Autore Nicola
Canestrini, Andrea Tigrino, Michele Valente
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Il diritto di critica
sindacale, pur dovendosi muovere all’interno dei parametri prefissati per
la libertà d’espressione,nell'analisi della giurisprudenza della Corte di
Strasburgo si articola in maniera generalmente più permissiva in presenza
di determinate circostanze concrete.
La libertà d'espressione
sindacale nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
1. Introduzione
La Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (“CEDU”)
è, come noto, un trattato internazionale redatto dal Consiglio d'Europa
ratificato da tutti i suoi 47 Stati membri.
All'interno dei suoi 59
articoli e 14 protocolli aggiuntivi, il novero dei diritti protetti e
riconosciuti dalla Carta è vastissimo, perché spazia dal diritto alla vita al
diritto ad un equo processo, dal divieto di tortura alla proibizione del lavoro
forzato e della schiavitù.
L’organo forse più
conosciuto istituito dalla Convenzione è rappresentato dalla Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo, organo giurisdizionale internazionale
istituito nel 1959 con sede a Strasburgo (da qui “Corte di Strasbirgo”, o
“Corte EDU”) la cui giurisprudenza sta progressivamente assumendo un ruolo
sempre più rilevante nelle aule giudiziarie: a tal proposito, appare
significativo evidenziare come, a fronte dei circa 10.000 ricorsi ricevuti
dalla Corte fino al 2000, gli stessi siano saliti a 49.900 soltanto negli otto
anni successivi.
Proprio con riguardo
alle sentenze pronunciate, ogni anno si contano decine di condanne
dell'Italia per violazione delle disposizioni della Convenzione: dalla
consultazione dell'elenco redatto dalla Camera dei Deputati e liberamente
reperibile sul sito della Corte di Cassazione (la prima impegnata nella
classificazione degli abstract relativi alle pronunce della Corte EDU) è
infatti possibile riscontrare ben di 63 condanne con solo riferimento al 2012,
cui seguono le 39 del 2013 e le 44 del 2014.
Ad ogni modo, la
CEDU e la giurisprudenza della sua Corte non esplica la propria forza
conformatrice con esclusivo riferimento agli Stati firmatari della convenzione
intesi come soggetti di diritto internazionale (pur essendo stata concepita,
all'epoca, per esercitare soprattutto una "moral suasion" nei
confronti degli Stati firmatari), vantando un effetto diretto anche
all'interno della giurisprudenza italiana: e ciò come “parametro
subcostituzionale” interposto fra norma ordinaria e norma costituzionale
(con possibilità / necessità di sollevare questione di legittimità
costituzionale dell’eventuale normativa interna in contrasto con la normativa o
giurisprudenza europea, qualora non sia possibile una interpretazione conforme
o “convenzionalmente orientata), o – secondo un orientamento peraltro isolato,
allo stato – addirittura per affermare l'effetto diretto della CEDU
nell'ordinamento nazionale.
Detto effetto diretto
deriverebbe, secondo l’impostzone del Tar Lazio, dall'art. 6/2 del Trattato
sull’Unione Europea post Lisbona 2009, secondo il quale "l'Unione aderisce
alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali" e, secondo il comma 3, "i diritti fondamentali,
garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni
agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi
generali", con conseguente necessaria disapplicazione della norma interna
in contrasto con la CEDU (sentenza TAR Lazio, n. 11984 del 2010).
Senza arrivare alla
contestata conclusione del TAR Lazio, il giudice italiano, secondo
una consolidata giurisprudenza italiana che prende le mosse dalle cd. “sentenze
gemelle” (che poi gemelle non sono afatto, come sa lo studioso attento) o
“sentenze telefoniche” della Corte Costituzionale 348 e 349 del 2007, è
comunque pacificamente tenuto a verificare sempre se la norma interna risulti
in contrasto con la Convenzione europea, proponendo - nell'ipotesi in cui
eventuali contrasti non appaiano sanabili in via interpretativa (cd.
"interpretazione convenzionalmente orientata")-
questione di legittimità costituzionale per l'impossibilità di una
interpretazione conforme.
2. La libertà di
espressione (cenni)
Date queste
premesse, fra i principi basilari dell'ordinamento costituzionale italiano e
più ampiamente di ogni sistema democratico svetta la libertà
d'espressione, "pietra angolare del sistema democratico"
(Corte Costituzionale 19.02.1965, n.9; 17.4.1969, n.84), "fondamento
della democrazia" (Corte cost. n. 172 del 1972) nonché "il più
alto, forse dei diritti fondamentali" (Corte cost. n. 138 del 1985).
