giovedì 30 dicembre 2010

SLITTA LA PROROGA


Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ascoltato il nostro appello dello scorso 23 dicembre, e la proroga del mandato dei consigli delle rappresentanze militari al momento non è stata concessa. La responsabilità di negare il diritto di poter eleggere liberamente i propri rappresentanti è demandata al Presidente del consiglio dei ministri che potrà emanare un apposito DPCM per prorogare le RR.MM. fino al 31/12/2011.

Grazie a tutti quelli che hanno creduto in me e nel PDM, abbiamo dimostrato che il dissenso verso una eventuale proroga dei cocer è enorme.

Cittadini in divisa, in questi giorni siete stati tantissimi nel sostenere questa battaglia, continuate a manifestare civilmente il vostro dissenso e a rivendicare ogni vostro diritto, primo fra tutti quello di poter avere un vero sindacato al pari di quelli della Polizia di Stato.

Grazie a tutti.
Luca Marco Comellini - Segretario Pdm

d.l. 225/2010

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione; Ritenuta la straordinaria necessita\' ed urgenza di provvedere alla proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di adottare misure in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, al fine di consentire una piu\' concreta e puntuale attuazione dei correlati adempimenti; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 22 dicembre 2010; Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell\'economia e delle finanze; Emana il seguente decreto-legge: Art. 1 Proroghe non onerose di termini in scadenza 1. E\' fissato al 31 marzo 2011 il termine di scadenza dei termini e dei regimi giuridici indicati nella tabella 1 allegata con scadenza in data anteriore al 15 marzo 2011. 2. Con uno o piu\' decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare ai sensi dell\'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro dell\'economia e delle finanze, puo\' essere disposta l\'ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2011 del termine del 31 marzo 2011 di cui al comma 1 ovvero la proroga fino al 31 dicembre 2011 degli ulteriori termini e regimi giuridici indicati nella tabella 1 allegata.

mercoledì 29 dicembre 2010

IN ITALIA DEMOCRAZIA CONGELATA


Il Governo blocca le elezioni della rappresentanza militare e perfino delle rappresentanze sindacali






Rsu Pubblico impiego, Ugl: “Proclamiamo stato di agitazione contro blindatura rappresentanza” Varie forme di protesta e ricorso alle vie legali contro rinvio elezioni


Data: 28/12/2010

“Proclamiamo da oggi lo stato di agitazione dei lavoratori Ugl della PA contro la decisione del ministero della Funzione Pubblica di prorogare le rsu del comparto elette nel lontano 2007 e scadute il 31 novembre 2010 con il rinvio delle elezioni per il rinnovo delle stesse, a causa del mancato accordo tra sindacati, forse non più rappresentativi, e Aran sui comparti”.
Lo riferisce in una nota la segreteria generale dell’Ugl annunciando l’esito della riunita svolta oggi alla presenza del segretario generale, Giovanni Centrella, del segretario confederale con delega per il Pubblico impiego, Fulvio De Polo, e dei segretari nazionali dell’Ugl Intesa Funzione pubblica, Paola Saraceni e Francesco Prudenzano.
“L’Ugl Intesa Funzione pubblica, oltre allo stato di agitazione – è scritto nella nota –, è pronta ad intraprendere qualsiasi forma di protesta a partire dallo sciopero che, nel rispetto dell’accordo sui cortei con il Prefetto di Roma, potrebbe essere proclamato dopo il 9 gennaio 2011 fino a ricorrere alle vie legali contro una scelta che blinda la democrazia per circa 3 milioni di lavoratori vessati dallo Stato sia sotto il profilo della rappresentanza sia sotto quello economico”.
“Abbiamo atteso correttamente ma inutilmente che il ministero certificasse almeno in termini di deleghe la crescita di una importante sigla sindacale. A questo punto non è né democratico né tanto meno legittimo – conclude la nota – attendere il 2013 per avere giustizia”.



venerdì 24 dicembre 2010

TANTI AUGURI A NOI

Faccio i miei sinceri auguri di buone feste e di buon 2011 a tutti i colleghi, che conosco o che conoscerò.

In particolare un caro augurio a quei delegati di tutta la rappresentanza militare che nel 2010 hanno fatto così tanto i bravi , tanto che Babbo Natale La Russa li ha accontentati con un'altra bella proroga fino al 2012.

Che l'ennesimo anno in più, elargito dal Governo, possa portarci tanti bei frutti come quelli già ottenuti con la prima proroga, che mi sembra siano stati:

- una moderna riforma della rappresentanza
- un riordino delle carriere che accontenta tutti
- un ottimo contratto
- una concreta specificità economica
- un innovativo nuovo codice militare
- una bella proposta di codice penale militare
- nessun taglio
- un Comandante Generale del Corpo (questo è vero).

Ad maiora


martedì 14 dicembre 2010

lunedì 13 dicembre 2010

DOPO UNDICI ANNI DAL GRAN RIFIUTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE, I DUBBI SONO SEMPRE GLI STESSI.


Si poteva negare un diritto soggettivo con motivazioni prive di fondamenti giuridici?

SOMMARIO: 1 - INTRODUZIONE. 2 – ANALISI DELL’ORDINANZA NR. 837/98 DEL CONSIGLIO DI STATO. 3 - ANALISI DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE NR. 449 DEL 13 DICEMBRE 1999. 4 – CONSIDERAZIONI DELL’AUTORE. 5 - CONCLUSIONI.
1. INTRODUZIONE.

Il 13 dicembre si celebra la memoria di S. Lucia, definita anche “la Santa della luce”; i militari italiani, però, associano questo giorno ad una storica sentenza che fece calare il buio sulle legittime aspettative di vedere realizzati i loro diritti costituzionali alla pari di qualsiasi altro cittadino. Infatti, in questo giorno, ben undici anni fa, veniva scritta la sentenza nr. 449/1999, con cui i “custodi della Costituzione” pronunciarono lo storico “niet” alla richiesta proveniente dal mondo dei militari di fruire del diritto di associazione, deludendo così ogni loro attesa.
A giudicare dagli argomenti con i quali il Consiglio di Stato sollevò la questione di legittimità costituzionale, sembrava che l’esito fosse scontato e che la Corte dovesse solamente ratificare la concessione del diritto, di cui già se ne pregustava l’esercizio all’interno delle caserme.
Così non fu.
Gli undici anni trascorsi non hanno, però, ossidato i dubbi che insorsero all’indomani del “gran rifiuto”; pertanto, vale la pena di riproporre una breve analisi della storica sentenza, partendo, per chiarezza espositiva, dalle motivazioni che spinsero il Consiglio di Stato ad adire la Corte Costituzionale.


2. ANALISI DELL’ORDINANZA NR. 837/98 DEL CONSIGLIO DI STATO.

Il Consiglio di Stato, con ordinanza nr. 837/98, dichiarò non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’ultima parte del primo comma dell’art. 8, L. 382/78, limitatamente alla proposizione che vietava di “costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali”.
Il Consiglio di Stato con la decisione realizzò un capolavoro di architettura giuridica per ragionevolezza, razionalità ed equità; scrisse un’espressione algebrica alla quale bisognava solo apporre il risultato finale: l’incostituzionalità del divieto de quo.
Il Collegio rimettente si sforzò di dare la massima coerenza alle proprie argomentazioni, ancorandole il più possibile alle diverse pronunce della Suprema Corte succedutesi nel corso del tempo.

Il Consiglio di Stato, infatti, scrisse:
““La Corte Costituzionale:
- con sentenza n. 126 del 1985, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art.180, primo comma, c.p.m.p., che puniva il fatto del militare che avesse presentato un reclamo collettivo, scritto o verbale, in riferimento all’art. 21 Cost., segnalando che: "è da ritenere che la pacifica manifestazione di dissenso dei militari nei confronti dell’autorità militare - anche e soprattutto in forma collettiva per l’espressione di esigenze collettive attinenti alla disciplina o al servizio - non soltanto concorra alla garanzia di pretese fondate o astrattamente formulabili sulla base della normativa vigente e quindi all’attuazione di questa, ma promuova lo sviluppo in senso democratico dell’ordinamento delle Forze armate e quindi concorra ad attuare i comandamenti della Costituzione"…;
- con sentenza n. 24 del 1989, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 184, secondo comma, c.p.m.p., che punisce le riunioni arbitrarie di militari in luoghi di militari, nei sensi di cui in motivazione, segnalando che "riunioni arbitrarie sono soltanto quelle a carattere sedizioso o rivoltoso e che la riunione, se è pacifica e disarmata e se è diretta a trattare senza animosità di cose attinenti al servizio o alla disciplina nell’intento di un inserimento partecipativo alla vita della caserma, lungi dall’essere pericolosa, può rappresentare mezzo di promozione e di sviluppo in senso democratico dell’ordinamento delle Forze armate"…;
- con sentenza n. 37 del 1992, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.15 secondo comma della legge 11 luglio 1978 n. 382 nella parte in cui non prevede che il militare sottoposto a procedimento disciplinare ha la facoltà di indicare come difensore nel procedimento stesso un altro militare non appartenente all’ente nel quale egli presta servizio, segnalando che "il condizionamento derivante dal vincolo di subordinazione gerarchica che caratterizza l’ambiente di vita del difensore può esser tale, in alcuni casi, da non garantire l’espletamento del mandato in modo adeguatamente imparziale e indipendente da pressioni esterne"…;
- con sentenza n. 126 del 1985 cit., punto 6 della motivazione, ha dichiarato, "…non importa obliterare quelle particolari esigenze di coesione dei corpi militari che si esprimono nei valori della disciplina e della gerarchia; ma importa negare che tali valori si avvantaggino di un eccesso di tutela in danno delle libertà fondamentali e della stessa democraticità dell'ordinamento delle Forze armate"…””.
Il Consiglio di Stato, inoltre, nel riassumere il suo ragionamento, affermò che
1. “... è già ammessa la costituzione di associazioni o circoli fra militari, anche se subordinata al preventivo assenso del Ministro della difesa (art. 8, comma 3, legge n. 382 cit.)…;
2. nemmeno potrebbe fondarsi l'esclusione della libertà sindacale sull’esigenza di non indebolire la disciplina militare. Le norme disciplinari, infatti, non subirebbero, con il riconoscimento della libertà sindacale, alcuna modifica..;
3. nel quadro normativo complessivo, non sembra ragionevole la diversità di disciplina rispetto alle Forze di polizia ad ordinamento civile, che godono della libertà sindacale…”.

