riferisce in una nota la segreteria generale dell’Ugl annunciando l’esito della riunita svolta oggi alla presenza del segretario generale, Giovanni Centrella, del segretario confederale con delega per il Pubblico impiego, Fulvio De Polo, e dei segretari nazionali dell’Ugl Intesa Funzione pubblica, Paola Saraceni e Francesco Prudenzano.
“L’Ugl Intesa Funzione pubblica, oltre allo stato di agitazione – è scritto nella nota –, è pronta ad intraprendere qualsiasi forma di protesta a partire dallo sciopero che, nel rispetto dell’accordo sui cortei con il Prefetto di Roma, potrebbe essere proclamato dopo il 9 gennaio 2011 fino a ricorrere alle vie legali contro una scelta che blinda la democrazia per circa 3 milioni di lavoratori vessati dallo Stato sia sotto il profilo della rappresentanza sia sotto quello economico”.
“Abbiamo atteso correttamente ma inutilmente che il ministero certificasse almeno in termini di deleghe la crescita di una importante sigla sindacale. A questo punto non è né democratico né tanto meno legittimo – conclude la nota – attendere il 2013 per avere giustizia”.



venerdì 24 dicembre 2010

TANTI AUGURI A NOI

Faccio i miei sinceri auguri di buone feste e di buon 2011 a tutti i colleghi, che conosco o che conoscerò.

In particolare un caro augurio a quei delegati di tutta la rappresentanza militare che nel 2010 hanno fatto così tanto i bravi , tanto che Babbo Natale La Russa li ha accontentati con un'altra bella proroga fino al 2012.

Che l'ennesimo anno in più, elargito dal Governo, possa portarci tanti bei frutti come quelli già ottenuti con la prima proroga, che mi sembra siano stati:

- una moderna riforma della rappresentanza
- un riordino delle carriere che accontenta tutti
- un ottimo contratto
- una concreta specificità economica
- un innovativo nuovo codice militare
- una bella proposta di codice penale militare
- nessun taglio
- un Comandante Generale del Corpo (questo è vero).

Ad maiora


martedì 14 dicembre 2010

lunedì 13 dicembre 2010

DOPO UNDICI ANNI DAL GRAN RIFIUTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE, I DUBBI SONO SEMPRE GLI STESSI.


Si poteva negare un diritto soggettivo con motivazioni prive di fondamenti giuridici?

SOMMARIO: 1 - INTRODUZIONE. 2 – ANALISI DELL’ORDINANZA NR. 837/98 DEL CONSIGLIO DI STATO. 3 - ANALISI DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE NR. 449 DEL 13 DICEMBRE 1999. 4 – CONSIDERAZIONI DELL’AUTORE. 5 - CONCLUSIONI.
1. INTRODUZIONE.

Il 13 dicembre si celebra la memoria di S. Lucia, definita anche “la Santa della luce”; i militari italiani, però, associano questo giorno ad una storica sentenza che fece calare il buio sulle legittime aspettative di vedere realizzati i loro diritti costituzionali alla pari di qualsiasi altro cittadino. Infatti, in questo giorno, ben undici anni fa, veniva scritta la sentenza nr. 449/1999, con cui i “custodi della Costituzione” pronunciarono lo storico “niet” alla richiesta proveniente dal mondo dei militari di fruire del diritto di associazione, deludendo così ogni loro attesa.
A giudicare dagli argomenti con i quali il Consiglio di Stato sollevò la questione di legittimità costituzionale, sembrava che l’esito fosse scontato e che la Corte dovesse solamente ratificare la concessione del diritto, di cui già se ne pregustava l’esercizio all’interno delle caserme.
Così non fu.
Gli undici anni trascorsi non hanno, però, ossidato i dubbi che insorsero all’indomani del “gran rifiuto”; pertanto, vale la pena di riproporre una breve analisi della storica sentenza, partendo, per chiarezza espositiva, dalle motivazioni che spinsero il Consiglio di Stato ad adire la Corte Costituzionale.


2. ANALISI DELL’ORDINANZA NR. 837/98 DEL CONSIGLIO DI STATO.

Il Consiglio di Stato, con ordinanza nr. 837/98, dichiarò non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’ultima parte del primo comma dell’art. 8, L. 382/78, limitatamente alla proposizione che vietava di “costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali”.
Il Consiglio di Stato con la decisione realizzò un capolavoro di architettura giuridica per ragionevolezza, razionalità ed equità; scrisse un’espressione algebrica alla quale bisognava solo apporre il risultato finale: l’incostituzionalità del divieto de quo.
Il Collegio rimettente si sforzò di dare la massima coerenza alle proprie argomentazioni, ancorandole il più possibile alle diverse pronunce della Suprema Corte succedutesi nel corso del tempo.