Tale diritto
incontra specifica tutela anzitutto con riferimento all'art. 10 CEDU,
quest'ultimo comprensivo di due commi rispettivamente inerenti il novero di
libertà riconosciute e le loro possibili limitazioni.
ARTICOLO 10 Libertà di
espressione
1. Ogni persona ha
diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione
e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa
essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di
autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.
2. L’esercizio di queste
libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle
formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e
che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza
nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa
dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della
morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la
divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e
l’imparzialità del potere giudiziario.
(…) Limiti generali alla
libertà di espressione (cenni)
La libertà d’espressione
e il diritto di critica, come espressione del più generale diritto di libertà
di espressione / informazione, ne condividono l'ambito applicativo.
Essa ha come principale
antagonista il diritto all’onore e alla riservatezza dei
singoli soggetti che vengono investiti dall’esercizio di tale diritto: tutto
ciò rende il confine tra diritto all’informazione e diffamazione
estremamente labile.
La Corte EDU
interviene in maniera decisa sul tema nel ricorso Mengi c. Turchia (13471/05 e
38787/07): nel caso di specie, una giornalista era stata condannata per aver
pubblicato sul quotidiano Vatan una forte critica ad alcuni
membri della commissione incaricata di redigere una bozza del nuovo Codice
Penale turco.
Referente primario della
critica era uno studioso stimato a livello internazionale, che veniva
tratteggiato come un ottantenne bigotto ed ossessivo che discrimina le donne e
i bambini.
Questi aveva proposto di
ridurre le pene previste per i reati di stupro e omicidio d’onore e perciò la
giornalista ne auspicava la reclusione in una clinica. La Corte, ritenendo che
la condanna violasse l’art. 10 CEDU, nella motivazione della sentenza dettava
un decalogo a cui le autorità interne devono attenersi per valutare l’eventuale
commissione del reato di diffamazione da parte di chiunque scriva su un
giornale (ivi compreso il sindacalista):
- Interesse pubblico alla
notizia: una
vicenda che interessa un ristretto gruppo di persone e non apporta alcun
contributo apprezzabile ad un dibattito generale (come per esempio una
notizia di puro gossip) non è oggetto di tutela dell’art. 10 CEDU.
- Verifica della notizia: il giornalista deve
verificare, nei limiti del possibile, le fonti, onde accertarne
l’attendibilità e la verità sostanziale dei fatti[1].
Per valutare ciò, occorre sincerarsi della corrispondenza tra l’affermato
e l’accaduto: in caso di inesattezze, è necessario correggerle
tempestivamente e pubblicarle sotto forma di rettifiche.
- Rispetto delle regole
deontologiche: il
linguaggio offensivo ricade fuori dalla scriminante della libera
manifestazione del pensiero se è teso ad una denigrazione dell’individuo
oggetto di critica. Al contrario, se dal contesto emerge che l’intento
dell’articolo è quello di criticare basandosi su fatti, è permesso un
linguaggio colorito ed aggressivo: ecco perché l’uso di frasi volgari non
determina ex se il travalicamento dei limiti dell’art 10 CEDU, dovendosi
ritenere tale condotta una mera scelta stilistica del giornalista. Il
dovere di moderazione si attenua ulteriormente nell’ipotesi di critica
all’homopublicus, che si pone per sua scelta all’attenzione del pubblico e
quindi deve accettare un livello di critica superiore all’ordinario: in
tali circostanze è tollerata una maggiore dose di esagerazione e
provocazione.
- Agire in buona fede: è indice riassuntivo dei
primi tre, volto a sanzionare situazioni che solo formalmente rientrano
nel libero esercizio di cronaca ma che si risolvono in una critica
effettuata al solo scopo di ledere la sfera personale del ricevente.
Da questa breve
disamina la Corte EDU fa discendere la distinzione tra giudizi di fatto e giudizi
di valore: se infatti l’esistenza del fatto può essere soggetta a prova,
tale onere non può essere richiesto - per sua stessa natura - in un giudizio di
valore. Richiederne la dimostrazione della verità fomenta quindi un forte
effetto dissuasivo sulla libertà di 3. informare.