Dopo tali apprezzabili premesse l’unica conclusione possibile, senza dover sacrificare logica, razionalità e ragionevolezza, era quella cui effettivamente giunse il Consiglio di Stato: “NON SI RAVVISANO MOTIVI PLAUSIBILI PER SOPPRIMERE PER I MILITARI UNO TRA I DIRITTI COSTITUZIONALMENTE GARANTITI, DI CUI LO STESSO ART. 3 DELLA L. 382/78 PREVEDE SOLTANTO LIMITAZIONI NELL’ESERCIZIO”.

In sintesi, il Consiglio di Stato, evidenziò alla Corte i seguenti punti fermi, che emergevano non già da proprie opinioni, bensì da precedenti pronunciamenti univoci e concordanti della stessa Corte Costituzionale:
a. La pacifica manifestazione di dissenso dei militari non esula dai dettami costituzionali.
b. I reclami collettivi e le riunioni a carattere non sedizioso non sono illecite, anzi possono rappresentare un mezzo di promozione e di sviluppo in senso democratico dell’Ordinamento delle Forze armate.
c. L’espletamento di un mandato richiede un’indipendenza ed un’imparzialità che mal si conciliano con i condizionamenti derivanti dal vincolo di subordinazione gerarchica.
d. In nome della tutela dei valori della disciplina e della gerarchia non possono essere sacrificate le libertà fondamentali e la stessa democraticità dell'Ordinamento militare.



3. ANALISI DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE NR. 449 DEL 13 DICEMBRE 1999.

La Corte Costituzionale, nel formulare le sue considerazioni di diritto, in effetti, ammette che “l’art. 52, terzo comma, della Costituzione parla di ordinamento delle Forze armate, non per indicare una sua (inammissibile) estraneità all’ordinamento generale dello Stato, ma per riassumere in tale formula l’assoluta specialità della funzione”.
La stessa, inoltre, ribadisce che la normativa dell’Ordinamento militare “non è avulsa dal sistema generale delle garanzie costituzionali”. In merito a tale punto, il giudice delle leggi ricorda che “nella sentenza nr. 278 del 1987, in cui vi è l’eco dei risultati cui è pervenuta la dottrina, la Corte ha osservato che la Costituzione repubblicana supera radicalmente la logica istituzionalistica dell’ordinamento militare, giacché quest’ultimo deve essere ricondotto nell’ambito del generale ordinamento statale rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini (in senso analogo, anche la successiva sentenza nr. 78/1989)”.
La Corte, come se non bastasse, stabilisce altresì che “LA GARANZIA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DI CUI SONO TITOLARI I SINGOLI CITTADINI MILITARI NON RECEDE QUINDI DI FRONTE ALLE ESIGENZE DELLA STRUTTURA MILITARE; SI’ CHE MERITANO TUTELA ANCHE LE ISTANZE COLLETTIVE DEGLI APPARTENENTI ALLE FORZE ARMATE, AL FINE DI ASSICURARE LA CONFORMITA’ DELL’ORDINAMENTO MILITARE ALLO SPIRITO DEMOCRATICO (v. le sentenze del Consiglio di Stato nn.rr. 24/89 e 126/85)”.
Dopo simili apprezzabili e ragguardevoli premesse, ben ancorate al testo costituzionale, chiunque si sarebbe aspettato di leggere l’unica conclusione possibile e coerente, cioè che l’art. 8 primo comma della L. 382/78 è incostituzionale nella parte in cui vieta ai militari di costituire associazioni professionali (diritti riconosciuti a tutti i cittadini - art. 39, primo comma Cost.).
Al contrario, nelle conclusioni, la Corte Costituzionale, prima, opera una virata nell’affermare che “rileva nel suo carattere assorbente il servizio, reso in un ambito speciale come quello militare (art. 52, primo e secondo comma, della Costituzione)”; poi perde quota nel ritenere che “la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 8, nella parte denunciata, aprirebbe inevitabilmente la via ad organizzazioni la cui attività potrebbe risultare non compatibile con i caratteri di coesione interna e neutralità dell’ordinamento militare”.


4. CONSIDERAZIONI DELL’AUTORE.

La Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, primo comma, della legge 382/78, ritenendo legittimo il divieto imposto ai militari di costituire associazioni professionali a causa della “specialità” del servizio svolto ed del rischio per la “coesione interna e la neutralità” dell’Ordinamento militare connesso all’esercizio di quel diritto.
Esaminando i due temi posti a fondamento della decisione della Corte, sorgono le considerazioni critiche che seguono.

LA VIRATA. Mi pare che il richiamo fatto dalla Corte all’art. 52, comma 1° e 2°, Cost. non abbia nulla a che vedere con la “specialità del servizio”, per i seguenti motivi:
· Il dovere di difesa della Patria è rivolto indistintamente a tutti i cittadini, e non solamente ai cittadini militari. Tale dovere potrebbe anche giustificare obblighi di mobilitazione civile ovvero atti di resistenza collettiva all’eventuale occupazione di Forze armate straniere.
· L’obbligatorietà del servizio militare atteneva al servizio di leva obbligatorio, quando era previsto, che imponeva a tutti i chiamati una prestazione personale a favore dello Stato.
Anche l’invocata disparità di trattamento tra gli appartenenti alle Forze armate e gli appartenenti alla Polizia di Stato mi sembra palesemente assurda.
La Corte afferma: “il legislatore ha sì riconosciuto una circoscritta libertà sindacale alla Polizia di Stato, ma ciò ha disposto contestualmente alla smilitarizzazione di tale Corpo, il quale ha, oggi, caratteristiche che lo differenziano nettamente dalle Forze armate”.
In altri termini, la Corte sembrerebbe sostenere che il riconoscimento del diritto sindacale per la Polizia di Stato è avvenuto solo a seguito della perdita del requisito di “specialità”, avvenuta con la smilitarizzazione. Ma un’attenta riflessione sulla natura giuridica dei due ordinamenti avrebbe dovuto condurre la Corte a conclusioni diametralmente opposte. Il Giudice Costituzionale, infatti, ha ignorato completamente l’art. 3, 1° comma della L. 181/81, a mente del quale “L’Amministrazione della Pubblica Sicurezza è civile ed ha un ordinamento speciale”. Pertanto, è pacifico che sia la Polizia di Stato che le forze di polizia militarmente organizzate e le FF.AA. abbiano un ordinamento “speciale” finalizzato allo svolgimento di un servizio “speciale”.

LA PERDITA DI QUOTA. La Corte nell’affermare che il riconoscimento del diritto di associazione non sarebbe compatibile con la “coesione interna e neutralità” dell’Ordinamento militare, esprime un giudizio di valore ovvero attribuisce giuridicità a ciò che è solamente un’opinione.
Se si volesse ammettere che il riconoscimento di quel diritto nuoce alla coesione interna ed alla neutralità dell’Ordinamento delle FF.AA., si dovrebbe giungere a conclusioni diametralmente opposte. Sarebbe stato più logico e coerente con l’Ordinamento generale riconoscere il diritto di costituire associazioni professionali agli appartenenti alle Forze armate e di polizia militarmente organizzate, piuttosto che alla Polizia di Stato.
Ciò in quanto i comportamenti dei primi nell’ambito del servizio sono minuziosamente descritti e presidiati dal Codice Penale Militare e dal Regolamento di Disciplina Militare; mentre i comportamenti degli appartenenti alla Polizia di Stato non sono previsti da un codice penale “ad hoc”.
Semmai si volesse ipotizzare un remoto rischio per la coesione del Corpo, connesso all’esercizio del diritto di associazione, certamente i più esposti sarebbero i cittadini della Polizia di Stato, piuttosto che i cittadini militari.
Mi spiego meglio con un esempio. Ipotizziamo che un poliziotto ed un cittadino militare si trovino in un luogo pubblico ad esercitare il diritto di associazione e di manifestazione del proprio pensiero e, perciò, venga contestato ad entrambi il reato di “Istigazione di militari a disobbedire alle leggi”. Ebbene, in questo caso il poliziotto subirebbe solo un processo dinanzi al Tribunale ordinario e forse un procedimento di Stato. Il militare, invece, di fronte a simili addebiti si ritroverebbe in un “campo minato” da cui sarebbe quasi impossibile uscire indenne, in quanto dovrebbe affrontare:
- un processo dinanzi alla Procura ordinaria per presunta violazione dell’art. 266 del Codice Penale;
- un processo dinanzi alla Procura Militare per la presunta violazione dell’art. 213 del Codice Penale Militare di Pace;
- un procedimento disciplinare per la violazione delle norme che regolano la disciplina militare, i cui esiti (arresti semplici o di rigore), macchierebbero in modo indelebile la sua carriera con ripercussioni negative anche sul futuro trattamento economico e pensionistico;
- infine, un procedimento di Stato previsto dagli artt. 914 e seguenti del Codice dell’Ordinamento Militare, le cui conseguenze potrebbero compromettere irrimediabilmente la sua permanenza all’interno dell’organizzazione militare.
Per tali motivi, non si riesce proprio a capire come sia possibile che il diritto di costituire associazioni professionali non costituisca alcun pericolo per la coesione interna del Corpo della Polizia, mentre rappresenti un rischio inaccettabile per la blindatissima coesione interna delle Forze armate e di polizia militarmente organizzate.

A questo punto non si può non condividere il pensiero della dottrina più autorevole ed attenta a tali problematiche: “il riconoscimento del diritto per gli appartenenti alle Forze armate di costituire associazioni professionali a carattere sindacale NON HA NULLA A CHE VEDERE CON LA “SPECIALITA’” DEL SERVIZIO NE’ CON LA COESIONE INTERNA E LA NEUTRALITA’ DELL’ORDINAMENTO MILITARE …. Si può tranquillamente affermare che mentre il Consiglio di Stato, con la questione di legittimità costituzionale sollevata, ha motivato le ragioni giuridiche dell’incostituzionalità dell’art. 8, 1° co. L. n. 382 cit., la Corte Costituzionale si è sottratta ai suoi compiti, ricorrendo, per giustificare la propria decisione, a ragioni che giuridiche non sono”. (Vedi S. Riondato, Atti del convegno “La Corte Costituzionale ed il diritto dei militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale”, Padova, 30 novembre 2000).