Il Consiglio di Stato, infatti, scrisse:
““La Corte Costituzionale:
- con sentenza n. 126 del 1985, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art.180, primo comma, c.p.m.p., che puniva il fatto del militare che avesse presentato un reclamo collettivo, scritto o verbale, in riferimento all’art. 21 Cost., segnalando che: "è da ritenere che la pacifica manifestazione di dissenso dei militari nei confronti dell’autorità militare - anche e soprattutto in forma collettiva per l’espressione di esigenze collettive attinenti alla disciplina o al servizio - non soltanto concorra alla garanzia di pretese fondate o astrattamente formulabili sulla base della normativa vigente e quindi all’attuazione di questa, ma promuova lo sviluppo in senso democratico dell’ordinamento delle Forze armate e quindi concorra ad attuare i comandamenti della Costituzione"…;
- con sentenza n. 24 del 1989, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 184, secondo comma, c.p.m.p., che punisce le riunioni arbitrarie di militari in luoghi di militari, nei sensi di cui in motivazione, segnalando che "riunioni arbitrarie sono soltanto quelle a carattere sedizioso o rivoltoso e che la riunione, se è pacifica e disarmata e se è diretta a trattare senza animosità di cose attinenti al servizio o alla disciplina nell’intento di un inserimento partecipativo alla vita della caserma, lungi dall’essere pericolosa, può rappresentare mezzo di promozione e di sviluppo in senso democratico dell’ordinamento delle Forze armate"…;
- con sentenza n. 37 del 1992, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.15 secondo comma della legge 11 luglio 1978 n. 382 nella parte in cui non prevede che il militare sottoposto a procedimento disciplinare ha la facoltà di indicare come difensore nel procedimento stesso un altro militare non appartenente all’ente nel quale egli presta servizio, segnalando che "il condizionamento derivante dal vincolo di subordinazione gerarchica che caratterizza l’ambiente di vita del difensore può esser tale, in alcuni casi, da non garantire l’espletamento del mandato in modo adeguatamente imparziale e indipendente da pressioni esterne"…;
- con sentenza n. 126 del 1985 cit., punto 6 della motivazione, ha dichiarato, "…non importa obliterare quelle particolari esigenze di coesione dei corpi militari che si esprimono nei valori della disciplina e della gerarchia; ma importa negare che tali valori si avvantaggino di un eccesso di tutela in danno delle libertà fondamentali e della stessa democraticità dell'ordinamento delle Forze armate"…””.
Il Consiglio di Stato, inoltre, nel riassumere il suo ragionamento, affermò che
1. “... è già ammessa la costituzione di associazioni o circoli fra militari, anche se subordinata al preventivo assenso del Ministro della difesa (art. 8, comma 3, legge n. 382 cit.)…;
2. nemmeno potrebbe fondarsi l'esclusione della libertà sindacale sull’esigenza di non indebolire la disciplina militare. Le norme disciplinari, infatti, non subirebbero, con il riconoscimento della libertà sindacale, alcuna modifica..;
3. nel quadro normativo complessivo, non sembra ragionevole la diversità di disciplina rispetto alle Forze di polizia ad ordinamento civile, che godono della libertà sindacale…”.

Dopo tali apprezzabili premesse l’unica conclusione possibile, senza dover sacrificare logica, razionalità e ragionevolezza, era quella cui effettivamente giunse il Consiglio di Stato: “NON SI RAVVISANO MOTIVI PLAUSIBILI PER SOPPRIMERE PER I MILITARI UNO TRA I DIRITTI COSTITUZIONALMENTE GARANTITI, DI CUI LO STESSO ART. 3 DELLA L. 382/78 PREVEDE SOLTANTO LIMITAZIONI NELL’ESERCIZIO”.