3. La libertà di
espressione in ambito lavorativo
Il tema offre
rilevanti spunti di riflessione in rapporto al diritto sindacale ed
alle libertà ad esso riconducibili, data la possibile e anzi fisiologica
litigiosità che caratterizza i rapporti fra le parti sul luogo di lavoro : a
tal proposito, la stessa Convenzione concepisce un art. 11 il quale, in ragione
di uno schema già osservato, individua sia il diritto alla libertà di riunione
e associazione - tra cui spicca appunto quella sindacale -, sia le
ipotesi in cui tali libertà possono essere contemperate nell'ottica di un
superiore interesse nazionale.
ARTICOLO 11
Libertà di riunione e di associazione
1. Ogni persona ha
diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà d’associazione, ivi
compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire
a essi per la difesa dei propri interessi.
2. L’esercizio di questi
diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono
stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società
democratica, alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, alla difesa
dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della
morale e alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. Il presente
articolo non osta a che restrizioni legittime siano imposte all’esercizio di
tali diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia o
dell’amministrazione dello Stato.
Si procederà dunque
all’analisi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale, pur
dimostrandosi granitica nel garantire il più ampio diritto di critica
nell’ambito dell’attività sindacale, ha tuttavia tracciato limiti precisi di
cui si darà conto in seguito con esempi concreti.
La Corte EDU, Schettini
e altri c. Italia, dec. 9 novembre 2000; Wilson, Sindacato Nazionale
giornalisti e altri c. Regno Unito, 2 luglio 2002 (in La CEDU e il ruolo
delle Corti, a cura di Pasquale Gianniti, Zanichelli Editore, 2015) ribadisce
l’indirizzo tradizionale per cui la contrattazione collettiva è solo uno degli
strumenti a disposizione dei sindacati, non escludendo quindi che essi e i loro
membri debbano comunque essere liberi, in un modo o nell’altro (e cioè anche
con la critica), di cercare di persuadere il datore di lavoro ad ascoltare le
loro richieste in favore dei propri assistiti.
A partire da
questo terreno comune, la casistica permette, ai fini di una migliore
comprensione, una sub divisione della materia in due species, individuate
nell’esercizio del diritto di critica rispettivamente in forma scritta e orale.
Entrambe, pur muovendo da una base giurisprudenziale condivisa, presentano
margini di tolleranza differenti, meritevoli pertanto di una trattazione
separata.
4. Il diritto di critica
sindacale
La libertà
d’espressione sindacale e il diritto di critica, soprattutto quando esercitato
in forma scritta (es. tramite volantinaggio, pubblicazione su riviste sindacali
a carattere locale o addirittura nazionale), ma anche se esercitato in forma
orale, condividono, come si è detto, il loro ambito applicativo con il più generale
diritto alla libertà d’informazione.
Il diritto di
critica sindacale, deve quindi muoversi all’interno dei succitati parametri
prefissati per la libertà d’espressione, ma si articola in maniera generalmente più
permissiva in presenza di determinate circostanze concrete.
Nel ricorso Vellutini and Michel v. France (ricorso n.
32820/09) “The Court reiterated that the limits of acceptable criticism were
wider as regards a politician than as regards a private individual. Politicians
inevitably and knowingly laid themselves open to close scrutiny of their every
word and deed by both journalists and the public at large, and they
consequently had to display a greater degree of tolerance towards criticism.
Moreover, the local controversy in today’s case was in itself a very lively
one. The applicants’ remarks had been made in response to the mayor’s
accusations about the professional and personal conduct of a member of their
union. In that context, as for any individual who took part in a public debate,
a degree of exaggeration, or even provocation, with the use of somewhat
immoderate language, was permitted.”
Nel caso di specie, il
presidente e il segretario generale dell’USPPM, un sindacato di polizia, erano
stati condannati dalle corti francesi per aver pubblicato e distribuito tra i
cittadini un volantino contenente “remarks which, in the mayor’s view, were
clearly defamatory and were directed against him as an elected official in
order to discredit him in the eyes of those residents.”
I due sindacalisti erano
intervenuti in difesa di una poliziotta iscritta al loro sindacato, la quale
aveva avuto una controversia con il suo superiore - che nelle pubblicazioni non
viene mai citato per nome, anche se identificabile - ed aveva subito dei
provvedimenti “for having an offensive attitude and threatening behaviour
towards colleagues”: a seguito di ciò, “she filed a complaint against a
number of municipal employees for wilful assault, insults and threats, and
false accusations.”