Prima delle conclusioni, ritengo opportune alcune precisazioni in merito al concetto di “limitazioni all’esercizio” previste dall’art. 8 della legge 382/78 e richiamate dal Consiglio di Stato nel suo atto di promovimento.
In particolare, intendo riferirmi a quella che dovrebbe essere l’estensione di dette limitazioni.
A tal proposito è necessario distinguere il diritto di sciopero dal diritto di costituire associazioni professionali. Il primo costituisce un interesse legittimo che ben può essere compresso in nome di un bene supremo (specialità del servizio - coesione interna e neutralità dell’Ordinamento militare). Il secondo rappresenta un diritto soggettivo che, per sua natura, dovrebbe godere delle massime tutele da parte dell’Ordinamento statuale. Per di più, il divieto di esercizio del diritto di sciopero non è mai stato oggetto di contestazione da parte della compagine militare, e difficilmente lo sarà in futuro. Anche se la Carta Costituzionale non ha previsto un espresso divieto all’esercizio del diritto di sciopero da parte dei militari, è mia convinzione che tale divieto derivi da altra Fonte, che ispirò i valori recepiti dai primi articoli della stessa Costituzione.
“Lo interrogavano anche alcuni soldati: E noi, che cosa dobbiamo fare?
Rispose loro: …accontentatevi delle vostre paghe” (Lc 3, 14, La Sacra Bibbia).
Quindi, una cosa è vietare l’esercizio del diritto di sciopero, ben altra cosa è vietare l’esercizio del diritto di costituire associazioni professionali.
Se è fuor di dubbio che il primo diritto, se concesso ed abusato, potrebbe incidere, attraverso la pretesa di “paghe” sempre più elevate, sulla spesa pubblica e sulla stabilità economica dello Stato, non si può escludere che la negazione del secondo, stia già incidendo su giustizia e legalità, influenzando i principi di efficienza, trasparenza e buon andamento di così vitali apparati dello Stato. Il fine di “assicurare la conformità dell’Ordinamento militare allo spirito democratico della Repubblica”, che la Corte ha ritenuto prioritario, sarebbe stato perseguito solo attraverso la concessione anche ai cittadini militari del diritto di costituire associazioni professionali. Negando tale diritto si sono create le condizioni affinché “i valori della disciplina e della gerarchia si avvantaggino di un eccesso di tutela in danno delle libertà fondamentali e della stessa democraticità dell’Ordinamento delle FF.AA.”, circostanza che la stessa Corte, in altra occasione, aveva inteso scongiurare, probabilmente perché foriera di pericoli di diversa natura.
Mi spiego meglio. Se si comprimono le libertà fondamentali dei cittadini militari si ottiene il risultato di separarli ed isolarli dal resto della società civile.
Tale isolamento potrebbe rivelarsi lesivo della stessa apoliticità del comparto militare, posta a garanzia della democrazia ed a presidio delle istituzioni democratiche.
La storia, e non solo del nostro Paese, ci insegna che nei momenti di crisi istituzionali e di forti tensioni politiche la separazione dei detentori del monopolio della forza dal resto della società civile è molto pericolosa e potrebbe riservare delle spiacevoli sorprese.


5. CONCLUSIONI.

Il nostro ordinamento giuridico riconosce la giustizia costituzionale come strumento idoneo per custodire la Costituzione anche dagli attacchi del potere politico. Però non individua meccanismi per rendere “i custodi” immuni dalla possibilità di cadere in errore. Anche essi possono, consapevolmente o no, esercitare le proprie funzioni in modo errato.
In effetti, la preoccupazione di custodire i custodi è antica quanto il peccato originale, è nata con l’uomo e resterà in vita finché l’uomo vivrà.
Non è un caso che il primo uomo, Adamo, fosse anch’egli un custode che deluse le aspettative di Chi lo aveva investito.
E’ a tutti nota la locuzione latina “Quis custodiet ipsos custodes?”, tratta dalla VI Satira di Giovenale, che letteralmente significa “Chi sorveglierà i sorveglianti stessi”.
Fu Platone, in un passo de “Le Repubblica”, a richiamare la locuzione con riferimento ai custodi dello Stato, che devono guardarsi dall’ubriachezza per non avere essi stessi bisogno di un guardiano.
Parecchio tempo dopo, in un diverso contesto storico-giuridico, Alexis de Tocqueville sosteneva che “a fianco di un despota che comanda, si trova sempre un giurista che legalizza e dà sistema alle volontà arbitrarie e incoerenti del primo. I re sanno costringere momentaneamente gli uomini ad obbedire…i giuristi possiedono l’arte di piegarli, quasi volontariamente, ad un’obbedienza durevole. E dove queste due forze s’incontrano, si stabilisce un dispotismo che lascia appena respirare l’umanità”. (Frammenti storici sulla rivoluzione francese, trad. it., Milano 1943, 89).
Nonostante il superamento delle ideologie legate a quel periodo storico grazie alla rivoluzione francese ed alla nascita dello Stato democratico, quel pensiero non è mai tramontato e di recente è stato rielaborato dal filosofo Giorgio Agamben, nei seguenti termini: “l’aspetto normativo del diritto può essere così impunemente obliterato e contraddetto da una violenza governamentale che, ignorando, all’esterno, il diritto internazionale e producendo, all’interno, uno stato d’eccezione permanente, pretende tuttavia di stare ancora applicando il diritto”.
E’ evidente che le preoccupazioni alla base di queste riflessioni, sopravvissute a tutte le forme di governo ed ai rispettivi ordinamenti giuridici, non dipendono né dalle strutture né, tantomeno, dalle istituzioni, ma traggono origine da comportamenti che albergano nel cuore dell’uomo sin dalla sua creazione.
Quali sono i possibili rimedi? Nel caso concreto, come si possono custodire i custodi della Costituzione da attacchi e condizionamenti?
Non c’è soluzione, non esiste una risposta risolutiva a tale annoso dilemma.
Si possono individuare solo dei rimedi palliativi. A tal proposito riporto le riflessioni di un giurista molto apprezzato dal mondo accademico, Luigi Ferrajoli, il quale in un suo interessantissimo scritto, dopo aver rifiutato l’esistenza, anche in democrazia, di un “potere buono”, suggerisce ai “custodi della Costituzione” i consigli che seguono.
a. Usare in modo più rigoroso, anche dal punto di vista linguistico, l’onnivoro canone della ragionevolezza-razionalità-equità.
b. Redigere motivazioni percorse da razionalità unitaria e univoca, nelle quali il fine pubblico di rendere intelligibili le ragioni della decisione prevalga su quello autoreferenziale di dare conto di tutte le opinioni che si sono espresse nel corso della discussione in camera di consiglio.
c. Cercare di dare coerenza alla propria narrazione giurisprudenziale attraverso le diverse pronunce nel corso del tempo, evitando oscillazioni giurisprudenziali frequenti o immotivate, pur in un’inevitabile dimensione evolutiva.
d. Ancorare sempre le decisioni al “testo” costituzionale più che ad un evanescente “spirito costituzionale” o a “valori”, che possono divenire tiranni, se posti nelle mani sbagliate.
Si auspica che tali consigli vengano recepiti dalla Corte Costituzionale semmai in futuro verrà investita nuovamente delle problematiche fin qui analizzate.
Tali consigli, sostiene Luigi Ferrajoli, non hanno il fine di indebolire la Corte Costituzionale, ma, al contrario, quello di rafforzarne l’autorevolezza, rendendola immune dagli attacchi che, sempre più forti e frequenti, le vengono mossi da più parti e dalla politica in particolare.(L. Ferrajoli, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2007).
Mi piace sintetizzare il comune denominatore alla base delle riflessioni sopra citate, nel modo seguente.
Nessun potere, né costituente, né costituito, può essere lasciato da solo senza regole sotto l’albero della conoscenza del bene e del male.


Cleto Iafrate
Associazione civica FICIESSE

sabato 11 dicembre 2010

SICUREZZA: LUNEDI' A ROMA SINDACATI POLIZIA E VIGILI DEL FUOCO PER PROTESTE CONTRO TAGLI

lpd: SICUREZZA: LUNEDI' A ROMA SINDACATI POLIZIA E VIGI...: " = Napoli, 11 dic. - (Adnkronos) - Lunedi' prossimo, un giorno prima del voto sulla fiducia al governo, i sindacati della Polizia d..."

IMPORTANTI PRECISAZIONI SULLE PENSIONI DAL 2011

lpd: Ministero dell'Interno circolare n. 557/RS/01/71/2...:

Ministero dell'Interno circolare n. 557/RS/01/71/2567 del 9 dicembre 2010 Oggetto: Art. 12 del D.L. 31.05.2010 n. 78 convertito con modifiche nella L. 30.07.2010 n. 122 Interventi in materia pensionistica. Circolare Inpdap n. 18 dell'8.10.2010. Ulteriori precisazioni.

martedì 7 dicembre 2010

venerdì 3 dicembre 2010

SICUREZZA: SINDACATI POLIZIA IN PIAZZA, 'GOVERNO INADEMPIENTE

lpd: SICUREZZA: SINDACATI POLIZIA IN PIAZZA, "GOVERNO I...: "SICUREZZA: SINDACATI POLIZIA IN PIAZZA, 'GOVERNO INADEMPIENTE' = (AGI) - Roma, 3 dic. - 'Si rafforzano le motivazioni che ci hanno port..."

Pdl ritira emendamento finanziamenti Comparto Difesa e Scicurezza.



Roma, 2 dic. (Apcom) - L'Aula della Camera ha approvato il decreto sicurezza. I sì sono stati 299, 9 i no, astenuti gli altri. Il Pd si è astenuto spiegando che col testo, che ora passa all'esame del Senato, "sono stati fatti passi avanti" ma "serviva più coraggio".