In sintesi, il Consiglio di Stato, evidenziò alla Corte i seguenti punti fermi, che emergevano non già da proprie opinioni, bensì da precedenti pronunciamenti univoci e concordanti della stessa Corte Costituzionale:
a. La pacifica manifestazione di dissenso dei militari non esula dai dettami costituzionali.
b. I reclami collettivi e le riunioni a carattere non sedizioso non sono illecite, anzi possono rappresentare un mezzo di promozione e di sviluppo in senso democratico dell’Ordinamento delle Forze armate.
c. L’espletamento di un mandato richiede un’indipendenza ed un’imparzialità che mal si conciliano con i condizionamenti derivanti dal vincolo di subordinazione gerarchica.
d. In nome della tutela dei valori della disciplina e della gerarchia non possono essere sacrificate le libertà fondamentali e la stessa democraticità dell'Ordinamento militare.



3. ANALISI DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE NR. 449 DEL 13 DICEMBRE 1999.

La Corte Costituzionale, nel formulare le sue considerazioni di diritto, in effetti, ammette che “l’art. 52, terzo comma, della Costituzione parla di ordinamento delle Forze armate, non per indicare una sua (inammissibile) estraneità all’ordinamento generale dello Stato, ma per riassumere in tale formula l’assoluta specialità della funzione”.
La stessa, inoltre, ribadisce che la normativa dell’Ordinamento militare “non è avulsa dal sistema generale delle garanzie costituzionali”. In merito a tale punto, il giudice delle leggi ricorda che “nella sentenza nr. 278 del 1987, in cui vi è l’eco dei risultati cui è pervenuta la dottrina, la Corte ha osservato che la Costituzione repubblicana supera radicalmente la logica istituzionalistica dell’ordinamento militare, giacché quest’ultimo deve essere ricondotto nell’ambito del generale ordinamento statale rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini (in senso analogo, anche la successiva sentenza nr. 78/1989)”.
La Corte, come se non bastasse, stabilisce altresì che “LA GARANZIA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DI CUI SONO TITOLARI I SINGOLI CITTADINI MILITARI NON RECEDE QUINDI DI FRONTE ALLE ESIGENZE DELLA STRUTTURA MILITARE; SI’ CHE MERITANO TUTELA ANCHE LE ISTANZE COLLETTIVE DEGLI APPARTENENTI ALLE FORZE ARMATE, AL FINE DI ASSICURARE LA CONFORMITA’ DELL’ORDINAMENTO MILITARE ALLO SPIRITO DEMOCRATICO (v. le sentenze del Consiglio di Stato nn.rr. 24/89 e 126/85)”.
Dopo simili apprezzabili e ragguardevoli premesse, ben ancorate al testo costituzionale, chiunque si sarebbe aspettato di leggere l’unica conclusione possibile e coerente, cioè che l’art. 8 primo comma della L. 382/78 è incostituzionale nella parte in cui vieta ai militari di costituire associazioni professionali (diritti riconosciuti a tutti i cittadini - art. 39, primo comma Cost.).
Al contrario, nelle conclusioni, la Corte Costituzionale, prima, opera una virata nell’affermare che “rileva nel suo carattere assorbente il servizio, reso in un ambito speciale come quello militare (art. 52, primo e secondo comma, della Costituzione)”; poi perde quota nel ritenere che “la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 8, nella parte denunciata, aprirebbe inevitabilmente la via ad organizzazioni la cui attività potrebbe risultare non compatibile con i caratteri di coesione interna e neutralità dell’ordinamento militare”.


4. CONSIDERAZIONI DELL’AUTORE.

La Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, primo comma, della legge 382/78, ritenendo legittimo il divieto imposto ai militari di costituire associazioni professionali a causa della “specialità” del servizio svolto ed del rischio per la “coesione interna e la neutralità” dell’Ordinamento militare connesso all’esercizio di quel diritto.
Esaminando i due temi posti a fondamento della decisione della Corte, sorgono le considerazioni critiche che seguono.