Fattispecie concreta a
parte, che però deve sempre essere tenuta in debita considerazione nell’analisi
della giurisprudenza della Corte EDU, dall’analisi della motivazione della
Corte emergono numerosi profili di interesse: l’uomo politico, che non
dev’essere inteso nella più stretta accezione di uomo appartenente ad un
partito politico ma indica invece chiunque, per le caratteristiche del suo
lavoro o per la sua posizione sociale, si ritrovi a giocare un ruolo preminente
nella vita sociale[2],
è soggetto ad una critica più ampia.
Infatti “Politicians inevitably and knowingly laid themselves open to
close scrutiny of their every word and deed by both journalists and the public
at large, and they consequently had to display a greater degree of tolerance
towards criticism”.
Se poi l’argomento è d’interesse pubblico, “for any individual who
took part in a public debate, a degree of exaggeration, or even provocation,
with the use of somewhat immoderate language, was permitted.”
Il tema dell’esagerazione e della provocazione viene ripreso anche in Papaianopol
c. Romania (ricorso n. 17590/02): i profili fattuali di questo caso
sono estremamente interessanti, essendo in presenza di un giornalista che, in
veste di leader del sindacato degli insegnanti, pubblica su un giornale a
tiratura nazionale un articolo intitolato “Terror at D. High School in
Câmpulung Muscel” in cui accusava il preside di “using dictatorial methods
in his school, taking measures in his own interest, obstructing reforms, using
threats and physical violence, etc. It explained that he had been assigned to the school as a teacher by the
communist regime before 1989 and that he had been promoted to headmaster in
1989 after joining the majority political party (the “PDSR”)”.
La Corte di Strasburgo ritenne che la condanna dell’autore dell’articolo
avesse violato l’art. 10 CEDU: in particolare, anche se Mr. Papaianopol aveva
semplicemente riportato delle lamentele provenienti dagli insegnanti -
utilizzando quindi delle fonti non accreditate e per certi versi di parte -
egli si è comunque assicurato di dare al suo scritto “a sufficient
factual basis”.
La libertà d’espressione
è quindi garantita anche se l’articolo riguardava il preside in prima persona,
indicandone nome e posizione, perché la critica riguardava la sua capacità
professionale e non la sua vita privata. L’autore agiva in buona fede, “being convinced that he was informing the
public about a debate of general interest”; infatti “The Court further
noted that the applicant had participated actively in his trial and had
constantly offered to prove the veracity of his comments”: pertanto dal
comportamento processuale del ricorrente è possibile desumere indici a favore
della scriminante in esame.
Infatti “for a restriction of freedom of expression to comply with
the Convention it had to be prescribed by law and to pursue a legitimate aim
such as the protection of the reputation or rights of others. It was not in
dispute between the parties that those two conditions had been fulfilled in the
present case. Such restriction also had to be based on relevant and sufficient
reasons and to be proportionate to the aim pursued. The Court had to ascertain
whether this requirement was met by the penalty imposed on Mr Papaianopol.”
Per valutare il legittimo esercizio dell’art 10 CEDU, l’articolo
incriminato dev’essere considerato ovviamente nella sua interezza, senza
soffermarsi su un’unica frase estrapolandola dal contesto.
Nel caso Marian
Maciejewsky c. Polonia (ricorso n. 34447/05) le autorità nazionali
avevano erroneamente condannato la ricorrente per un articolo intitolato “thieves
in the administration of justice”.
La Corte, pur
riconoscendo che l’occhiello era forte, rilevava che i giudici nazionali
avrebbero dovuto valutare l’articolo nel suo complesso: nel fare
ciò, i giudici sono altresì tenuti a prendere in considerazione il probabile
impatto di una propria decisione non solo nel caso concretamente trattato, ma
anche sui media in generale. È questo il motivo per cui nello stesso caso
Papaianopol c. Romania (application n. 17590/02) la Corte ammoniva lo Stato per
aver comminato una pena troppo severa[3],
peraltro in concorso con vizi motivazionali nella sentenza.
I limiti alla libertà
d’espressione sindacale vengono tratteggiati in negativo dalla sentenza Palomo
Sanchez and Others v. Spain (application nos. 28955/06, 28957/06,
28959/06 and 28964/06).