Nonostante l'ampia maggioranza con cui è stato approvato il provvedimento, non mancano le critiche al testo che per l'opposizione rappresenta "un'occasione sprecata" soprattutto per il mancato finanziamento alla specificità delle forze di polizia: l'emendamento che andava in questa direzione, messo a punto da Beatrice Lorenzin (Pdl), e condiviso da tutti i gruppi è stato infatti ritirato. Una mossa "gravissima" anche secondo Futuro e Libertà.

Il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano ha spiegato che "in presenza di tagli a tutti i settori dello Stato, il governo ha comunque mantenuto un'attenzione particolare al settore della sicurezza in sede di manovra economica con l'istituzione di un fondo che per il 2011 e per il 2012 prevede uno stanziamento di 80 milioni. Prima ancora era stato istituito il fondo unico giustizia con risorse che ammontano a 2 miliardi e 200 milioni di euro, di cui il 49% è destinato al Viminale, il 49% al ministero della Giustizia e il 2 al bilancio dello Stato". Quanto al finanziamento della specificità, ha informato Mantovano, "sono necessari degli approfondimenti tecnici che non mancheranno nelle prossime settimane". La norma sulla specificità delle forze di polizia, ha precisato il Pdl Giuliano Cazzola, era contenuta nel collegato lavoro ed è entrata in vigore il 24 novembre scorso: "Mi sembra giustificato un governo che in sette giorni non riesce a finanziare una norma".
Secondo il democratico Marco Minniti maggioranza e governo dicono il falso perché "la specificità non è stata introdotta da questo governo ma con un largo voto parlamentare nel '99 da un governo di centrosinistra. Avete fatto contratti con i soldi stanziati da noi, voi non avete messo una lira". Quanto alle cifre date da Mantovano, Minniti commenta: "Fate il gioco delle tre carte, parlate di miliardi di euro ma per la benzina nelle macchine della polizia non c'è una lira. Dovreste vergognarvi e chiedere scusa". (Apcom)

2 dicembre 2010

mercoledì 1 dicembre 2010

La Camera dei Deputati discute oggi la conversione...

La Camera dei Deputati discute oggi la conversione in legge del "Pacchetto Sicurezza" che dovrebbe essere modificato con le modalità descritte da un emendamento che recepisce le richieste fatte dai sindacati di Polizia del "cartello" al Ministro Maroni relativamente all'esclusione dal blocco triennale delle varie indennità che compongono la struttura stipendiale.

martedì 30 novembre 2010

Pensioni, finestre mobili: i sindacati di polizia sollecitano l'Inpdap

La Consulta Sicurezza (SAP, SAPPe e SAPAF), la piu' grande organizzazione per numero di aderenti del Comparto Sicurezza, ha scritto nei giorni scorsi all'Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell'Amministrazione Pubblica (Inpdap) per chiedere, anche per le Forze dell'Ordine, l'estensione della disciplina derogatoria relativa alle cosiddette "finestre mobili": una sacrosanta e fondamentale istanza che anche il Ministro Maroni si e' impegnato a portare avanti a seguito delle nostre pressioni.
link:
..:: Sindacato Autonomo di Polzia ::..

venerdì 26 novembre 2010

giovedì 25 novembre 2010

AUMENTO CONTRATTUALE ED ARRETRATI 2009-2010 IN PAGAMENTO CON LO STIPENDIO DI DICEMBRE (15 DICEMBRE 2010)?????


AUMENTO CONTRATTUALE ED ARRETRATI 2009-2010

IN PAGAMENTO CON LO STIPENDIO DI DICEMBRE

(15 DICEMBRE 2010)

ABBIAMO APPENA APPRESO LA NOTIZIA, E LA COMUNICHIAMO A TUTTI GLI ISCRITTI SAPPE E COLLEGHI DELLA POLIZIA PENITENZIARIA, CHE SUL PROSSIMO STIPENDIO DI DICEMBRE SARA’ COMPRESO L’AUMENTO CONTRATTUALE 2009-2010 E SARANNO PAGATI GLI ARRETRATI.

LE SPETTANZE ( STIPENDIO – TREDICESIMA MENSILITA’ - ARRETRATI) SARANNO ACCREDITATE A TUTTI GLI AVENTI DIRITTO IL 15 DICEMBRE 2010.

GLI ARRETRATI CONTRATTUALI SONO STATI QUANTIFICATI PER UNA CIFRA MEDIA DI CIRCA 1000 EURO NETTI.

http://www.sappe.it/file_pubblici/comunicato%2025nov10.pdf

Comparto Sicurezza - Interventi in materia pensionistica e previdenziale -

lpd: Comparto Sicurezza - Interventi in materia pension...: " "

Circolare esplicativa Ministero dell'Interno 23 novembre 2010 n. 557/RS/ 01/71/2567