LA VIRATA. Mi pare che il richiamo fatto dalla Corte all’art. 52, comma 1° e 2°, Cost. non abbia nulla a che vedere con la “specialità del servizio”, per i seguenti motivi:
· Il dovere di difesa della Patria è rivolto indistintamente a tutti i cittadini, e non solamente ai cittadini militari. Tale dovere potrebbe anche giustificare obblighi di mobilitazione civile ovvero atti di resistenza collettiva all’eventuale occupazione di Forze armate straniere.
· L’obbligatorietà del servizio militare atteneva al servizio di leva obbligatorio, quando era previsto, che imponeva a tutti i chiamati una prestazione personale a favore dello Stato.
Anche l’invocata disparità di trattamento tra gli appartenenti alle Forze armate e gli appartenenti alla Polizia di Stato mi sembra palesemente assurda.
La Corte afferma: “il legislatore ha sì riconosciuto una circoscritta libertà sindacale alla Polizia di Stato, ma ciò ha disposto contestualmente alla smilitarizzazione di tale Corpo, il quale ha, oggi, caratteristiche che lo differenziano nettamente dalle Forze armate”.
In altri termini, la Corte sembrerebbe sostenere che il riconoscimento del diritto sindacale per la Polizia di Stato è avvenuto solo a seguito della perdita del requisito di “specialità”, avvenuta con la smilitarizzazione. Ma un’attenta riflessione sulla natura giuridica dei due ordinamenti avrebbe dovuto condurre la Corte a conclusioni diametralmente opposte. Il Giudice Costituzionale, infatti, ha ignorato completamente l’art. 3, 1° comma della L. 181/81, a mente del quale “L’Amministrazione della Pubblica Sicurezza è civile ed ha un ordinamento speciale”. Pertanto, è pacifico che sia la Polizia di Stato che le forze di polizia militarmente organizzate e le FF.AA. abbiano un ordinamento “speciale” finalizzato allo svolgimento di un servizio “speciale”.

LA PERDITA DI QUOTA. La Corte nell’affermare che il riconoscimento del diritto di associazione non sarebbe compatibile con la “coesione interna e neutralità” dell’Ordinamento militare, esprime un giudizio di valore ovvero attribuisce giuridicità a ciò che è solamente un’opinione.
Se si volesse ammettere che il riconoscimento di quel diritto nuoce alla coesione interna ed alla neutralità dell’Ordinamento delle FF.AA., si dovrebbe giungere a conclusioni diametralmente opposte. Sarebbe stato più logico e coerente con l’Ordinamento generale riconoscere il diritto di costituire associazioni professionali agli appartenenti alle Forze armate e di polizia militarmente organizzate, piuttosto che alla Polizia di Stato.
Ciò in quanto i comportamenti dei primi nell’ambito del servizio sono minuziosamente descritti e presidiati dal Codice Penale Militare e dal Regolamento di Disciplina Militare; mentre i comportamenti degli appartenenti alla Polizia di Stato non sono previsti da un codice penale “ad hoc”.
Semmai si volesse ipotizzare un remoto rischio per la coesione del Corpo, connesso all’esercizio del diritto di associazione, certamente i più esposti sarebbero i cittadini della Polizia di Stato, piuttosto che i cittadini militari.
Mi spiego meglio con un esempio. Ipotizziamo che un poliziotto ed un cittadino militare si trovino in un luogo pubblico ad esercitare il diritto di associazione e di manifestazione del proprio pensiero e, perciò, venga contestato ad entrambi il reato di “Istigazione di militari a disobbedire alle leggi”. Ebbene, in questo caso il poliziotto subirebbe solo un processo dinanzi al Tribunale ordinario e forse un procedimento di Stato. Il militare, invece, di fronte a simili addebiti si ritroverebbe in un “campo minato” da cui sarebbe quasi impossibile uscire indenne, in quanto dovrebbe affrontare:
- un processo dinanzi alla Procura ordinaria per presunta violazione dell’art. 266 del Codice Penale;
- un processo dinanzi alla Procura Militare per la presunta violazione dell’art. 213 del Codice Penale Militare di Pace;
- un procedimento disciplinare per la violazione delle norme che regolano la disciplina militare, i cui esiti (arresti semplici o di rigore), macchierebbero in modo indelebile la sua carriera con ripercussioni negative anche sul futuro trattamento economico e pensionistico;
- infine, un procedimento di Stato previsto dagli artt. 914 e seguenti del Codice dell’Ordinamento Militare, le cui conseguenze potrebbero compromettere irrimediabilmente la sua permanenza all’interno dell’organizzazione militare.
Per tali motivi, non si riesce proprio a capire come sia possibile che il diritto di costituire associazioni professionali non costituisca alcun pericolo per la coesione interna del Corpo della Polizia, mentre rappresenti un rischio inaccettabile per la blindatissima coesione interna delle Forze armate e di polizia militarmente organizzate.