Nella vicenda in esame, i ricorrenti avevano pubblicato sulla prima pagina
della newsletter del sindacato “a caricature showing two employees of the
company giving sexual favours to the director of human resources” accompagnata
da “two articles, worded in vulgar language, [which, ndr] criticised the
fact that those two individuals had testified in favour of the company during
the proceedings brought by the applicants. The newsletter was distributed among
the workers and displayed on the notice board of the trade union on the
company’s premises.” La Corte di Strasburgo ha ritenuto che “the cartoon and the two articles
were offensive and impugned the dignity of the people concerned”, statuendo
come la difesa della libertà d’espressione non sia estendibile alle
affermazioni umilianti o offensive, perché queste non sono necessarie per la
formazione del convincimento altrui. Il principio di
buona fede tra le parti impone un bilanciamento tra i vari interessi in gioco:
i ricorrenti “included accusations which were aimed not directly at the
company but against two other employees and the human resources manager”,
scadendo così nell’ “use of offensive cartoons or expressions, even in the
context of labour relations”. Dev’essere infatti tracciata una chiara
distinzione “between criticism and insult and that the latter might, in
principle, justify sanctions”.
Nel caso Marchenko V. Ukraine (ricorso n. 4063/04) il
ricorrente, insegnante e capo di un’unione sindacale, accusava il direttore della
scuola in cui lavorava di essersi indebitamente appropriato di “humanitarian
aid given to the school, had used the school car, TV set and video equipment
for private purposes and had taken bricks from one of the school’s walls”. Le indagini svolte non hanno
fatto emergere alcuna prova delle presunte appropriazioni indebite. La Corte “first noted that Mr Marchenko, despite being a union
representative acting on a matter of public concern, had a duty to respect the
reputation of others, including their presumption of innocence, and owed
loyalty and discretion to his employer. The Court further observed that Mr
Marchenko should have made his allegations first to the director’s superior, or
other competent authority, before disclosing them to the public. The Court then
noted that Mr Marchenko had not attempted to use the legal means available to
challenge what he considered ineffective investigation by the public auditing
service and the prosecutor into his allegations, but had instead accused the
director harshly during a public picket.”
L’attività sindacale non
si esplica solamente tramite pubblicazioni più o meno formali, dirette ai suoi
iscritti o ad un pubblico di lettori più o meno vasto giacchè in prima battuta,
il sindacalista è presente sul posto di lavoro e ingaggia confronti
orali.
La Corte di Strasburgo
nel ricorso Palomo Sanchez and Others v. Spain (application nos. 28955/06,
28957/06, 28959/06 and 28964/06) ha occasione di affermare, in obiter dictum,
che i confini della libertà d’espressione sono più ampi se l’oggetto del
contendere riguarda “instantaneous and ill-considered reactions in the
context of a rapid and spontaneous oral exchange”: pertanto written
assertions devono essere giudicate con un maggiore rigore, poiché, pur
potendo essere redatte in uno stato emotivo alterato, vi è sempre la
possibilità di una successiva revisione a mente lucida.
Sentenze rilevanti della
Corte di Strasburgo (cfr. il motore di ricerca HUDOC http://hudoc.echr.coe.int/)
- Corte EDU, Schettini e altri c.
Italia, dec. 9 novembre 2000; Wilson, Sindacato Nazionale giornalisti e
altri c. Regno Unito, 2 luglio 2002 (in La CEDU e il ruolo delle Corti, a
cura di Pasquale Gianniti, Zanichelli Editore, 2015) = contrattazione collettiva
è solo uno degli strumenti a disposizione dei sindacati, che devono essere
liberi, in un modo o nell’altro, di cercare di persuadere il datore di
lavoro ad ascoltare le loro richieste;
- Vellutini and Michel v.
France (application n 32820\09) = scambio reciproco di accuse tra
sindacalisti.
Richiesta la buona fede
e le critiche devono essere connesse ai compiti svolti dalla persona e non di
natura privata. Personaggio pubblico deve sottoporsi a più critiche del
privato. Ammessa esagerazione e provocazione se il dibattito è di pubblico
interesse. Meglio se il comportamento processuale del ricorrente è cooperativo
e offre prove a supporto delle sue affermazioni. Personaggio non identificato
ma identificabile.