lunedì 22 novembre 2010

Il ruggito di Catarella


Terribile, ammonisce la Bibbia, è l’ira del mite.
Perché il mite, a differenza dell’irascibile, accumula, accumula ma quando s’incazza, non conosce mezze misure.
Nella finanziaria di quest’anno, alla missione numero 7 (ordine pubblico e sicurezza), Il Governo, che più di tutti gli altri è impegnato nella lotta al crimine, assesta un ulteriore durissimo colpo ai delinquenti tagliando 146 milioni di euro (146,51) ai fondi per i poliziotti.
Inoltre, poiché quest’anno lo stesso governo intende assistere anche le vittime della mafia, più di quanto sia stato mai fatto da chiunque, taglia di 24 milioni di euro (24,8) il fondo di solidarietà per le vittime della mafia.
Il Ministro dell’Interno è contento perché NOI arrestiamo i latitanti, e più ne arrestiamo più il Governo riduce i soldi a nostra disposizione, e più è importante il criminale più è consistente il taglio. I colleghi della Mobile di Palermo sono avvisati; quando arresteranno Matteo Messina Denaro, potrebbe esserci il rischio di lasciare qualcosa del loro stipendio nelle casse dello Stato. Qualcuno potrebbe dire: qui il concetto di produttività è inversamente proporzionale alle risorse.
Una filosofia originale, quella del Governo, del tutto contraria, volendo, a quella che pervade la gestione del personale nel mondo dell’impresa; ma che mantiene, comunque, un suo sinistro fascino.
Nel privato, ad esempio, se uno è bravo, viene strapagato. Se non è bravo, viene pagato in modo ordinario, se è proprio negato, gli danno una carica in un ente pubblico oppure lo fanno direttore delle ferrovie o di una rete Rai.
Nel nostro settore, invece, se i poliziotti fanno bene anzi benissimo il proprio mestiere, vengono pagati di meno, gli vengono tolti i mezzi per lavorare, e, se proprio sono bravissimi, vengono tenuti persino a digiuno.
Magri e affamati, come lupi famelici, così il generale Massimo voleva i suoi legionari ne “ Il Gladiatore”. Magri e affamati come iene incazzate, così il generale Silvio vuole i suoi poliziotti. E ce la mette tutta, davvero tutta, per riuscirci.
Spegnete le luci, accendete i riflettori, lo spettacolo ancora una volta si ripete, il copione è quello che già conoscete:
1. Annuncio di clamorosi provvedimenti contro la mafia-
2. Emanazione del clamoroso pacchetto sicurezza, e cocente delusione degli addetti ai lavori, i quali scoprono che esso è assolutamente inutile per contrastare il crimine e spesso dannoso per l’ordinaria attività dei poliziotti.
3. Brillante operazione di polizia e magistratura con la quale nulla, ma proprio nulla c’entrano il Governo e i suoi pacchetti, anzi la brillante operazione è stata fatta nonostante il primo e a prescindere dai secondi.
4. Foto ricordo del massimo responsabile dell’interno che scherza amabilmente con gli operatori, indossando a richiesta il mefisto dei Nocs o suonando il campanaccio della Catturandi di Palermo.
5. Emanazione di altro clamoroso provvedimento di natura essenzialmente economica con il quale vengono disposti ulteriori tagli, sacrifici, restrizioni e ulteriori penalizzazioni per gli operatori di polizia.
E’, essenzialmente, l’antimafia dei “fatti”.
Bisogna, infatti, essere “fatti”, completamente “fatti”, per pensare che la mafia si possa sconfiggere tagliando le spese della sicurezza e riducendo alla fame i poliziotti.
E siccome gli argomenti non ci mancano, prendiamo ad esempio quello che è successo nell’ultima settimana.
Venerdì scorso il Governo ha varato un altro pacchetto sicurezza. Ho perso il conto, dovrebbe essere il quinto o il sesto dell’ultimo quinquennio.
Atteso dai più come la soluzione finale ai drammi della nazione appare, come suggerisce la parola stessa un rimedio minimo per il male che continua a crescere nel Paese.
I punti salienti sono quelli illustrati ai mass media dal Governo in conferenza stampa:
Primo punto; il prefetto renderà obbligatorie, con proprio provvedimento, le ordinanze del sindaco in materia di sicurezza urbana, visto che sinora nessuno se le filava, anche perché nessuno sapeva cosa diavolo fosse la sicurezza urbana, quella inurbana e quella di quartiere, e c’è voluto un altro provvedimento del Ministro dell’Interno che lo spiegasse.
Secondo punto; le prostitute “da strada” possono ora essere passibili di foglio di via, mentre quelle di lusso, le “escort” rimangono tranquille dove stanno, e se qualcuno le porta in questura interviene la telefonata di turno a “seguire la faccenda”.
Terzo punto; i cittadini comunitari non in regola con la direttiva europea 38/2004, quella che stabilisce che se un cittadino dell’unione europea vuole risiedere stabilmente in un Paese qualsiasi della stessa deve dimostrare di avere reddito, abitazione e buona condotta, possono essere invitati ad andarsene. Se poi non se ne vanno, possono essere rintracciati ed espulsi, ma dove rintracciarli rimane un mistero visto che non hanno né un domicilio né un posto di lavoro.
Quarto e ultimo punto; viene potenziata la famosa Agenzia per l’utilizzo dei beni confiscati e sequestrati alla mafia, perno centrale dell’azione antimafia del governo, in quanto destinata a trovare con la sua attività i soldi necessari per reintegrare i tagli che il governo attua a ogni finanziaria sugli straordinari, sugli equipaggiamenti e, da ultimo, sul vitto dei poliziotti. Agenzia che, finora è riuscita a trovare i fondi necessari (320 mila euro all’anno) per affittare una sede comoda nel centro di Roma dove ospitare i suoi sedici dipendenti, mentre i tagli degli ultimi due anni alla sicurezza superano i tre miliardi di euro e minano l’operatività delle forze di polizia.
Questo il pacchetto di questo Governo.
Poi, il martedì successivo, i poliziotti di Napoli e di Caserta, usando lo strumento prezioso delle intercettazioni telefoniche, che questo governo ha cercato la scorsa estate di eliminare o almeno di ridurre in maniera consistente, e non c’è riuscito solo perché i sindacati di polizia hanno avviato una colossale protesta, e lavorando “ a gratis” perché nessuno pagherà loro tutti gli straordinari, le missioni e le notti perse dietro i telefoni, ascoltano una frase in codice.
C’è un tale, sospettato che a metà novembre ha una strana esigenza di comprare un panettone con l’uva passa, e i colleghi, che di mestiere fanno i poliziotti, per fortuna, e non i politici, né gli scrittori di successo, capiscono di dover agire; così viene arrestato il capo dei casalesi Antonio Iovine, il "ninno bello” che ogni sbirro che si rispetti avrebbe voluto ammanettare.
Questi i fatti; un arresto che nulla c’entra con i provvedimenti del Governo sui sindaci, sulle escort e sulle Agenzie di confisca, un arresto anzi che non sarebbe stato possibile se il Governo fosse riuscito a varare la sua legge contro le intercettazioni; un arresto che forse sarebbe arrivato prima se il Governo avesse evitato i pesanti tagli che ha operato ai bilanci della sicurezza.
Passiamo alla parte finale del copione: mentre i poliziotti, soli e contrastati dalla famiglia, come il buon Eduardo De Filippo di “ Natale in casa Cupiello”, fanno il loro presepe, divampa nel Paese la polemica tra l’antimafia dei fatti e quella della chiacchere.
Al governo non par vero di far proprio questo ulteriore, straordinario risultato dei poliziotti, e il ministro dell’interno si precipita a Napoli per complimentarsi coi colleghi. E fin qua ci stiamo, dopotutto il ministro dell’interno è lui e, a parte qualche scivolone sulle ronde e sulle ordinanze dei sindaci, e nonostante la sua assenza ingiustificata sul fronte dell’opposizione ai tagli della sicurezza, almeno ha il merito di non ostacolare l’attività operativa dei poliziotti.
Non ci stiamo, invece, quando un altro ministro, quello della giustizia, si unisce alla comitiva per festeggiare il successo della polizia e della magistratura, e, dopo aver festeggiato, aggiunge sornione in conferenza stampa un messaggio alla nazione:
“ Avete visto che risultati abbiamo avuto grazie al circuito virtuoso di leggi e azioni che il governo ha saputo mettere in atto"? Be’, tenete presente che se questo governo dovesse finire, questi risultati non ci saranno più.”
Ecco, questo è troppo, decisamente troppo, insopportabilmente troppo.
Questo vuol dire fregarsene della verità della giustizia della lotta alla mafia e degli sforzi fatti da poliziotti, carabinieri, finanzieri e magistrati, e pensare esclusivamente ai propri interessi partitici.
Questo vuol dire dar corpo, dopo l’antimafia delle chiacchere e dopo l’antimafia dei “fatti”, all’antimafia dei pinocchietti, a quell’antimafia cioè che della vera lotta alla mafia non gliene importa un fico secco, e s’appropria dell’altrui lavoro per vantare meriti che non ha.
Perchè i meriti di questi importanti risultati vanno innanzitutto a quegli uomini e a quelle donne che in silenzio, mentre l’onorevole Santanchè si prepara per il talk show del giovedì centrato sui meriti del governo Berlusconi in tema di lotta al crimine, si chiudono in un furgoncino e si preparano ad una lunga notte di novembre in appostamento;
a quegli stessi che, mentre l’onorevole Brunetta li insulta dal palco di Cortina d’Ampezzo, si danno il cambio in sala intercettazioni ingoiando un panino tonno e pomodoro;
a quegli stessi che, mentre l’onorevole La Russa li definisce una cinquecento paragonati alla Ferrari, anticipano i soldi per la benzina dell’auto di servizio altrimenti non possono pedinare il balordo che li porterà nel rifugio del boss, togliendoli da uno stipendio che per l’onorevole rappresenterebbe la paghetta del figlio maggiore.
A quegli stessi che subiscono in silenzio tutto l’ambaradan del carrozzone politico, annessi e connessi, perchè abituati da secoli a lavorare senza protestare, purché vengano rispettate alcune condizioni sine qua non.
E’ gente, questa, che non fa sconti, neanche ai propri capi. Neanche ai capi della polizia.
Perché se è vero che la polizia fa miracoli, da alcuni anni a questa parte, questo non è dovuto né al circuito virtuoso del governo in carica, né ai circuiti virtuosi dei governi precedenti, ma ad uno staff di uomini messo su dagli ultimi capi della polizia che vengono, guarda caso, dall’esperienza investigativa, e che sanno puntare sulla forza dell’esempio e sulla stima dei propri collaboratori, condividendo i sacrifici, i successi e le responsabilità degli insuccessi.
A questi uomini, a questo staff, a questi Capi è da attribuire il merito dei risultati straordinari della lotta alla criminalità, che ha contrassegnato l’azione delle forze di polizia degli ultimi anni.
Altro che circuiti virtuosi, Santanchè e Brunetta, fogli di via alle prostitute e lodi Alfano.
E stia tranquillo il ministro della giustizia; questi risultati continueranno, anche se il suo governo dovesse cadere, perché la verità è che ogni poliziotto lavora per il bene della collettività, non per quello del governo.
Il quale può solo agevolare l’azione di polizia o scoraggiarla, ma non ostacolarla o impedirla. E, da questo punto di vista, le idee dei poliziotti sono abbastanza note: questo Esecutivo scoraggia di fatto, con una lunga serie di provvedimenti inefficaci ed una spietata politica di tagli, l’azione delle forze di polizia. Ma non può impedirla.
Ci vuole ben altro per impedirla; ad esempio l’azzeramento dei vertici investigativi, dal direttore della direzione centrale anticrimine al direttore del servizio centrale operativo per esempio, gli uomini che stanno davvero dietro tutti i successi degli ultimi dieci anni di antimafia.
O il cambio della guardia ai vertici delle squadre mobili, che vantano oggi un parterre di investigatori ex giovani formati alla scuola dello Sco degli ultimi capi tutti provenienti dalle fila della Polizia.
O, più semplicemente, il mancato rispetto di una delle condizioni sine qua non di cui si parlava poc’anzi; il bisogno, per i tanti uomini che producono questi risultati, di avere superiori valorosi, autorevoli, credibili, pronti a dividere i sacrifici e a fornire l’esempio ai propri colla-boratori.
Quando l’esempio c’è, il meccanismo funziona, perché l’uomo si sente parte del tutto, ed allora passano in secondo piano i tagli, le ristrettezze, i provvedimenti sballati, le auto che non ci sono, gli sberleffi del ministro, i lazzi dell’onorevole e le spacconate del politicante. Allora il poliziotto lavora e raggiunge l’obiettivo.
Quando invece l’esempio viene a mancare anche nelle piccole cose, in quelle ritenute a torto di scarsa rilevanza, allora il meccanismo s’inceppa, l’uomo non si sente più parte del sistema, e allora il superiore cessa di essere credibile, autorevole e degno di essere assecondato, e diventa un padrone del quale non si accettano né vizi né vizietti.
Allora scatta la ribellione, e nulla viene più fatto passare in cavalleria.
Bisogna fare attenzione, poco prima che questo accada, al ruggito di Catarella.
Chi è Catarella? E’ l’appuntato apparentemente indolente e un po’ svogliato del commissario Montalbano, è l’ultimo della scala gerarchica, quello che si sacrifica quando il questore pretende un volontario per il corso d’informatica e nessuno ci vuole andare, è quello che ha soltanto superiori e neanche un subordinato, è quello che non parla un perfetto italiano e butta giù la porta ogni volta che deve entrare nell’ufficio del capo.
Ma è anche uno sbirro vero, che riesce, col suo modo semplice e preciso di ragionare a risolvere i casi più complessi, quelli sui quali persino il commissario ci sbatte le corna.
Catarella, così si firma un collega della Questura di Forlì. Una questura come tante altre, con gli stessi problemi di tante altre, causati dalla penuria di risorse e dalla mancanza di personale; ed una aggravante in più: i vertici della questura, in alcuni momenti critici, anziché dividere le difficoltà col personale, si fanno gli affari loro. Così, durante un servizio di o.p., mentre la “truppa”, di cui Catarella fa ovviamente parte, viene costretta a consumare, sul marciapiede, uno scarno sacchetto-mensa, per così dire, formato da una scatoletta di tonno ed una “fiesta” con data di scadenza passata da un bel pezzo, e quindi immangiabile, i “comandanti”, di nascosto, questore in testa, si appartano nella saletta vip del ristorante per pasteggiare con ben altro banchetto.
E’ qui che l’anonimo Catarella ruggisce; e, anziché abbozzare come sicuramente avrebbe fatto se i suoi funzionari avessero gestito meglio la situazione, si mette a fotografare le merendine scadute, i colleghi che fanno scolare l’olio verdognolo delle scatolette sul marciapiede, ed il cumulo delle fieste scadute e pertanto non consumate. Poi, non soddisfatto, fa in maniera che alcuni rappresentanti sindacali vadano a contattare, con una scusa, i funzionari appartati in sala vip, i quali, imbarazzati, e vistisi scoperti, si danno alla chetichella, ad uno ad uno, come bimbi sorpresi a far la marachella.
Infine, non contento, butta giù un resoconto del fattaccio e lo manda al Siulp di Forlì, stigmatizzando l’accaduto.
Bene, anche noi vogliamo dare il nostro contributo a questa giusta causa che sicuramente non ha ad oggetto comportamenti illeciti della nostra classe dirigente, ma un pochino ridicoli sì.
Terribile è l’ira del mite, suggerisce la Bibbia; il ruggito di Catarella è il segnale d’allarme che i vertici della polizia di Stato devono ascoltare con la dovuta attenzione prima che la situazione diventi difficile.
Perché se il governo dovesse cambiare, l’attività di polizia continuerà sicuramente a dare risultati di alto livello come quelli degli ultimi anni.
Se Catarella s’incazza, no.