A questo punto non si può non condividere il pensiero della dottrina più autorevole ed attenta a tali problematiche: “il riconoscimento del diritto per gli appartenenti alle Forze armate di costituire associazioni professionali a carattere sindacale NON HA NULLA A CHE VEDERE CON LA “SPECIALITA’” DEL SERVIZIO NE’ CON LA COESIONE INTERNA E LA NEUTRALITA’ DELL’ORDINAMENTO MILITARE …. Si può tranquillamente affermare che mentre il Consiglio di Stato, con la questione di legittimità costituzionale sollevata, ha motivato le ragioni giuridiche dell’incostituzionalità dell’art. 8, 1° co. L. n. 382 cit., la Corte Costituzionale si è sottratta ai suoi compiti, ricorrendo, per giustificare la propria decisione, a ragioni che giuridiche non sono”. (Vedi S. Riondato, Atti del convegno “La Corte Costituzionale ed il diritto dei militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale”, Padova, 30 novembre 2000).

Prima delle conclusioni, ritengo opportune alcune precisazioni in merito al concetto di “limitazioni all’esercizio” previste dall’art. 8 della legge 382/78 e richiamate dal Consiglio di Stato nel suo atto di promovimento.
In particolare, intendo riferirmi a quella che dovrebbe essere l’estensione di dette limitazioni.
A tal proposito è necessario distinguere il diritto di sciopero dal diritto di costituire associazioni professionali. Il primo costituisce un interesse legittimo che ben può essere compresso in nome di un bene supremo (specialità del servizio - coesione interna e neutralità dell’Ordinamento militare). Il secondo rappresenta un diritto soggettivo che, per sua natura, dovrebbe godere delle massime tutele da parte dell’Ordinamento statuale. Per di più, il divieto di esercizio del diritto di sciopero non è mai stato oggetto di contestazione da parte della compagine militare, e difficilmente lo sarà in futuro. Anche se la Carta Costituzionale non ha previsto un espresso divieto all’esercizio del diritto di sciopero da parte dei militari, è mia convinzione che tale divieto derivi da altra Fonte, che ispirò i valori recepiti dai primi articoli della stessa Costituzione.
“Lo interrogavano anche alcuni soldati: E noi, che cosa dobbiamo fare?
Rispose loro: …accontentatevi delle vostre paghe” (Lc 3, 14, La Sacra Bibbia).
Quindi, una cosa è vietare l’esercizio del diritto di sciopero, ben altra cosa è vietare l’esercizio del diritto di costituire associazioni professionali.
Se è fuor di dubbio che il primo diritto, se concesso ed abusato, potrebbe incidere, attraverso la pretesa di “paghe” sempre più elevate, sulla spesa pubblica e sulla stabilità economica dello Stato, non si può escludere che la negazione del secondo, stia già incidendo su giustizia e legalità, influenzando i principi di efficienza, trasparenza e buon andamento di così vitali apparati dello Stato. Il fine di “assicurare la conformità dell’Ordinamento militare allo spirito democratico della Repubblica”, che la Corte ha ritenuto prioritario, sarebbe stato perseguito solo attraverso la concessione anche ai cittadini militari del diritto di costituire associazioni professionali. Negando tale diritto si sono create le condizioni affinché “i valori della disciplina e della gerarchia si avvantaggino di un eccesso di tutela in danno delle libertà fondamentali e della stessa democraticità dell’Ordinamento delle FF.AA.”, circostanza che la stessa Corte, in altra occasione, aveva inteso scongiurare, probabilmente perché foriera di pericoli di diversa natura.
Mi spiego meglio. Se si comprimono le libertà fondamentali dei cittadini militari si ottiene il risultato di separarli ed isolarli dal resto della società civile.
Tale isolamento potrebbe rivelarsi lesivo della stessa apoliticità del comparto militare, posta a garanzia della democrazia ed a presidio delle istituzioni democratiche.
La storia, e non solo del nostro Paese, ci insegna che nei momenti di crisi istituzionali e di forti tensioni politiche la separazione dei detentori del monopolio della forza dal resto della società civile è molto pericolosa e potrebbe riservare delle spiacevoli sorprese.