- Papaianopol c. Romania
(application n. 17590\02) = sindacalista critica il preside,
dicendogli che ha avuto quel posto per raccomandazioni politiche.
Articolo basato
principalmente sulle lamentele fatte dai docenti (+ indicazione delle loro
generalità). Personaggio pubblico deve sottoporsi a più critiche del
privato. Personaggio identificato con nome e cognome: lecito esercizio
dell'art. 10 CEDU perché c'è una sufficiente base fattuale e c'è comportamento
processuale collaborativo per dimostrarlo. Richiesto l'interesse
generale.Comunque la pena irrogata dallo stato era troppo alta.
- Palomo Sanchez and Others v.
Spain (application nos. 28955/06, 28957/06, 28959/06 and 28964/06) = CONDANNA CONFERMATA per
vignetta che ritrae due lavoratori, che hanno testimoniato a favore
dell'azienda in un processo instaurato dal sindacato, "giving
sexual favours" al direttore risorse umane.
Richiesta buona fede e
rispetto dei lavoratori: non è una notizia necessaria agli altri per fargli
formare un'opinione. La stessa frase, orale o scritta, è valutata
differentemente: è più grave la seconda. Condannati perché hanno messo in mezzo
i due lavoratori: ciò travalica il diritto di critica al datore di lavoro.
- Mengi c. Turchia (13471\05 e
38787\07) =
giornalista accusa studioso internazionale di essere un discriminatore che
dovrebbe essere internato.
Distinzione tra giudizio
di fatto VS giudizio di valore, soli i primi sono soggetti a prova. Richiesto
l'interesse pubblico della notizia (NO gossip). Ammesso linguaggio volgare, se
non è per denigrare ma nel complesso porta una critica basata sui fatti. Bene
provocazione e esagerazione, no dovere di moderazione;
- Marian Maciejewsky c. Polonia
(application n. 34447\05) = articolo intitolato "Ladri
nell'amministrazione della giustizia".
Non bisogna estrapolare
una frase (in questo caso un titolo) dal suo contesto. Prima di condannare,
giudici devono considerare tutto l'articolo e il possibile effetto dissuasivo
sui media in generale.
- Csanics c. Ungheria, n°12188\06 = definizione di uomo
pubblico deve essere intesa in senso ampio ( è uomo pubblico il datore di
lavoro di tanti dipendenti).
- Wojtas-Kaleta V. Poland
(application n. 20436\02) = base fattuale concreta e pubblico interesse.
- Marchenko V. Ukraine
(application n. 4063\04) = CONDANNA CONFERMATA, sindacalista aveva
accusato il preside di appropriazione indebita.
Manca qualsiasi prova,
non c'è rispetto della presunzione di innocenza. Sindacalista doveva PRIMA
andare a parlarne col superiore o con le autorità, e solo dopo eventualmente
pubblicare l'articolo.Pena irrogata dallo stato era troppo alta.
[1] Corte EDU,
Wojtas-Kaleta V. Poland (application n. 20436\02). Nel caso di specie, una
giornalista sindacalista aveva contestato in un articolo il palinsesto
televisivo del proprio datore di lavoro, il quale aveva deciso di sopprimere
due programmi di musica classica, sostenendo che “while classical music was the
heritage of the nation, its continuous dissemination was seriously jeopardised
by diminishing its time on the air and polluting air time instead with violence
and pseudo- musical kitsch.”. A seguito del ricorso per le misure disciplinari
applicate alla sindacalista, la Corte di Strasburgo le ritenne
illegittime perché “the applicant’s statements had relied on a sufficient
factual basis and had at the same time amounted to value judgments which were
not susceptible of proof.”
[2] Corte EDU, Csanics c. Ungheria, n°12188\06: “It was true that the
plaintiff was not a public figure, but the high number of the employees
concerned made the issue a subject of considerable public interest. In the
applicant’s view, as a trade union leader, he had had no other choice but to
stand up for those rights in the impugned manner.”
[3] Nel caso Marchenko
V. Ukraine (application n. 4063\04) il ricorrente, insegnante e capo di
un’unione sindacale della scuola in cui lavorava, veniva ingiustamente
condannato alla reclusione di un anno “for publicly and unfoundedly accusing
the director of the school for misappropriating public funds”. “The Court concluded that that had been an excessive measure, which had had
a dissuasive effect on public debate, in violation of Article 10.”
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