Felice Romano

Segretario Generale SIULP

giovedì 11 novembre 2010

NUOVO CODICE DELL'ORDINAMENTO MILITARE


NOSTALGIE DEI TEMPI DEL GEN. PES DI VILLAMARINA?

Esiste un rapporto inverso tra il livello di democrazia e di civiltà raggiunto da uno Stato ed il numero dei suoi cittadini esclusi dalla partecipazione alla vita ed al dibattito politico.

Lo Stato che riuscirà ad assicurare a tutti i suoi residenti il pieno godimento dei diritti civili e politici avrà raggiunto il massimo grado di democrazia e di civiltà auspicabile. I suoi cittadini si sentiranno sovrani e sudditi allo stesso tempo. In quello Stato, la politica opererà alla luce del sole, senza temere il confronto con alcuna categoria di persone.

Al contrario, lo Stato assolutista tenderà ad accentrare il potere decisionale, negando, con diverse motivazioni, la partecipazione alla vita politica dei suoi cittadini, che considera tutti alla stregua di sudditi.

Naturalmente tra questi due casi estremi vi sono tanti casi intermedi. Quando uno Stato liberale prende una direzione assolutista, i primi a percepirlo sono proprio i militari, in quanto divengono destinatari di provvedimenti via via sempre più restrittivi delle loro libertà costituzionali. Tali provvedimenti si inseriscono in un più complesso disegno teso a relegare i detentori del monopolio della forza in una condizione di obbedienza cieca e muta.

Orbene, nei mesi scorsi, quando tutti i quotidiani erano impegnati a pubblicare una certa piantina di una casa monegasca e le misure di un tal progetto di cucina, e molti erano concentrati a sovrapporre l’una all’altra al fine di verificare la corrispondenza delle misure, veniva varato, con il D.Lgs 66/2010, il “Codice dell’Ordinamento Militare”, entrato poi in vigore il 9 ottobre 2010. Lo scopo dichiarato era quello di abrogare circa mille atti normativi (per un totale di circa 2.500 articoli di legge), emanati dal 2 aprile 1885 al 1° gennaio 2010, al fine di semplificare l’intera materia, sopprimendo tutte le norme inutili. Tale fine è stato perseguito raggruppando in un solo corpo legislativo (il D.Lgs 66/2010) ben 2.272 articoli.

In realtà, si è semplificato solamente l’esercizio della memoria: prima del 9 ottobre 2010, era necessario ricordare sia la legge che i singoli articoli; da questa data in poi, è sufficiente ricordare (re-imparare) solo i singoli articoli della comune legge.

Per esempio, l’art. 9 dell’abrogata legge 382/78, a mente del quale “I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”, è stato accolto dall’art. 1472 del D.Lgs. 66/2010.

Nel procedimento di traslazione dalla L. 382/78 al D.Lgs. 66/10 il dispositivo è stato modificato con l’aggiunta di due semplici parole che, però, restringono inesorabilmente i diritti civili e le libertà democratiche dei militari.

La nuova formulazione dell’art. 1472, infatti, recita testualmente: “I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare, di servizio O COLLEGATI AL SERVIZIO per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”.

In merito allo strumento normativo utilizzato, quale fonte di produzione, sicuramente bisognerà approfondire se siano stati violati i limiti contenuti nella delega.

Il dubbio non è di poco conto: se si dovesse accertare la violazione di tali limiti, si dovrebbe ammettere che è stato approvato un atto legislativo apertamente in conflitto con i dettami della Costituzione. E’ notorio, infatti, che un atto emanato dal solo esecutivo non possa comprimere i diritti già riconosciuti e garantiti da una legge ordinaria, emanata dal Parlamento sovrano in un fecondo clima dialettico in cui trovano spazio anche le volontà delle minoranze e dell’opposizione.

Non a caso il giudice costituzionale ha, a più riprese, sollecitato l’impiego di criteri direttivi il più possibile circoscritti, qualora la delega vada ad incidere sulle libertà costituzionali e sui diritti fondamentali (sentt. 250/1991; 53/1997; 49/1999; 427/2000; 251/2001; 212/2003).

Al di là di qualsiasi considerazione di carattere giuridico, riservata al mondo accademico, sembrerebbe che l’art. 1472 abbia riportato il nostro Paese indietro di almeno 280 anni, quando le forze armate erano concepite “per sorreggere il trono”. Concezione che ha trovato il suo migliore interprete nel Generale Pes di Villamarina, che fu ministro della guerra dal 1832 al 1847, secondo cui occorreva vietare “con rigore, non pure nelle caserme, ma nei privati domicili, al militare gregario e graduato, qualunque studio, qualunque lettura, anche di argomento militare, sì che un ufficiale scoperto autore di qualche scritto o perdeva il grado, o vedeva preclusa ogni via di avanzamento” (Cfr. “Forze armate e Costituzione”, pag. 101, F. Pinto, Marsilio editori).

Appare, quindi, poco convincente la tesi secondo cui per garantire le libere istituzioni democratiche è necessario vietare al cittadino militare la divulgazione di notizie che, benché non coperte da segreto, siano (in modo non meglio specificato) “collegate al servizio”.

Per di più, la nuova formulazione della norma offre una grandissima discrezionalità alle autorità militari, che potendo ritenere ogni opinione espressa collegata lato sensu al servizio, possono impedire che trapeli all’esterno, nella società civile, qualsiasi problematica che agita ed inquieta il mondo militare.

Inoltre, ad un precetto così vago ed indeterminato, come quello in esame, corrisponde una sanzione ben definita e, soprattutto, penalmente rilevante, circostanza che contrasta con l’art. 13 della Costituzione e con l’art. 1 del C.P.. Infatti, il punto 6) dell’art. 751 del DPR 90/10 dispone che la violazione dell’art. 1472 del D.Lgs. 66/10 è punita con la sanzione della consegna di rigore (arresti di rigore), che comporta l’obbligo di rimanere in un apposito spazio dell’ambiente militare o nel proprio alloggio per un massimo di 15 giorni.

Ritengo che il cittadino militare debba essere totalmente integrato nella vita democratica del nostro Paese. Le sue preoccupazioni e le sue istanze dovrebbero godere della massima visibilità; sostenere il contrario significherebbe guardare con nostalgia ad esperienze che, fortunatamente, la storia ha ormai archiviato e si auspica che non vengano mai più riproposte. Tali esperienze nel passato hanno trovato, proprio nella separazione del comparto militare dal resto della società civile, terreno fertile per il loro progressivo consolidamento e successiva degenerazione.

Il tentativo di isolare il cittadino militare dal resto della società, perciò, appare una strada molto pericolosa, che lede proprio quella posizione di apoliticità delle FF.AA. e delle Forze di polizia militarmente organizzate, posta a presidio delle istituzioni democratiche.

Il miglior rimedio contro tali pericoli consiste in un ripensamento del ruolo del militare all’interno della società, egli deve poter vivere con coscienza la vita della nazione e tenere sempre nella più alta considerazione individuale la salvaguardia del sistema costituzionale.

Le riforme che comprimono i diritti costituzionali dei cittadini militari, fatte passare per difendere l’apoliticità degli stessi, il più delle volte nascondono una decisa scelta politica. Tale scelta si sostanzia nella necessità di avere cittadini militari subordinati, non tanto alla legge, quanto piuttosto alle esigenze perseguite, attraverso l’apparato esecutivo, dai gruppi più forti presenti nella realtà civile e sociale del paese.

L’apoliticità va pensata come una “strada a doppio senso di marcia”, il militare va garantito, oltre che dalle insidie provenienti dall’esterno, anche da quelle, eventualmente, provenienti dall’interno, “si rischiano incidenti” quando una delle due forme di garanzie viene sacrificata a vantaggio dell’altra.

Concludo con una significativa poesia, attribuita impropriamente al poeta e drammaturgo tedesco Bertolt Brecht, ma che in realtà è stata ripresa dalla predicazione di un pastore luterano e teologo tedesco Martin Niemöller (1892-1984), che così recita:

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingarie fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebreie stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,e non c’era rimasto nessuno a protestare …”

Cleto Iafrate
(associazione civica FICIESSE)

martedì 9 novembre 2010

LA TASSAZIONE SEPARATA SUGLI EMOLUMENTI ARRETRATI

Gli emolumenti arretrati sono tutti quelli che per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, sono corrisposte per anni precedenti a quello in cui vengono percepite. L’imposta sugli arretrati si calcola applicando all’ammontare percepito l’aliquota media derivante dal reddito complessivo dei due anni precedenti.

Esempio:

Arretrati percepiti nel 2009 € 2.500,00

Calcolo aliquota media:

Nel 2008 il reddito (campo 1 del CUD) è stato di € 35.500,00 con una tassazione calcolata di € 9.810,00 pari al 27,64% Nel 2007 il reddito (campo 1 del CUD) è stato di € 34.500,00 con una tassazione calcolata di € 9.430,00 pari al 27,33%

La media dei due anni precedenti risulta quindi:

27,64 + 27,26 / 2 = 27,48

Sui 2.500,00 Euro si applicherà l’aliquota del 27,48%, quindi le ritenute saranno di 687,12.

Se in uno dei due anni anteriori non vi è stato reddito imponibile si applica l’aliquota media derivante dal reddito complessivo dell’altro anno; se non vi è stato reddito imponibile in nessuno dei due anni si applica l’aliquota prevista per il primo scaglione di reddito (attualmente 23%).

Il datore di lavoro effettua la ritenuta (a titolo d’acconto) considerando quale reddito complessivo il totale dei redditi di lavoro dipendente da lui corrisposti nel biennio precedente al lavoratore.

Se il lavoratore possiede altri redditi, sarà l’Agenzia delle Entrate a rideterminare l’Irpef effettivamente dovuta, applicando il sistema di tassazione più favorevole al contribuente.