5. CONCLUSIONI.

Il nostro ordinamento giuridico riconosce la giustizia costituzionale come strumento idoneo per custodire la Costituzione anche dagli attacchi del potere politico. Però non individua meccanismi per rendere “i custodi” immuni dalla possibilità di cadere in errore. Anche essi possono, consapevolmente o no, esercitare le proprie funzioni in modo errato.
In effetti, la preoccupazione di custodire i custodi è antica quanto il peccato originale, è nata con l’uomo e resterà in vita finché l’uomo vivrà.
Non è un caso che il primo uomo, Adamo, fosse anch’egli un custode che deluse le aspettative di Chi lo aveva investito.
E’ a tutti nota la locuzione latina “Quis custodiet ipsos custodes?”, tratta dalla VI Satira di Giovenale, che letteralmente significa “Chi sorveglierà i sorveglianti stessi”.
Fu Platone, in un passo de “Le Repubblica”, a richiamare la locuzione con riferimento ai custodi dello Stato, che devono guardarsi dall’ubriachezza per non avere essi stessi bisogno di un guardiano.
Parecchio tempo dopo, in un diverso contesto storico-giuridico, Alexis de Tocqueville sosteneva che “a fianco di un despota che comanda, si trova sempre un giurista che legalizza e dà sistema alle volontà arbitrarie e incoerenti del primo. I re sanno costringere momentaneamente gli uomini ad obbedire…i giuristi possiedono l’arte di piegarli, quasi volontariamente, ad un’obbedienza durevole. E dove queste due forze s’incontrano, si stabilisce un dispotismo che lascia appena respirare l’umanità”. (Frammenti storici sulla rivoluzione francese, trad. it., Milano 1943, 89).
Nonostante il superamento delle ideologie legate a quel periodo storico grazie alla rivoluzione francese ed alla nascita dello Stato democratico, quel pensiero non è mai tramontato e di recente è stato rielaborato dal filosofo Giorgio Agamben, nei seguenti termini: “l’aspetto normativo del diritto può essere così impunemente obliterato e contraddetto da una violenza governamentale che, ignorando, all’esterno, il diritto internazionale e producendo, all’interno, uno stato d’eccezione permanente, pretende tuttavia di stare ancora applicando il diritto”.
E’ evidente che le preoccupazioni alla base di queste riflessioni, sopravvissute a tutte le forme di governo ed ai rispettivi ordinamenti giuridici, non dipendono né dalle strutture né, tantomeno, dalle istituzioni, ma traggono origine da comportamenti che albergano nel cuore dell’uomo sin dalla sua creazione.
Quali sono i possibili rimedi? Nel caso concreto, come si possono custodire i custodi della Costituzione da attacchi e condizionamenti?
Non c’è soluzione, non esiste una risposta risolutiva a tale annoso dilemma.
Si possono individuare solo dei rimedi palliativi. A tal proposito riporto le riflessioni di un giurista molto apprezzato dal mondo accademico, Luigi Ferrajoli, il quale in un suo interessantissimo scritto, dopo aver rifiutato l’esistenza, anche in democrazia, di un “potere buono”, suggerisce ai “custodi della Costituzione” i consigli che seguono.
a. Usare in modo più rigoroso, anche dal punto di vista linguistico, l’onnivoro canone della ragionevolezza-razionalità-equità.
b. Redigere motivazioni percorse da razionalità unitaria e univoca, nelle quali il fine pubblico di rendere intelligibili le ragioni della decisione prevalga su quello autoreferenziale di dare conto di tutte le opinioni che si sono espresse nel corso della discussione in camera di consiglio.
c. Cercare di dare coerenza alla propria narrazione giurisprudenziale attraverso le diverse pronunce nel corso del tempo, evitando oscillazioni giurisprudenziali frequenti o immotivate, pur in un’inevitabile dimensione evolutiva.
d. Ancorare sempre le decisioni al “testo” costituzionale più che ad un evanescente “spirito costituzionale” o a “valori”, che possono divenire tiranni, se posti nelle mani sbagliate.
Si auspica che tali consigli vengano recepiti dalla Corte Costituzionale semmai in futuro verrà investita nuovamente delle problematiche fin qui analizzate.
Tali consigli, sostiene Luigi Ferrajoli, non hanno il fine di indebolire la Corte Costituzionale, ma, al contrario, quello di rafforzarne l’autorevolezza, rendendola immune dagli attacchi che, sempre più forti e frequenti, le vengono mossi da più parti e dalla politica in particolare.(L. Ferrajoli, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2007).
Mi piace sintetizzare il comune denominatore alla base delle riflessioni sopra citate, nel modo seguente.
Nessun potere, né costituente, né costituito, può essere lasciato da solo senza regole sotto l’albero della conoscenza del bene e del male.


Cleto Iafrate
Associazione civica FICIESSE

sabato 11 dicembre 2010

SICUREZZA: LUNEDI' A ROMA SINDACATI POLIZIA E VIGILI DEL FUOCO PER PROTESTE CONTRO TAGLI

lpd: SICUREZZA: LUNEDI' A ROMA SINDACATI POLIZIA E VIGI...: " = Napoli, 11 dic. - (Adnkronos) - Lunedi' prossimo, un giorno prima del voto sulla fiducia al governo, i sindacati della Polizia d..."

IMPORTANTI PRECISAZIONI SULLE PENSIONI DAL 2011

lpd: Ministero dell'Interno circolare n. 557/RS/01/71/2...:

Ministero dell'Interno circolare n. 557/RS/01/71/2567 del 9 dicembre 2010 Oggetto: Art. 12 del D.L. 31.05.2010 n. 78 convertito con modifiche nella L. 30.07.2010 n. 122 Interventi in materia pensionistica. Circolare Inpdap n. 18 dell'8.10.2010. Ulteriori precisazioni.

martedì 7 dicembre 2010

venerdì 3 dicembre 2010

SICUREZZA: SINDACATI POLIZIA IN PIAZZA, 'GOVERNO INADEMPIENTE

lpd: SICUREZZA: SINDACATI POLIZIA IN PIAZZA, "GOVERNO I...: "SICUREZZA: SINDACATI POLIZIA IN PIAZZA, 'GOVERNO INADEMPIENTE' = (AGI) - Roma, 3 dic. - 'Si rafforzano le motivazioni che ci hanno port..."

Pdl ritira emendamento finanziamenti Comparto Difesa e Scicurezza.



Roma, 2 dic. (Apcom) - L'Aula della Camera ha approvato il decreto sicurezza. I sì sono stati 299, 9 i no, astenuti gli altri. Il Pd si è astenuto spiegando che col testo, che ora passa all'esame del Senato, "sono stati fatti passi avanti" ma "serviva più coraggio".

Nonostante l'ampia maggioranza con cui è stato approvato il provvedimento, non mancano le critiche al testo che per l'opposizione rappresenta "un'occasione sprecata" soprattutto per il mancato finanziamento alla specificità delle forze di polizia: l'emendamento che andava in questa direzione, messo a punto da Beatrice Lorenzin (Pdl), e condiviso da tutti i gruppi è stato infatti ritirato. Una mossa "gravissima" anche secondo Futuro e Libertà.

Il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano ha spiegato che "in presenza di tagli a tutti i settori dello Stato, il governo ha comunque mantenuto un'attenzione particolare al settore della sicurezza in sede di manovra economica con l'istituzione di un fondo che per il 2011 e per il 2012 prevede uno stanziamento di 80 milioni. Prima ancora era stato istituito il fondo unico giustizia con risorse che ammontano a 2 miliardi e 200 milioni di euro, di cui il 49% è destinato al Viminale, il 49% al ministero della Giustizia e il 2 al bilancio dello Stato". Quanto al finanziamento della specificità, ha informato Mantovano, "sono necessari degli approfondimenti tecnici che non mancheranno nelle prossime settimane". La norma sulla specificità delle forze di polizia, ha precisato il Pdl Giuliano Cazzola, era contenuta nel collegato lavoro ed è entrata in vigore il 24 novembre scorso: "Mi sembra giustificato un governo che in sette giorni non riesce a finanziare una norma".
Secondo il democratico Marco Minniti maggioranza e governo dicono il falso perché "la specificità non è stata introdotta da questo governo ma con un largo voto parlamentare nel '99 da un governo di centrosinistra. Avete fatto contratti con i soldi stanziati da noi, voi non avete messo una lira". Quanto alle cifre date da Mantovano, Minniti commenta: "Fate il gioco delle tre carte, parlate di miliardi di euro ma per la benzina nelle macchine della polizia non c'è una lira. Dovreste vergognarvi e chiedere scusa". (Apcom)

2 dicembre 2010

mercoledì 1 dicembre 2010

La Camera dei Deputati discute oggi la conversione...

La Camera dei Deputati discute oggi la conversione in legge del "Pacchetto Sicurezza" che dovrebbe essere modificato con le modalità descritte da un emendamento che recepisce le richieste fatte dai sindacati di Polizia del "cartello" al Ministro Maroni relativamente all'esclusione dal blocco triennale delle varie indennità che compongono la struttura stipendiale.

Indagine conoscitiva sulla riforma fiscale: audizione del professor Tommaso Di Tanno