CALCOLA LA TASSAZIONE:
http://www.globallaboratory.it/pit/tass_separata_arretrati.htm

Circolare del 05/02/1997 n. 23 - Min. Finanze - Dip. Entrate Aff. Giuridici Serv. III

Imposta sul reddito delle persone fisiche - Redditi soggetti a tassazione separata - Sentenza della Corte Costituzionale n. 287/96. - Art. 3, commi 82, 83, e 84, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.


Testo:

Premessa
L'art. 3 della legge 28 dicembre 1995, n.549, ha apportato talune
modificazioni ed integrazioni alla disciplina dei redditi soggetti a
tassazione separata di cui all'art. 16 del testo unico delle imposte sui
redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
In particolare, con i commi 82 e 83 dell'art. 3 sopracitato e' stata:
1. sostituita la disposizione di cui al citato art. 16, comma 1, lettera b),
stabilendosi che per emolumenti arretrati si devono intendere quelli corrisposti "per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volonta' delle parti", compresi i compensi e le indennita' di
cui alle lett. a) e g) del comma 1 dell'art. 47 nonche' le pensioni e gli
assegni di cui al comma 2 dell'art. 46 dello stesso testo unico;
2. inserita, in detto comma 1, dopo la lettera c), la lettera c-bis), avente
ad oggetto le indennita' di mobilita' di cui all'art. 7, comma 5, della legge
23 luglio 1991, n. 223, ed il trattamento di integrazione salariale di cui
all'art. 1-bis del decreto-legge 10 giugno 1994, n.357, convertito, con
modificazioni, dalla legge 8 agosto 1994, n. 489, corrisposti anticipatamente;
3. integrato il successivo comma 3, secondo periodo, includendo tra le
disposizioni ivi richiamate quella di cui alla predetta lettera c-bis) dello
stesso articolo;
4. integrato l'art. 18, comma 1, primo periodo, del Tuir, includendo tra le
disposizioni ivi richiamate quella di cui alla lettera c-bis) dell'art. 16 del
medesimo testo unico;
5. integrato l'art. 1, terzo comma, secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre
1973, n. 600, includendo tra le disposizioni ivi richiamate quella di cui alla
lettera c-bis) dell'art. 16 del Tuir.
Piu' di recente la Corte Costituzionale, con sentenza, dell'11 luglio
1996, n. 287, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale parziale
dell'art. 16, comma 1, lett. b), del Tuir nella parte in cui non ricomprende
tra i redditi ammessi a fruire del particolare regime della tassazione
separata l'indennita' di disoccupazione prevista dall'art. 47, comma 1,
lett. e), del Tuir .
In relazione a quanto sopra, al fine di assicurare l'uniforme
applicazione delle suddette modifiche normative e di impartire univoche
istruzioni agli uffici circa gli effetti della predetta sentenza
costituzionale, si forniscono i seguenti chiarimenti.

Emolumenti arretrati
Con la modifica di cui al punto 1 della premessa sono state indicate in modo tassativo le condizioni in presenza delle quali i redditi di lavoro dipendente tardivamente corrisposti possono fruire del particolare regime della tassazione separata previsto dal richiamato art. 16, comma 1, lettera b), del Tuir, che nella precedente formulazione non forniva la nozione
di "emolumenti arretrati", ma si limitava a far generico riferimento agli
"emolumenti arretrati relativi ad anni precedenti per prestazioni di lavoro
dipendente".
E' noto che per i redditi della specie vige il criterio di cassa, in forza del quale gli stessi devono essere assoggettati ad imposizione nello stesso anno in cui sono pagati. Per attenuare gli effetti negativi che sarebbero derivati da una rigida applicazione di questo criterio venne stabilito - gia' con la disposizione di cui all'art. 12, primo comma, lett. d), dell'abrogato D.P.R. 29 settembre 1973, n.597 - che nell'ipotesi di emolumenti arretrati l'imposta dovesse applicarsi separatamente dagli altri redditi posseduti nello stesso periodo d'imposta e, piu' precisamente, applicando ad essi l'aliquota corrispondente alla meta' del reddito complessivo netto posseduto dal contribuente nel biennio precedente a quello della messa in pagamento.
Al fine di evitare, tuttavia, che la regola sopra enunciata fosse
utilizzata con finalita' elusiva, l'Amministrazione finanziaria - fin dalle
prime istruzioni fornite con la circolare n.1/R.T. del 15 dicembre 1973 -
dopo aver precisato che non poteva invocarsi l'applicazione del regime di
tassazione separata ogni qual volta la corresponsione in un periodo d'imposta
successivo fosse connaturata alla tipologia dell'emolumento da corrispondere,
ebbe ad affermare che per emolumenti arretrati dovevano intendersi tutte quelle somme che, per effetto di leggi, contratti, sentenze, promozioni, cambiamenti di qualifica od altro titolo similare, erano corrisposte per prestazioni relative ad anni precedenti a quello in cui venivano messi in pagamento. Sulla base di tale criterio venne conseguentemente affermato che il
particolare sistema della tassazione separata non poteva essere applicato a
quegli emolumenti la cui ritardata percezione non trovava giustificazione in
uno degli anzidetti titoli.
La prevalente giurisprudenza delle Commissioni tributarie, confermata
dalla Suprema Corte di Cassazione, ha invece costantemente posto in evidenza
come la disposizione di che trattasi fosse norma di carattere generale,
applicabile a qualunque somma erogata in un periodo d'imposta successivo a
quello in cui il pagamento avrebbe dovuto avere luogo.
Cio' premesso, al fine di superare il cennato contrasto
interpretativo, con l'art. 3, comma 82, della legge in oggetto si e'
provveduto a sostituire l'art. 16, comma 1, lettera b), del Tuir, fornendo
quella nozione di "emolumenti arretrati" che era del tutto assente nella
disposizione sostituita.
La nuova versione della norma in commento stabilisce, come gia' anticipato, che sono soggetti a tassazione separata gli emolumenti arretrati, riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volonta' delle parti.
In tal modo si e' tenuto conto sia dell'orientamento manifestato dalla
prevalente giurisprudenza circa la nozione di emolumenti arretrati, sia della
evoluzione della prassi amministrativa intervenuta nella soggetta materia.
In merito a tale disciplina, si fa presente che le situazioni che
possono in concreto assumere rilevanza ai fini di cui trattasi sono - come
precisato anche nella relazione illustrativa della legge n. 549 del 1995 - di
due tipi:
a) quelle di carattere giuridico, che consistono nel sopraggiungere di norme
legislative, di sentenze o di provvedimenti amministrativi, ai quali e'
sicuramente estranea l'ipotesi di un accordo tra le parti in ordine ad un
rinvio del tutto strumentale nel pagamento delle somme spettanti;
b) quelle consistenti in oggettive situazioni di fatto, che impediscono il
pagamento delle somme riconosciute spettanti entro i limiti di tempo
ordinariamente adottati dalla generalita' dei sostituti d'imposta.
A titolo meramente esemplificativo, all'ipotesi sub b) sono
riconducibili sia la sospensione totale del pagamento delle retribuzioni non
derivante da circostanze imputabili alla preordinata volonta' del datore di
lavoro e dei dipendenti, ma da una accertata situazione di grave dissesto
finanziario, sia il tardivo pagamento del trattamento di cassa integrazione,
trattandosi di ipotesi imputabile all'adozione di complesse procedure, tipiche
di molti enti pubblici.
Resta confermato che l'applicazione del regime di tassazione separata
deve escludersi ogni qualvolta la corresponsione degli emolumenti in un
periodo d'imposta successivo deve considerarsi fisiologica rispetto ai tempi
tecnici occorrenti per l'erogazione degli emolumenti stessi.
E' utile sottolineare inoltre che i principi sopra esposti vanno
osservati anche per quel che concerne l'applicazione del particolare regime
della tassazione separata nel caso in cui l'ipotesi degli emolumenti arretrati
riguardi altre tipologie reddituali, quali sono i compensi percepiti dai soci
lavoratori di societa' cooperative di produzione e lavoro, le indennita' per
cariche elettive di cui, rispettivamente, alle lettere a) e g) dell'art. 47
del Tuir, nonche' le indennita' di disoccupazione di cui alla lettera e) dello
stesso art. 47 del Tuir, in conformita' alla sentenza della Corte
Costituzionale richiamata nella premessa,.
Poiche' tra le finalita' della nuova disciplina vi e' quella sia di
superare l'attuale contenzioso che di prevenire richieste di rimborso
derivanti dalla sopraggiunta normativa, con la disposizione di carattere
transitorio recata dall'art. 3, comma 84, della citata legge n. 549 del 1995,
e' stato stabilito che relativamente agli emolumenti arretrati percepiti in
periodi d'imposta precedenti al 1996 non si fa luogo a rimborsi d'imposta ne'
alla restituzione di somme gia' rimborsate.
Indennita' di mobilita' e trattamento di integrazione salariale
Con la disposizione aggiuntiva di cui alla lettera c-bis)
dell'art. 16 del Tuir e' stato previsto l'assoggettamento al regime della
tassazione separata sia delle indennita' di mobilita' di cui all'art. 7, comma
5, della legge 23 luglio 1991, n.223, che del trattamento di integrazione
salariale di cui all'art. 1-bis del decreto-legge 10 giugno 1994, convertito,
con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1994, n.489, corrisposti
anticipatamente.
La disposizione in esame si rende applicabile con riferimento alle
citate indennita' e integrazioni salariali corrisposte a decorrere
dall'1.1.1996.
La ratio della norma e' quella di attenuare l'eccessivo carico fiscale
che in assenza di una siffatta disposizione si sarebbe verificato in sede di
corresponsione anticipata delle somme ivi previste e, in definitiva, la
disposizione e' volta ad assicurare maggiori disponibilita' finanziarie a
quanti intendano avviare nuove iniziative produttive.
La collocazione di questa nuova previsione normativa nell'articolo 16
del Tuir consente l'applicazione della disposizione di cui all'art. 18,
comma 1, del medesimo testo unico, e cioe' dell'aliquota corrispondente alla
meta' del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore a
quello in cui e' avvenuta la percezione delle somme.
Per effetto della integrazione della disposizione contenuta
nell'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 16 del Tuir, all'indennita' ed al
trattamento in questione e' applicabile in sede di liquidazione definitiva
dell'imposta da parte degli uffici tributari il piu' favorevole trattamento
tra il regime della tassazione separata e quello ordinario.
Infine, in forza dell'integrazione della disposizione contenuta nel
secondo periodo del terzo comma dell'art. 1 del D.P.R. 29 settembre 1973,
n. 600, l'indennita' e il trattamento in parola devono essere dichiarati dai
percettori solo se sono stati corrisposti da soggetti che per legge non hanno
l'obbligo di effettuare ritenute.
Indennita' di disoccupazione
Per quanto concerne gli effetti della sentenza n. 287, dell'11 luglio
1996, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale parziale dell'art. 16, comma 1, lett. b), del Tuir nella parte
in cui non ricomprende tra i redditi ammessi a tassazione separata
l'indennita' di disoccupazione indicata nell'art. 47, comma 1, lett. e), del
Tuir, la scrivente ritiene che anche in questo caso debba assumersi il
criterio, piu' volte affermato, sia dalla scrivente che dalla Corte di
Cassazione (cfr. Cass. 23 del 14 gennaio 1988 n.4223; 28 ottobre 1988 n.5869),
con riguardo alla sentenza n. 42 del 25 marzo 1980, con la quale il giudice
costituzionale ebbe a dichiarare l'illegittimita' della norma concernente
l'assoggettamento ad Ilor dei redditi di lavoro autonomo non assimilabili ai
redditi di impresa.
In detta occasione e' stato affermato che la declaratoria di
incostituzionalita' incide esclusivamente sui rapporti tributari, pendenti
alla data della pronuncia, relativamente ai quali la norma illegittima
potrebbe ancora operare, mentre non spiega alcuno effetto relativamente ai
rapporti gia' esauriti, per tali dovendosi intendere quelli per i quali si sia
formato il giudicato o sia diventato definitivo un atto amministrativo o siano
decorsi i termini di prescrizione o di decadenza stabiliti dalle leggi che
regolano i rapporti medesimi.
Pertanto, la sentenza in parola non svolge alcun effetto, e
conseguentemente il contribuente non ha diritto al rimborso della maggiore
imposta pagata, allorche' si versi in una delle seguenti situazioni:
. il pagamento sia stato eseguito in base ad un'iscrizione
a ruolo diventata definitiva per mancata impugnazione entro il termine
prescritto dalla notifica della cartella esattoriale;
. si tratti di versamento diretto (per autotassazione) per il
quale sia intervenuta la decadenza prevista dall'art. 38 del D.P.R. n. 602
del 1973, per non aver il contribuente presentato domanda di rimborso alla
Direzione Regionale delle Entrate territorialmente competente entro il
termine di diciotto mesi dal pagamento, ovvero per non aver presentato ricorso
avverso il silenzio-rifiuto della Amministrazione finanziaria.
Gli Uffici in indirizzo sono pregati di dare la massima diffusione
alle istruzioni contenute nella presente circolare.

venerdì 5 novembre 2010

MILITARI SPAGNOLI IN EUROPA E MILITARI ITALIANI IN ITALIA

Il primo esecutivo Zapatero approvò nel 2007 il “Regolamento organico dei diritti e dei doveri dei membri della Guardia Civil”, frutto di un serrato e duro confronto tra il governo e l'associazione delle Guardie Civil (AUGC) che si spinsero addirittura a manifestare pubblicamente in divisa contro il Governo.

Le proteste erano rivolte soprattutto contro l'allora Ministro della Difesa, contestato per non ottemperare alle promesse fatte in campagna elettorale per quanto riguardava una riforma progressista a favore del personale della Guardia Civil spagnola (che ricordiamo essere in una Forza di Polizia ad ordinamento militare).

Tre anni dopo quella prima e mirata riforma militare, e dopo la riconferma alle elezioni del 2008, il governo socialista si appresta ora a porre mano ad una legge che riguarda stavolta il personale di tutte le Forze Armate spagnole: si tratta del progetto di legge n. 121/000082 “sui diritti e doveri dei membri delle Forze Armate”, presentato il 02/07/2010 al Congresso dei Deputati.

In queste ultime settimane è iniziato un vivace dibattito tra i militari spagnoli sul progetto governativo; la loro maggiore associazione (AUME) ha manifestato a Madrid per esprimere disappunto per il disegno di legge proposto dalla prima donna ministro della difesa, Carme Chacón, in quanto giudicato insufficiente anche da EUROMIL, l'Organizzazione europea delle Associazioni militari, ancorché valutato come un “buon punto di partenza”.

La riforma ricalca molti aspetti di quella già emanata a suo tempo per la Guardia Civil; le maggiori critiche si concentrano sulle disposizioni relative all'applicazione dei diritti civili dei militari, mentre per quanto riguarda le proposte relative ai nuovi strumenti di rappresentanza del personale, da basarsi sul sistema del cd. doppio binario (associazionismo libero e rappresentanza interna) il mondo associativo non ha eccepito nulla, non proponendo alcuna modifica nella parte specifica del disegno di legge
.

Sinteticamente, per quanto riguarda la tutela del personale militare spagnolo, la riforma prevede tre capisaldi:

  • la regolamentazione della libertà d'associazione;

  • l'istituzione di un Consiglio del personale;

  • la creazione di una sorta di Garante dei militari.

Anche la Spagna quindi, come la maggior parte delle nazioni europee avanzate, ha deciso di estendere a tutti i cittadini in divisa le tutele già positivamente sperimentate per la Guardia Civil, segno che in questi tre anni l'introduzione della libertà associativa non ha affatto minato la coesione della Forza Armata che anzi è “uno dei modi per incoraggiare la partecipazione e la collaborazione dei membri delle forze armate nella configurazione del loro regime”, come si legge nella parte della relazione governativa di seguito tradotta.

Nel contempo in Italia, come è già stato rilevato molte volte su questo sito, la politicia continua a scegliere la strada opposta cioè quella di separare il cittadino in divisa e le strutture militari dalla società civile, in nome di una famigerata specificità che nasconde invece solamente un pericoloso progetto isolazionista
.


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PROGETTO DI LEGGE ORGANICA DEI DIRITTI E DEI DOVERI DEI MEMBRI DELLA FORZE ARMATE

Progetto di Legge 121/000082

Autore: Governo


Esposizione dei motivi

(omissis)

Le novità principali sono la regolazione del diritto di associazione, la creazione del Consiglio del personale delle Forze Armate e l'Osservatorio della vita militare.

Il primo è un passo importante per disciplinare l'esercizio di questo diritto fondamentale nel campo professionale, uno dei modi per incoraggiare la partecipazione e la collaborazione dei membri delle forze armate nella configurazione del loro regime.

I militari potranno costituire e partecipare ad associazioni, ai sensi della Legge Organica 1 / 2002 del 22 marzo sul diritto di associazione.
Il riferimento alle ordinanze Reali delle Forze armate, approvato con legge 85/1978, 28 dicembre, è superata dalla presente legge nello stabilire le specialità del diritto di fondare una
associazione professionale fondandosi sugli articoli 8, 22 e 28 della Costituzione, con interpretazione derivata dalla sentenza della Corte Costituzionale 219/2001 del 31 ottobre.

In questo senso, si disciplinano le associazioni professionali composte da membri delle forze armate per difendere e promuovere i loro interessi professionali e le condizioni economiche e sociali, si fissano le norme relative alla sua costituzione ed al sistema giuridico e crea un apposito registro per queste associazioni al Ministero della Difesa.

Le associazioni possono fare proposte ed presentare richieste e suggerimenti, oltre a ricevere informazioni su questioni per promuovere l'attuazione dei loro scopi statutari. A seguito della giurisprudenza costituzionale, queste forme di partecipazione non possono attivare procedure o atteggiamenti di natura sindacale come la contrattazione collettiva o l'esercizio del diritto sciopero.

Quelle con una certa percentuale di membri partecipano al Consiglio del Personale delle Forze Armate e possono contribuire, attraverso relazioni o consultazioni, al processo di sviluppo di disegni di legge che interessano il regime del personale.

Con il Consiglio si istituiscono e formalizzano i rapporti tra il Ministero e le Associazioni per la difesa dei membri di carriera delle forze Armate e si pongono in atto meccanismi di comunicazione e consultazione sul sistema proposto per il personale militare. Si è inteso che questa via sia un'adeguata rappresentanza istituzionale che viene esercitata attraverso la catena di comando militare e canali forniti dalla presente legge per la presentazione internamenteda parte dei membri della Forze Armate di iniziative e denunce.

La presente legge stabilisce i criteri sostanziali in materia di funzionamento del Consiglio del Personale, la sua composizione, i canali per la presentazione delle proposte da parte delle associazioni e l'organizzazione in plenum o per commissioni di, Esercito, Marina, Aeronautica e gli organi comuni di Forze Armate.

In ottemperanza alla terza disposizione finale della Legge organica della Difesa Nazionale è stato creato un Osservatorio della vita militare, che si configura come un organo collegiale, con funzioni consultive che analizza le questioni che interessano l'esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali dei membri delle Forze Armate per favorire quelle attività che contribuiscono alla migliore condizione dei militari.

L'Osservatorio sarà composto da un numero ridotto di personalità di spicco nei settori della difesa e delle risorse umane, la cui nomina deve essere da parte del Congresso Deputati e dal Senato.

Ciò consentirà di diventare un organismo di base nell'analisi della condizione militare e garante dell'equilibrio tra doveri e diritti per le Forze Armate che sono in grado di soddisfare adeguatamente i loro compiti, al servizio della Spagna e della pace e sicurezza internazionali.

La sua analisi e gli studi avranno un carattere generale e pertanto, non è l'organo competente a trattare o risolvere i reclami su base individuale. Tuttavia sarà in grado di ricevere segnalazioni su singoli casi poiché, il suo sindacato e raccomandazioni, possono portare a soluzioni generali per i membri delle Forze Armate.

(omissis)


Indagine conoscitiva sulla riforma fiscale: audizione del professor Tommaso Di Tanno